La ragazza che levita, Barbara Comyns
(2019, Safarà Editore – trad. C. Pascotto)
Per la prima volta in Italia nella traduzione di Cristina Pascotto per la casa editrice Safarà, La ragazza che levita è il romanzo più importante di Barbara Comyns, eclettica autrice la cui vita stessa è una piccola opera d’arte.
Nata nel 1907 in un contesto famigliare burrascoso, non ebbe la possibilità di istruirsi canonicamente, la sua letteratura nasce del tutto spontaneamente e la definisce come outsider artist. D’altra parte, per la maggior parte della sua vita Comyns aveva tutt’altro a cui pensare che la scrittura. Sposata e divorziata in giovane età, si ritrovò a crescere due figli da sola e a passare di lavoro in lavoro per poterli mantenere: fu venditrice degli oggetti più disparati, imprenditrice, modella, e cominciò a scrivere in età matura, affrontando tutte le difficoltà che la mancanza di qualsivoglia educazione letteraria poteva porre sul suo percorso.
La ragazza che levita è il suo capolavoro, fu pubblicato nel 1959, quando la sua opera aveva già iniziato a suscitare interesse nella critica, e le valse l’ammirazione di Graham Green. La protagonista è Alice, la giovane figlia di un veterinario di campagna trapiantato a Londra che vive di stenti e privazioni al solo scopo di compiacere e non irritare il padre, ombra minacciosa che incombe su ogni aspetto della sua vita.
Tutta l’esistenza di Alice è un tentativo di sfuggire al controllo del padre-padrone: questi non ha nessun interesse per la figlia né per sua moglie, considera il suo matrimonio un errore di gioventù ed è convinto di poter disporre a piacimento delle vite delle due per il sol fatto di mantenerle e dar loro un tetto sulla testa.
La situazione precipita quando la morte della madre lascia Alice completamente sola alla mercé dei capricci dell’uomo, e sembra che l’unica possibile via d’uscita da una situazione sempre più opprimente e spiacevole sia trovare un altro uomo da cui farsi proteggere e portar via, pazienza se non è proprio il marito che ha sempre sognato.
Lo scenario raccontato da Comyns è insomma cupo e non lascia nessuno spiraglio aperto per la speranza, eppure La ragazza che levita è una lettura scorrevole e piacevolissima che risucchia il lettore fin dalle prime pagine. Nonostante la durezza dell’esistenza che conduce, infatti, Alice è un personaggio fresco e frizzante, il suo sguardo disincantato sul mondo ne restituisce un ritratto obiettivo, ma sempre permeato dalla spontaneità di chi non ha conosciuto altra realtà che la propria ed è determinata a trovarvi ad ogni costo qualcosa per cui vale la pena vivere.
Anche nei momenti più bui, la protagonista sa accendersi di entusiasmo nel descrivere un vestito nuovo, una penna stilografica, un cagnolino, con uno sguardo in parte ingenuo, in parte consapevole della necessità di cogliere tutto ciò che di bello una giornata può offrire, finché c’è.
Costantemente circondata da uomini che vogliono, se pur in modi diversi, acquisire controllo sulla sua vita, Alice riesce ad essere sé stessa solo in una bolla di bizzarro realismo magico british, in cui i contorni degli oggetti quotidiani si fanno immaginifici e il distacco dal mondo è fisicamente possibile tramite inspiegabili episodi di levitazione, che si fanno via via più importanti nella storia della ragazza.
I ravioli si ingrossavano e ballavano nel sughetto che bolliva, e la cucina era avvolta dal vapore. L’acqua cadeva dalle finestre come pioggia al rovescio. Iniziai a credere di sentire dell’acqua che si riversava e scrosciava. Poi pensai di vederla, e fu come se si fosse scatenata un’inondazione, e ovunque c’era acqua grigia e argentata, e sembrava che io vi fluttuassi al di sopra. Giunsi presso una montagna fatta di acqua scurissima; ma, quando raggiunsi la cima, mi resi conto che era un giardino acquatico dove tutto luccicava. Sebbene l’acqua scorresse molto velocemente manteneva sempre le sue splendide forme, e c’erano fontane e alberi e fiori che scintillavano come se fossero fatti di ghiaccio semovente. Ogni cosa era tanto inesprimibilmente bella che mi sentii profondamente privilegiata di poterla vedere. (p. 59)
Tra gli ostacoli che Barbara Comyns ha dovuto affrontare per veder riconosciuto il suo talento c’è l’inevitabile paternalismo della critica verso una completa autodidatta della scrittura. Il suo primo romanzo, Sisters By A River, conteneva diversi errori di grammatica e dizione e faticò a trovare una collocazione editoriale: la rivista che infine decise di pubblicarlo a puntate fece leva proprio sull’acerbezza dell’autrice, aggiungendo errori al manoscritto piuttosto che correggerli, e gli aggettivi ingenuo e infantile sono associati anche ai ben più maturi e consistenti romanzi che l’autrice ha prodotto in seguito.
Sebbene il valore dell’opera di Comyns sia stato universalmente riconosciuto, insomma, è sempre presente l’insinuazione di fondo che i suoi romanzi siano interessanti quasi per caso, che questa donna dalla multiforme esperienza di vita non fosse insomma pienamente consapevole del proprio talento e che sia necessario uno sguardo maschile – come quello di Graham Green – per dare dignità ai suoi scritti.
Una lettura attenta de La ragazza che levita racconta una storia diversa: nel personaggio di Alice è racchiusa tutta la complessità di una donna che cerca disperatamente un modo per esprimersi ed essere se stessa senza voler necessariamente cambiare il mondo o dare alla propria vita una direzione grandiosa, e che è talmente inglobata in una rigida dinamica al maschile da non riuscire a trovare altra via per farlo che librarsi letteralmente in volo.
Loreta Minutilli
n.b: le informazioni sulla vita di Barbara Comyns e sulla ricezione del suo lavoro sono tratte da quest’articolo