Delusione, ma soprattutto, come nel loro stile, rabbia, frustrazione, un mare di creazioni retoriche per giustificare l’onta, lo smacco. Gli Stati Uniti non amano essere secondi, figuriamoci che terzi, quarti o ultimi. Non possono, è nella loro identità, non possono permettere che la bandiera a stelle e strisce non svetti ovunque. Sono in cima nella politica, nell’economia, nella potenza militare, nell’industria, nel cinema, nello sport, come accettare, allora, che stessa cosa non accada anche nella letteratura? Come accettare che il Nobel non vesta americano dal lontano 1993?
Basterebbe dare uno sguardo ai giornali e ai media statunitensi nel periodo autunnale che precede la proclamazione del Nobel, per accorgersi quanto il loro orgoglio non riesca ad accettare che la Svezia sia cieca nei confronti della loro cultura.
È una ferita, un trauma, un dramma nazionale al pari di Pearl Harbor e l’11 settembre, e si sa che gli Stati Uniti, i traumi sanno affrontarli solo con i bombardamenti. Per cui, prima che ci sia una guerra assurda e impensabile tra la neutralissima Svezia e i sempre pronti americani, vogliate, per il bene del mondo, o accademici di Stoccolma, accontentare questo povero popolo?
D’accordo, metto da parte l’ironia e mi faccio neutrale anch’io: la situazione è davvero interessante e merita una certa attenzione. Gli Stati Uniti, nella loro storia, hanno vinto ben 10 premi Nobel per la letteratura, sebbene di loro solo 7 sono realmente americani: Bellow era canadese, Singer polacco, Brodskij era russo, ma tutti e tre avevano vissuto negli Stati Uniti e quindi sono stati naturalizzati americani, pur scrivendo nella loro lingua d’origine. Per quanto sia personalmente convinto che questi tre Nobel dovevano essere computati alle loro reali nazioni e non agli USA, fatto sta che gli Stati Uniti contano 10 Nobel, ma l’ultimo risale a 23 anni fa: Toni Morrison. Questo, loro proprio non riescono ad accettarlo: In un articolo di Salon del 2011, si scriveva:
“America wants a Nobel Prize in literature. America demands it! America doesn’t understand why those superannuated Swedes haven’t given one to an American since Toni Morrison in 1993” L’America lo vuole, l’America lo chiede, l’America non sa spiegarsi come mai non ne ha uno dal ’93.
L’articolo è del 2011 e da allora sono passati altri 5 anni e ancora le loro richieste sono rimaste inascoltate. L’articolo continua dicendo che addirittura agli Stati Uniti sono stati preferiti poeti caraibici (si riferiscono a Walcott e Naipaul) e a un Cinese (Gao Xingjian), quasi che esistessero paesi degni e altri più indegni, o che il metro di giudizio per la letteratura sia il prestigio politico del suo Stato.
Oppure, tra le giustificazioni, si incolpa la Svezia di preferire l’Europa e di avere l’America in antipatia. Insomma, anche la proclamazione del Nobel è per loro riferibile alla politica.
Non si può definirlo in altri termini: per gli Stati Uniti, la mancanza di un Nobel è una ferita profonda, un vero e proprio trauma. Tra l’altro, la relazione Nobel-USA è sempre stata un po’ litigarella: dal ‘45 ad oggi, esclusi i naturalizzati, solo 4 sono stati i Nobel per gli USA.
Dal 1993 a oggi, lo hanno invocato con insistenza: prima per gli ormai defunti Updike, Doctorow e David Foster Wallace, poi addirittura per Bob Dylan, adesso per Pynchon, Oates, Roth, McCarthy, De Lillo.
Chissà, forse per il 2016 saranno accontentati, se non altro, per una questione statistica, un po’ come per i numeri ritardatari alle estrazioni del Lotto: ma dubito, personalmente, che Roth o McCarthy, così popolari, possano esserne insigniti, secondo come ragionano a Stoccolma. Discorso analogo per De Lillo, troppa americaness. Forse più probabilità hanno Pynchon e Oates, che rispetto agli altri lavorano più in sordina.
Tra l’altro Pynchon è celebre per non avere una immagine pubblica di sé, non si mostra in giro, non ci sono in circolazione sue foto se non risalenti agli anni del college (al punto da essere stato parodiato in una puntata dei Simpson, in cui appare con un sacco sulla testa e un grosso punto interrogativo), e questa peculiarità può far gola a Stoccolma.
Purtroppo, per quanto a noi diverta, non si può mai predire con esattezza un nome che vincerà il Nobel: tutto dipende da quale ragionamento farà l’Accademia di Stoccolma, quindi il massimo che si può predire è il ragionamento stesso. E non è tanto impossibile che il ragionamento di quest’anno preveda riportare il Nobel negli States.
Intanto, noi del Rifugio dell’Ircocervo attendiamo con trepidante attesa la proclamazione del Nobel 2016, che dovrebbe avvenire il 6 o l’8 ottobre. E per avvicinarci a questa data, il presente articolo rappresenta un primo passo. Perché il Nobel, si sa e ne abbiamo scritto spesso, è sempre accompagnato da polemiche e quant’altro, ma ahimè, ha pur sempre il suo fascino, soprattutto quando osserviamo quello che sta intorno, come in questo caso.
Ma per finire, una cosa dico agli americani: chi avrebbe da lamentarsi, anche più di voi, saremmo noi italiani.
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