Noia terminale: la distopia di Suzuki Izumi

Noia terminale, Suzuki Izumi
(add editore, 2024 – Trad. Asuka Ozumi)

Suzuki Izumi è stata una meteora nella letteratura giapponese, una scrittrice che ha lasciato un’impronta indelebile nella fantascienza grazie al suo sguardo lucido e spietato sul futuro. Noia terminale, raccolta pubblicata in Giappone nel 2014 da Bunyu-Sha Inc. e in Italia da add editore nel 2024, riunisce sette racconti che esplorano prospettive distopiche e alienanti, con protagonisti spesso alla deriva in un mondo che non concede vie di fuga, personaggi che si muovono in scenari claustrofobici e psichedelici, tra società rigidamente controllate e paesaggi post-apocalittici, interrogandosi su identità, solitudine e desiderio di evasione.

In tutti i racconti si parla di luoghi e persone per cui il tempo scorre con velocità e modi diversi e la Terra non è mai l’unico pianeta a essere popolato. Ricorrono anche l’abuso di alcol e sostanze stupefacenti, la quasi assenza di emozioni, gli apparati tecnologici avanzati e la fludità di genere. Questi ultimi due aspetti fanno di Noia terminale un’opera straordinariamente moderna, se consideriamo che è stata concepita negli anni Ottanta. L’uso di droghe è invece una nota autobiografica dell’autrice, morta suicida a trentasette anni nel 1986 dopo una vita tumultuosa, tanto che spesso si è parlato di lei come di una cattiva ragazza. In ogni caso, l’eredità che ha lasciato alla letteratura fantascientifica è inestimabile.

Nel primo racconto, Un mondo di donne e donne, gli uomini sono ormai un’anomalia biologica, relegati in una “Zona di residenza speciale” come creature pericolose e inutili, se non per la procreazione.

«Non sono considerati esseri umani, o meglio, non lo sono proprio. E pensare che pure i cani e i gatti hanno un nome… Senza contare che le donne, per poter procreare, hanno bisogno dell’aiuto dei maschi. Non ho ben chiaro come funzioni, ma pare che vengano allevati in strutture come questa per via di una loro secrezione. Non so altro…»

La protagonista, Yūko, cresce in una società povera ed esclusivamente femminile, nella quale al massimo esistono donne più mascoline di altre. Ma l’incontro con un misterioso ragazzo sconvolge le sue certezze, portandola a mettere in dubbio il matriarcato. Il risultato non è quello da lei sperato.

«Non immaginerebbe mai quello che ho fatto, non ne ha né conoscenza né esperienza. Asako, per sua fortuna, probabilmente arriverà alla fine dei suoi giorni senza mai provare quell’orrore raccapricciante. Non posso condividere con nessuno la verità sconvolgente che ho scoperto quel pomeriggio».

Il racconto è un esempio magistrale di worldbuilding distopico: Suzuki Izumi ribalta i ruoli di genere per rivelare le strutture di potere che dominano la società, lasciando emergere una critica feroce al controllo sociale e all’idea di normalità imposta dall’alto.

You may dream è una storia che gioca con il confine tra realtà e sogno, tra memoria e manipolazione. La protagonista incontra un’amica che le rivela di essere stata selezionata per un programma governativo di ibernazione e risveglio forzato e questo fornisce lo spunto per chiedersi a cosa si riduca la dignità umana di fronte al potere e quale sia la natura della libertà. La scrittrice costruisce un’atmosfera quasi kafkiana, in cui l’individuo è schiacciato da un sistema ineluttabile, sul cui sfondo si muovono personaggi spesso impersonali, sfaccettati nel loro essere piatti, impassibili. Torna anche qui il tema del gender.

«Mentre rispondo alle domande, mi chiedo perché mi trasformi in un maschio. Dev’essere per via della sua marcata femminilità: recita a tal punto il ruolo femminile (o quello che la società considera tale) che io, per controbilanciare, divento mascolina? Se mi apparisse un uomo, mi comporterei come una donna? […] Desiderio di androginia? Sizigia? Non sono né uomo né donna, non ho bisogno di un genere e voglio andarmene lontano, da sola».

Picnic notturno è uno dei racconti più destabilizzanti di tutta la raccolta. Tempo e spazio sono distorti: siamo su un pianeta che non è la Terra, ma che in passato è stato colonizzato dagli umani, e su cui il tempo fluisce in maniera anomala. I quattro protagonisti recitano il ruolo della famiglia terrestre perfetta, borghese. Sono convinti di essere gli unici discendenti della stirpe umana in mezzo a un mondo di mostri, con i quali non vogliono avere nulla a che fare. I figli sono un maschio e una femmina, ma nel corso della narrazione si scopre che la sorella minore ha cambiato sesso per conformarsi alle aspettative della madre, secondo cui chi ha un corpo femminile deve essere cresciuto come una femmina. Il finale è forse prevedibile, ma carico di significato.

«I mostri, che recitavano i ruoli della famiglia, sono immobili. Non osano chiedersi cosa sia successo, stupidamente si ricordano che i mostri (loro) sono in grado di assumere qualsiasi forma. Avevano quelle sembianze perché credevano di essere umani?»

In Ricordi al Seaside Club, Suzuki Izumi crea un’ambientazione rarefatta e nostalgica. La protagonista vive in luogo in cui tutto appare gratuito e perfetto, ma privo di autenticità. L’elemento più disturbante del racconto è l’incertezza temporale: Emi, il personaggio secondario, afferma di essere lì da due settimane, poi da sei mesi, lasciando il dubbio su cosa sia reale e cosa no. La protagonista, a sua volta, fatica a distinguere i propri ricordi e l’idea di un amore passato si mescola alla figura di Naoshi, un ragazzo enigmatico che sembra appartenere a una vita precedente.

«Invito Emi a casa mia perché non mi va di rimanere da sola con la <sedia>. In mezzo al mio appartamento c’è una <sedia> e mi parla, non fa che dirmi cose che non voglio sentire. L’idea che una <sedia> sia dotata di personalità è assurda, ma non posso farci niente. E mi parla come se fosse mia madre.»

Tra le pagine di Fumo negli occhi, come suggerisce il titolo stesso, l’annebbiarsi della percezione e l’incapacità di vedere con chiarezza il proprio destino dominano la narrazione, insieme all’uso di droghe, al distacco emotivo e alla sensazione di essere intrappolati in un limbo tra passato e presente. L’autrice ci trascina in uno scenario allucinato e malinconico, dove il tempo scorre in modo imprevedibile e la linea tra ciò che è stato e ciò che è resta sfumata. Vengono riproposte la questione del gender, con il protagonista che si presenta in sogno come una donna di nome Jane, e una sorta di matriarcato, ipotizzando una realtà in cui le donne possono procreare senza l’ausilio degli uomini.

«Che Reiko sia il frutto di un concepimento verginale? Ne ho sentito parlare una volta alle scuole medie, nell’ora di scienze. Un ovulo, se adeguatamente stimolato, può iniziare la scissione cellulare, dunque si può concepire anche senza un maschio. In tal caso, però, nascerà una femmina, identica alla madre».

In Dimenticato la protagonista, Emma, è dipendente da una sostanza che altera i sensi e attenua i ricordi, rendendoli confusi e privi di emozione. La sua relazione con Sol, un uomo criptico, è segnata da ambiguità e distanza: lui sembra volerla proteggere, ma allo stesso tempo la controlla, lasciandola sempre più isolata. Sol proviene da un pianeta in conflitto con la Terra, sul quale la vita procede idilliaca rispetto a quanto accade sul globo terrestre, dove gli umani sono schiavi del lavoro e della ricerca di approvazione sociale.

«Sul nostro pianeta va bene così. I nostri giornali sono grandi circa la metà di quelli terrestri e hanno quattro pagine. Non ci sono edizioni serali. Siamo tutti più rilassati, viviamo di agricoltura e allevamento. C’è un ottimo clima, nessuno vuole occupare posizioni di rilievo e, se lo facciamo, è solo per dovere. Ma nessuno è così malato da tornare a casa soltanto due giorni alla settimana come fa il marito di tua sorella».

L’ultimo racconto è quello che dà il nome alla raccolta: Noia terminale. Qui Suzuki Izumi dipinge un mondo in cui la società è intrappolata in un’apatia totale: la noia ha sostituito ogni impulso vitale. La protagonista e il suo ex fidanzato si incontrano per caso, e il loro dialogo disilluso riflette un’esistenza priva di stimoli reali. Le conversazioni tra i due sono ciniche e rassegnate: il desiderio, il lavoro, persino il cibo sono diventati attività marginali. La dipendenza dai media è centrale: guardare la televisione è l’unico modo per sentirsi vivi, mentre la realtà si confonde con l’intrattenimento.

«Avevano impiantato degli elettrodi nel cervello di un paziente e lui alla fine aveva premuto il tasto più di cinquemila volte in un’ora. Ora hanno un dispositivo sincronizzato direttamente alla tv. Il cervello viene stimolato non appena si accende lo schermo. L’impulso elettrico viene trasmesso a intervalli regolari, senza bisogno che la persona interessata prema alcun pulsante».

Il racconto tratteggia una società in cui le relazioni umane sono ridotte a schemi ripetitivi e privi di emozione. Anche l’intimità fisica è percepita come una fatica insensata, qualcosa di cui si può fare tranquillamente a meno. Il sistema incoraggia l’apatia, tanto che persino la riproduzione avviene attraverso inseminazione intrauterina.
La città è popolata da disoccupati e reietti, la miseria è ovunque, ma nessuno sembra voler reagire. Quando la protagonista e il ragazzo emergono in superficie, il panorama urbano appare sudicio e opprimente, eppure non c’è rabbia o desiderio di cambiamento, solo una rassegnazione passiva.

Noia terminale è una raccolta che lascia un segno profondo, sia per la visione del futuro, sia per la capacità di intercettare il senso di vuoto e di spaesamento che attraversa ogni epoca. Suzuki Izumi racconta società distopiche e psichedeliche in cui il tempo è instabile, la memoria si sgretola, il potere non lascia via di scampo e l’identità si confonde, creando un universo narrativo controllato e controllante in cui le certezze si frantumano. La sua fantascienza non è solo un esercizio di immaginazione, ma uno specchio che riflette ansie e contraddizioni tutt’altro che lontane dalla nostra realtà. A distanza di decenni, la sua scrittura conserva un’inquietante attualità, confermandola come una voce imprescindibile della letteratura giapponese.

Marta Grima

(immagine in evidenza: Canva)

2 Comments

  1. Ho scoperto recentemente l’opera di Izumi curiosando in biblioteca e questo articolo è capitato a puntino per darmi le informazioni in più che stavo cercando. Add editore sta facendo un ottimo lavoro con la distopia e la fantascienza asiatica, non c’è che dire.

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