“In Memoriam”, di Christian Napoli e Soraya Kalantari

In Memoriam, di Christian Napoli e  Soraya Kalantari è un romanzo particolare.

Il contesto, il genere, la tematica sono di notevole rilevanza:1 interessanti,
tutt’altro che banali, intelligenti. La storia, raccontata nel 1989 attraverso un’intervista che innesca la lunga analessi, ha inizio dalla fine degli anni ’30, illustra brevemente vicende avvenute negli anni ’40 e si snoda interamente  nel dopoguerra, seguendo la vita della protagonista Asia all’interno del manicomio in cui lavora. Il passato della protagonista gioca un ruolo importante nelle vicende, a partire soprattutto da quella ch’era la sua vita precedentemente allo scoppio della guerra, in particolare per quanto riguarda il suo amore “clandestino” per Jonathan (non proprio un nome da italiano nato negli anni ’20) e quello programmato dalla sua famiglia con Edoardo. Entrambi partiranno per il fronte e Asia non saprà nulla di loro. Partirà anche lei, come infermiera di campo, per poi farsi assumere nell’ospedale del dottor De Santis quando l’Italia sarà ormai una Repubblica.
Narrare delle condizioni degli istituti psichiatrici e ambientarvi una storia è senza dubbio una scelta importante e positivamente inconsueta. È evidente, inoltre, il processo di ricerca degli autori, per documentarsi su quanto stavano scrivendo. Tema interessante, ambientazione storica ben ricostruita (sebbene, talvolta, la copiosità di dettagli storici risulti fin troppo nozionistica e non sempre pertinente) e soprattutto un geniale gioco psicologico di identità… tutti buoni presupposti, fino a questo punto, giusto?
Direi di sì.

Se si aggiunge poi la lodevole intuizione del finale, di cui vorrei parlare perché molto ci sarebbe da dire, di positivo intendo… però anche solo accennarvi, pur restando vago, può rovinare la lettura di chi in questo romanzo non s’è ancora cimentato. Per cui dovrò rinunciare a farne un elogio, che sen’altro avrebbe dato un tono diverso e più morbido alla recensione.

I due autori hanno appena 26 anni, e alla loro età i margini di crescita ci sono (il tempo è dalla loro) e ogni difetto individuato dev’essere occasione di crescita, opportunità di migliorarsi. Ecco perché, quanto sto per dire, dev’essere accolto non come un indice inquisitorio puntato, bensì come una mano bonariamente protesa.
Partiamo dallo stile. Di certo la lettura non richiede eccessivi sforzi, in quanto si mantiene mediamente scorrevole. Tuttavia, molti sono i casi in cui lo stile risulta vischioso, come nel tentativo di innalzarne il livello, col solo risultato, però, che questo livello s’alza al di sopra della soglia di naturalezza. Risulta quindi leggermente artificioso e diventa evidente una innaturale vischiosità. Quel che si poteva dire in poche parole viene detto con il doppio dei termini, le subordinate si intrecciano tra loro creando lunghissimi periodi, gli incisi eccedono e spezzano il ritmo di lettura. Gli accorgimenti per risolvere tutto ciò sono più semplici di quanto si può credere: basterebbe dividere i lunghi periodi in più frasi, basterebbe evitare incisi tra soggetto e verbo, non esagerare con costruzioni e termini alti (emblematico è la lunga perifrasi: “ribatté aspra colei che rispondeva al nome di Luisa.” Mi chiedo il perché di questa scelta balzana…)

In definitiva è apprezzabile voler avere uno stile alto e non semplicistico, ma bisogna tener d’occhio la naturalezza e non forzare troppo la mano. E non disprezzare poi tanto la semplicità.

Un problema simile è il linguaggio parlato. Non sempre i dialoghi risultano coerenti, in quanto farciti di termini eccessivamente elevati. Si pensi al colloquio tra la vecchia Aurelia e suo nipote. C’è una donna con problemi psichici e in fin di vita, e il nipote le si rivolge in questi termini: “Nonna, ti supplico… ti imploro di perdonare il mio egoismo di ragazzo stupido e incosciente. Non ci sono scuse che possano giustificare un tale atto di negligenza da parte mia.” Termini eccessivi per l’occasione, ricercatezza notarile della formulazione delle frasi… irrealistico per un ragazzo che da l’estremo saluto a sua nonna. Lo stesso avviene anche nei dialoghi tra le donne ricoverate, che per quanto siano rinchiuse da una vita in un manicomio, s’esprimono con uno stile talora addirittura arguto.
La coerenza dei dialoghi è un fattore molto importante per la riuscita di un buon romanzo. Bisogna chiedersi: ma davvero, in una situazione come questa, due persone che hanno certe caratteristiche parlerebbero così? Hanno l’istruzione e il raziocino per parlare con uno stile così elevato? Sarebbe coerente con il contesto in cui il dialogo avviene?
E aggiungo un’altra cosa, a proposito dei dialoghi: non è richiesto, per ogni parola che un personaggio dice, aggiungere verbi come “Disse, rispose, ribatté, aggiunse.” Soprattutto se a parlare sono solamente due persone. Insomma, se c’è solo una coppia di personaggi che parla perché non farli parlare e basta? Al lettore è già chiaro chi dice cosa, dato che si alternano. È molto pleonastico fare invece così:“..” disse X, “…” rispose Y, “…” aggiunse X, “…” rispose Y.

Da ultimo, bisogna evitare dialoghi finalizzati esclusivamente a informare il lettore. E offro due casi: per primo, quando Asia, parlando alle sue colleghe di sue vicende passate, illustra l’applicazione della tessera annonaria. Insomma, anche loro hanno vissuto gli stessi anni. Già sanno cos’è, e quindi dov’è la coerenza nel far parlare Asia così?
Secondo caso: la lettera di Elisabetta ad Asia. La prima scrive alla seconda, all’interno di una missiva, queste righe: “come già saprai i nostri genitori sono deceduti nel ’44 a causa di un bombardamento ecc ecc ecc” Si, appunto, già lo sa. È reale e coerente che venga ripetuto in una lettera? In una situazione reale, davvero una sorella non perderebbe occasione per ricordare in che modo sono morti i genitori?
Entrambi i casi, evidentemente, vogliono informare il lettore di due eventi, il primo storico e il secondo utile alla trama. Ma lo fanno nel modo sbagliato. È chiara la plasticità forzata con cui questo scambio di informazioni avviene. Bisogna creare una situazione coerente in cui inserire le informazioni.

Sorvolando su soventi eccessi di parossismo, voglio far notare quanto sia improponibile riportare frasi o dialoghi in MAIUSCOLO solo per dare l’idea che si sta gridando o parlando in maniera concitata. Insomma, non si sta mica scrivendo un fumetto. (““HO DETTO CHE DEVI MANGIARE”, sbattendo ripetutamente il cucchiaio” pag 43, giusto per citare un caso, ma ce ne sarebbero molti)

Tutto questo è un gran peccato perché l’idea della storia poteva portare davvero a qualcosa di migliore e la scelta di tematiche e ambientazioni è davvero premiabile. C’erano molti presupposti per creare un gran romanzo, e soprattutto per via dell’espediente finale, che salva la storia da una banalità rincorsa per tutto il libro (sul piano della trama, s’intende; quanto alle tematiche e il resto, già si è detto) e le dona una grande genialità. Bastava evitare le ingenuità riscontrate e aggiungere elementi di trama più interessanti negli anni del manicomio e il risultato sarebbe stato davvero davvero incredibile.

Il talento c’è, il tempo è dalla loro parte. Malgrado gli errori, gli autori hanno dato segno di grande maturità. Continuate a scrivere, anche solo per esercizio e senza farvi prendere troppo da smanie di pubblicazione (per il momento, s’intende); continuate a leggere, molto e di qualità, per trovare una voce e uno stile vostri personali, ma che siano anche lodevoli. E i risultati arriveranno.
In bocca al lupo e ad maiora.

GLI AUTORI
Chi sono?
Christian Napoli, 26 anni, catanese, ha insegnato alla International Preschool di Göteborg ed è tornato da poco in Italia per la pubblicazione del libro. Soraya Kalantari, 26 anni, catanese e impiegata, coltiva da molti anni la passione per la scrittura. Entrambi confidano in un futuro da scrittori.
Cosa rappresenta per voi questo romanzo?
La possibilità di esprimerci attraverso la scrittura, di narrare una storia che ha coinvolto noi per primi e che ci auguriamo possano apprezzare anche altri.
Due aggettivi per definirlo?
Intrigante e passionale
Il vostro scrittore preferito?
Difficile sceglierne uno. Fra gli autori classici Orwell e Hugo; fra i contemporanei Alice Sebold e J.K. Rowling.

L’EDIZIONE
Genere:
Storico/psicologico
Casa Editrice:
Lettere Animate
Anno di pubblicazione:
Ebook: 3 Giugno 2015 – Cartaceo: 30 Settembre 2015


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