#Bookstagram, ovvero il coraggio di dire no

Il social è morto, lunga vita al social!
Sembra ormai assodato: Facebook è out, fuori moda, abbandonato. Instagram è il social del presente, forse del futuro. Se su Facebook si litiga, si schernisce, si urla (la netiquette è ormai sconosciuta ai più), su Instagram sembrano regnare la bellezza e la condivisione. Il numero di utenti è fortemente cresciuto negli ultimi mesi, e accanto ai grandi nomi della moda, del cibo, del lifestyle si sono ritagliati uno spazio anche microinfluencer e piccole community agguerrite.

Non stupisce, dunque, che siano sempre di più i profili dedicati alla lettura.
Il libro, dopotutto, è sempre stato uno status symbol e un oggetto esteticamente gradevole. Poche cose risultano più piacevoli di una pila di Adelphi disposti per colore (basta cercare l’hashtag #domenicaadelphi per farsi un’idea); e che dire dei bianchi, elegantissimi Einaudi, i cigni del mondo librario? Non vanno inoltre trascurati i volumi Iperborea, caratterizzati da proporzioni e copertine immediatamente riconoscibili!
Se ciò non bastasse, secondo regole non scritte al libro vengono solitamente affiancati altri oggetti: fiori, penne, matite e quaderni i più quotati. Pare esistere un legame indissolubile tra il libro e la colazione (o la merenda): abbondano le torte, i biscotti, i cappuccini, le tazze di tè o di caffè.

Vengono poi le didascalie. C’è chi preferisce riportare l’incipit o una citazione del libro in lettura, qualcuno sfrutta l’occasione per raccontare aneddoti relativi alla propria quotidianità, ma la maggior parte dei bookstagrammers utilizzano la didascalia per raccontare le loro impressioni sul libro. Si tratta in alcuni casi di brevi commenti, in altri di vere e proprie recensioni.
Instagram sembra – anche se qualche anno fa nessuno ci avrebbe scommesso – un ottimo luogo in cui parlare di libri.

Detto ciò, credo che Instagram sia afflitto da un grave difetto, un difetto che rende – a mio parere – la community libraria meno sincera e vivibile di quanto dovrebbe essere.
Il problema può essere così sintetizzato: tutti parlano nello stesso modo degli stessi libri.
Da un certo punto di vista questo è inevitabile. Instagram è e resta un social network in cui il successo di un post dipende dall’adesione a un modello, alla moda del momento. Facciamo un esempio: a Gennaio ho letto sia la quadrilogia dell’Amica Geniale che Il giardino dei Finzi-Contini che due libri di storia locale. Se dovessi fotografare uno di questi libri per postarlo (verbo terribile, lo ammetto) su Instagram, sceglierei quello più chiacchierato: l’Amica geniale, ovviamente.
Questo, ripeto, per me non è un problema, Instagram impone delle scelte e sta al singolo decidere se seguirle oppure no.

Ma cosa significa, precisamente, tutti parlano nello stesso modo?
Ciò che manca a Instagram, soprattutto parlando di casi editoriali – penso di nuovo all’Amica geniale, ai romanzi di Murakami, a La verità sul caso Harry Quebert, ma ce ne sono molti altri – è il coraggio di esprimere un’opinione negativa.
Cercare una stroncatura è come cercare un ago in un pagliaio. Le critiche si stemperano in recensioni lunghissime, punteggiate da è la mia opinione, forse sbaglio ma, non che sia un difetto ma, sicuramente ho frainteso io; il dissenso è timidamente dissimulato.
Chi ha il coraggio di dirsi deluso da un libro – soprattutto un libro intoccabile – sa di correre un grave rischio.

All’improvviso la netiquette viene dimenticata, ogni rispetto è lasciato da parte: se hai osato criticare il Grande Libro™ vieni inevitabilmente definito ignorante, fazioso; forse – un forse che significa sicuramente – non sei riuscito a capire il profondo messaggio dell’opera. L’acidità si spreca.
Questo riserbo ha un altro effetto: quando il clamore intorno al libro di turno si è spento, può capitare che un bookblogger lo recensisca e lo critichi. Incredibilmente, sotto al suo post appare una selva di commenti sollevati: “anche a me non è piaciuto”, “io non l’ho mai sopportato”, “allora non sono l’unica ad averlo trovato brutto”.
Peccato che questo accada dopo almeno sei mesi, quando il grosso del dibattito si è esaurito.

Trovo triste e non corretto che su Instagram, una piattaforma con forti potenzialità, non si possa esprimere un’opinione negativa per il timore di essere insultati. Per quanto si amino i libri, a nessuna critica si dovrebbe ribattere con offese personali.

Sonia Aggio

11 Comments

  1. Tutti – consciamente o inconsciamente – quando postiamo un articolo cerchiamo il consenso e l’approvazione di chi, bontà sua, ci legge. Perciò è comprensibile essere molto prudenti se la nostra voce, per dirla con Montanelli, è “fuori dal coro”. Per quanto riguarda i libri di successo e di cui tanto si parla, mi sto sempre di più convincendo che con la giustificata (economicamente) prioritaria esigenza delle Case Editrici di fare impresa e profitto un autore vale, e come tale viene proposto al pubblico, più per quanto vende che per quello che scrive. La Letteratura, o literacy (per gli inglesi)? se ne sta in un angolino tanto chiamata in causa (anche con paroloni) quanto, ahime, dimenticata. Aveva ragione il compianto De Michelis, patron della Marsilio, gli editori rispecchiano rispecchiano a loro modo lo spirito culturale dei tempi. Potrebbero esistere adesso editori dello stampo di Arnoldo Mondadori, Valentino Bompiani, il vecchio Rizzoli? Anche Inge Feltrinelli s n’è andata, chi e cosa rimane? Coloro a cui la Letteratura interessa poco e perciò quel che conta è vendere. Con i contanti si è tutti contenti, no!

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    1. Sono d’accordo sia sulla volontà di avere l’approvazione altrui, che sulla ricerca di profitto messa in atto dalle case editrici, che spesso spingono un libro per 2-3 mesi e poi lasciano che cada nel dimenticatoio (e per anni non se ne parla più, tanto è fuori moda!) 😥

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  2. Trovo ingiusto questo articolo. Forse l’autrice non li conosce, ma esistono moltissimi profili che portano avanti progetti coerenti di discussione sui libri e la letteratura. Fare di tutta l’erba un fascio non è mai il giusto approccio per affrontare analisi e discussioni…

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    1. Non ho mai detto che tutto Instagram sia così, ma ci sono persone che vengono aggredite per un’opinione diversa, né si può negare che molti profili recensiscano per la maggior parte libri suggeriti dalle case editrici 😊

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  3. Grazie, finalmente un articolo sincero e franco. Ho da poco aperto l’account Instagram del mio blog, visto il recente successo del canale in fatto di libri, e mi sono subito resa conto non sono di quanto detto in questo articolo, ma soprattutto che tanti, pur di ottenere una bella foto, sono disposti a tradire la natura del libro in questione. L’esempio più calzante che mi viene in mente è il caso di una blogger che ha fotografato un’edizione moderna di “Se questo è un uomo” di Primo Levi con a fianco una ciambella alla crema per il semplice tono-su-tono. Molte fotografie si somigliano e i libri, è vero, sono spesso gli stessi e girano le solite collane, i soliti nomi. Non voglio dire che io sia migliore, ma non ho mai nascosto di scegliere i libri da sola, senza ingerenze del mercato o altro, e le mie foto, lo ammetto, sono abbastanza bruttine ma ironiche. Ovviamente, non bisogna fare di un’erba un fascio ed esistono bookstagrammer che creano opere d’arte e discutono apertamente di tutti i pro e i contro di un libro.

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    1. Grazie per l’apprezzamento! Credo che Instagram sia un bellissimo posto e ci sono senza dubbio molti bookblogger bravi e competenti, per questo credo che far luce su alcune criticità possa renderlo ancora migliore 🙂

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  4. Purtroppo andare controcorrente, anche solo in modo pacato, non è sempre visto di buon occhio dai ducetti delle varie cricchette che si formano nella blogosfera…

    …e per certuni sembra impossibile fare distinzione fra la critica alla lettura (o all’opinione) e quella alla persona.

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  5. Io ho scelto deliberatamente di non iscrivermi ad Instagram, perché non amo fare foto e trovo ridicole anche la maggior parte di quelle che vengono pubblicate; va da sé, quindi, che non mi sono mai imbattuta in post di bookblogger o semplici utenti che condividono le loro letture. Su Facebook (che, pur con i suoi difetti, continuo ad utilizzare) sono iscritta a diversi gruppi che trattano di letteratura e posso confermare che la tendenza è la stessa sottolineata nell’articolo: non è possibile esprimere una opinione negativa su questa o quell’opera super acclamata perché arriva sempre ed inevitabilmente il ‘professorone’ di turno a dire che ‘certi libri non sono per tutti’. A me è capitato di recente di esprimere un parere non proprio positivo sull’ultimo libro di Murakami, L’assassinio del commendatore (il cui secondo libro, per inciso, ho trovato ancora peggiore del primo), che subito è iniziata una querelle su quanto sia bravo e bistrattato l’autore nipponico. Alla fine di tutto ciò resta davvero da chiedersi se leggere sia davvero utile a renderci migliori e più propensi ad ascoltare e comprendere l’altro o se la condivisione e pubblicizzazione sui social dei propri libri, lungi dall’incoraggiare la lettura, non sia solo un modo per atteggiarsi a persone colte e incomprese.

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    1. Esistono senza dubbio sia persone disposte a mettere in discussione se stessi e la lettura, ma è sempre brutto non poter avere una conversazione equilibrata su quello che dopotutto è solo un libro/un autore.

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