Cosa c’entrano Fantozzi e Villaggio con la cultura e la letteratura?

Il mondo culturale e letterario italiano non può sentirsi esente dal lutto per la scomparsa di Paolo Villaggio. Non si trattava solo di un comico, di un attore, relegato a quella che molti continuano a credere comicità demenziale o di basso livello. In quanti sanno che Paolo Villaggio ha scritto qualcosa come 30 libri circa? Sì, si dirà che pubblicare libri non rende necessariamente scrittori, è vero. Ed è vero che Villaggio sarà in primis comunque un attore, che in tanti, a ragione, definiscono una delle ultime maschere della commedia dell’arte.
Ma la verità è che il Villaggio creatore di Fantozzi (non dimentichiamo che ha svolto ruoli anche drammatici in film d’autore, come in Il segreto del bosco vecchio, film di Ermanno Olmi basato sull’omonima opera di Buzzati, o La voce della luna di Fellini, che gli valsero il David di Donatello e il Nastro d’Argento) è stato un umorista post-litteram che – sebbene il paragone possa sembrare azzardato – può essere inteso come un allievo della tradizione satirico-grottesca di Gogol’ o ancor meglio di Jaroslav Hašek.
Fantozzi non è altro che il buon soldato Sc’vèik della società italiana del secondo Novecento.

Villaggio ha saputo raccontare con attenzione sociologica chirurgica e limpida la società italiana come pochi, quasi da meritare un altro paragone, ovvero con l’Ottiero Ottieri di Donnarumma all’Assalto (romanzo del ’59) o in misura appena diversa con il Volponi di Memoriale (1962), che affrontarono in letteratura il tema dell’industrialismo, della vita di fabbrica, dei contrasti sociali nel mondo del lavoro, proprio come circa dieci anni dopo, con ben altro tono, avrebbe fatto proprio Villaggio.

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Villaggio in una scena de Il segreto di Bosco Vecchio (1993)

Il personaggio di Fantozzi, apparso per la prima volta nell’omonimo romanzo del 1971 e solo dopo divenuto personaggio cinematografico, rasenta l’italiano medio, piegato all’etica del servilismo nei confronti dei potenti, sfruttato sul luogo di lavoro in tempi in cui la parola mobbing era ancora sconosciuta, schiacciato tra l’incudine del miraggio della rincorsa al successo economico imposta dalla società e il martello della sua impossibilità a raggiungerlo (e qui si potrebbe parlare a lungo del confronto con le teorie sociologiche struttural-funzionaliste di Robert Merton).
Fantozzi è uno sfigato, detto in parole povere, è uno sfruttato, un inetto, e vederlo vinto, sconfitto, caduto, sbeffeggiato, offeso, denigrato ha nello spettatore o nel lettore un effetto catartico. Fantozzi è tutti noi nella vita quotidiana. La sua infima esistenza rassicura, “c’è chi sta peggio di noi” si pensa, e paradossalmente induce a ridere dei drammi e delle sventure che noi stessi subiamo.

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Il primo libro di Fantozzi (Rizzoli)

Fantozzi ci fa ridere di noi stessi, delle nostre sventure e dei nostri vizi.
È l’alter ego dell’italiano medio, rappresenta tutti noi nella nostra miseria, nei nostri contrasti sociali. Inscena altresì una critica alla società paternalistica: Fantozzi è il servile, colui che viene chiamato merdaccia o menagramo, che si inginocchia di fronte al Megadirettore Galattico e risponde alle sue offese con “Com’è umano lei”, salvo poi tornare a casa e urlare contro sua moglie e sua figlia, esigere d’essere servito e riverito, per sfogare nell’ambito domestico tutti i soprusi e le angherie del quotidiano.
Fantozzi inoltre ha inscenato ogni aspetto della vita italiana: la lotta di classe, il fascismo, gli anni di piombo, le elezioni politiche, e tanti altri episodi celebri.

 

Che Villaggio abbia svolto un ruolo importantissimo nella cultura italiana lo dimostra anche l‘enciclopedia Treccani.

fantòzzi (o Fantòzzi) s. m. [uso antonomastico del cognome del ragionier Ugo Fantozzi, personaggio comico cinematografico creato e impersonato dall’attore P. Villaggio], fam. – Uomo incapace, goffo e servile, che subisce continui fallimenti e umiliazioni, portato a fare gaffes e a sottomettersi ai potenti: oggi mi sento proprio un f.i fantozzi della politica.
fantozziano agg. [der. di fantozzi (v. la voce prec.)], fam. – Di persona, impacciato e servile con i superiori: quel collaboratore è proprio una figura fantozziana. Anche, di accadimento, penoso e ridicolo: una situazione fantozziana.

Ennesimo segnale di come Villaggio abbia influenzato la nostra lingua oltre che la nostra cultura. Merito non esclusivo di questi neologismi, ma anche della lingua fantozziana, che Villaggio ha inventato per i suoi romanzi e che traspare anche dai dialoghi dei film (di cui Villaggio, oltre che soggettista, era anche sceneggiatore) e dalle parti in cui la voce fuori campo di Fantozzi fa da narratore. Una lingua grammaticalmente errata e iperbolica: pensiamo al “dichi!”, così noto da essere utilizzato scherzosamente nella conversazione informale; oppure alle battute celebri, da “chi ha fatto palo?” al “la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca” a cui seguirono 92 minuti di applausi, oppure la antonomastica nuvola di Fantozzi, e tanti altri
E quanti sanno che Villaggio scrisse i testi di alcune celebri canzoni di De Andrè? Si pensi a Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers. Insomma,  per concludere, un contributo culturale inestimabile.

Addio Paolo Villaggio, attore, umorista, scrittore e intellettuale.

– Giuseppe Rizzi –

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