Murakami attraverso lo specchio

“La ragazza dello Sputnik”, di Haruki Murakami

Negli oltre trentacinque anni della sua carriera di scrittore, Haruki Murakami ha scritto diverse volte la storia che si porta dentro, vestendola ogni volta di colori, immagini, personaggi e sensazioni diverse. Non ci si stanca mai di leggere Murakami, certi di rinnovare un incanto fatto di descrizioni del quotidiano, protagonisti introversi e piccoli eventi inspiegabili e allo stesso tempo di trovare spunti di riflessione sempre nuovi e nuove tessere per il puzzle che compone la grande, sfilacciata e insondabile visione del mondo che lo scrittore giapponese affida alle sue opere.

La ragazza dello Sputnik non fa eccezione a questa regola, sebbene sia una delle opere di ragazzasputnikMurakami in cui l’elemento onirico e surreale compare più tardi nella narrazione. Vi si ritrovano, peraltro, tutti i temi cari al suo autore: la letteratura, il sogno, un mondo altro, l’isolamento; unito a quello dell’amore, che mai come in quest’opera ha un ruolo predominante.

Amore e morte, amore e letteratura, amore e vita: Murakami riesce a raccontare una storia d’amore tragica e profonda senza nessun sentimentalismo, ma con lo sguardo attento di chi sa che amare è un passo fondamentale nel percorso per diventare adulti, per vivere una vita piena e per poterne un giorno scrivere.

L’amore raccontato in quest’opera è quello dell’anonimo narratore per l’irrequieta Sumire, ma è soprattutto quello di Sumire per Myu, una donna sposata, diciassette anni più grande di lei.

In un periodo in cui l’amore omosessuale è al centro di dibattiti tanto accesi e spesso tanto vuoti, leggere il libro di Murakami è una boccata d’aria fresca. Alle volte, per sentirsi più vicini ad una situazione tanto dibattuta ma che non riesce ad evitare di apparire strana e lontana, bisogna avere dei conoscenti che la vivono: se ne può parlare finché si vuole, ma fino a che non la si tocca con mano in qualche modo è difficile comprendere davvero di cosa si sta parlando e cosa c’è in gioco. Spesso questo non è possibile, e allora dovrebbe entrare in gioco la letteratura.

Sumire ama Myu: non c’è nient’altro da dire. Il suo amore è caparbio e portentoso, e ad ostacolarlo non è certo l’eterosessualità di Myu, ma qualcosa di ineffabile e difficile da debellare.

Sumire, tuttavia, non è una semplice ragazza: Sumire è un’aspirante scrittrice. È irrequieta, recalcitrante, curiosa e avida di vita.

Sumire vuole vivere solo per poter scrivere di aver vissuto.

Il narratore e Myu vivono nell’ombra di Sumire. Hanno l’equilibrio che lei non ha ancora trovato, eppure Myu, che pure ha affrontato l’altro lato del mondo, non ha la forza e il coraggio di tornare indietro, come invece fa Sumire.  Si sfiorano appena e solo tramite il personaggio della ragazza che li lega, eppure il lettore ha la sensazione che potrebbero avere molto più in comune di quel che sembra, e in una climax di momenti sempre più criptici e simbolici si afferra, infine, il nucleo della storia – quanto al disvelarlo, è ancora un’utopia. E poi, si è così sicuri di volerlo?

Appena finito di leggere La ragazza dello Sputnik, ho avuto la sensazione che si trattasse, tutto sommato, di un romanzo ottimista, più ottimista di altre opere di Murakami.

In realtà è un romanzo che parla di coraggio e temperanza, un romanzo-specchio in cui chiunque può decidere se e fino a che punto immergersi. Per venirne fuori indenni, per attraversare il vento – usando un’espressione tratta da un’altra grande opera di Murakami, Kafka sulla spiaggia – bisogna tuttavia compiere un sacrificio: per dirla con le parole del narratore, tagliare la gola a un cane.

E un po’ come se tutti fossimo, in qualche modo, i protagonisti eternamente indecisi di un’opera di Murakami, la sensazione che permane dopo aver letto le sue opere migliori è proprio quella di aver versato il sangue giusto. O di aver attraversato il vento.

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