Alle origini storiche dell’attuale crisi editoriale in Italia

Negli ultimi anni, mesi, giorni, in continuazione si discute dell’annoso problema della crisi dell’editoria. In Italia si legge poco, si comprano pochi libri, gli editori vedono spesso ridursi il proprio utile, eccetera eccetera eccetera, insomma, tutte cose di cui avete sentito e risentito parlare. Voglio dirvi altro.

Qualche giorno fa ero in una biblioteca universitaria a consultare quotidiani del Ventennio fascista. E mentre scorrevo le pagine di un Corriere della Sera del gennaio 1937 al fine di analizzare le notizie politiche di regime, mi imbatto – serendipity – in un ampio articolo nella pagina di cultura dal titolo:

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Subito penso: 80 anni fa si discuteva della stessa questione di cui si discute oggi. Possibile non si sia fatto un passo avanti da allora?
L’articolo recava la firma di Luigi Barzini jr. e analizzava il problema secondo un’intervista nientemeno che ad Arnoldo Mondadori e a Valentino Bompiani in persona. Ne emerge un quadro di crisi paradossale e inspiegabile, i cui strascichi, forse, viviamo ancora adesso.
Davvero la crisi editoriale in Italia è un problema ‘atavico’ e insanabile? Forse che allora la situazione attuale rifletta cause di lungo periodo, insite nella ‘cultura’ dell’italiano? È l’ennesimo caso di un Gattopardo all’italiana, in cui nel tempo cambia tutto senza che effettivamente cambi nulla?

La premessa da cui parte l’articolo è che le bancarelle sui marciapiedi o sotto i portici, che vendono libri a 2 lire, sono prese d’assalto; allora perché gli editori non ribassano il prezzo per far fronte al problema della scarsità di vendite?

ARNOLDO MONDADORI: “Ridurre il prezzo dei volumi? Non ne vedevo la maniera” tale da poter far fronte a “gli stipendi, le tasse, gli affitti, i viaggi, le spese di corrispondenza, l’ammortamento di uffici e di impianti, oltre a tutto il resto. Talmente esiguo infatti questo margine dell’editore, che solo raramente la pubblicazione di una novità italiana rappresenta dal punto di vista commerciale un buon affare, un successo… che cos’altro potrebbe limare? La percentuale ai librai, le cui condizioni sono già così difficili? La percentuale dell’autore, che raramente può vivere sulle vendite delle sue opere?”

VALENTINO BOMPIANI: “Una novità è raramente un successo. Alcuni tra gli scrittori più noti, più discussi in Italia e all’estero hanno vendite esigue. Il pubblicarli è, per un editore, un dovere morale, ma richiede uno sforzo notevole alla fin d’anno per poter pagare le spese… E’ troppo semplice supporre che riducendo tutto a un prezzo solo, il minimo, i mali dell’industria editoriale saranno sanati.”

LA TESI DI LUIGI BARZINI, ‘UN CIRCOLO VIZIOSO’: “Se il pubblico si buttasse a capofitto sulle novità librarie, ne strappasse dalle mani dei rivenditori decine e decine di migliaia di copie nelle prime settimane, ancora fresche d’inchiostro e odorose di tipografia, allora sì che si potrebbe considerare una diminuzione del prezzo! Allora sì che il costo di produzione calerebbe da solo, l’autore si accontenterebbe di un guadagno minore per copia e le spese generali dell’azienda, frazionate all’infinito, non graverebbero così pesantemente su ogni volume! Allora sì che veramente si porterebbero libri italiani, nuovi, aderenti alla vita nostra quotidiana, in tutte le case. Gli scrittori sarebbero ben pagati, ben nutriti, bene alloggiati… Le librerie, locali dove ora vive la noia, e dove si parla sottovoce, diventerebbero giocose botteghe piene di gente, di commessi indaffarati, di libri vivaci e allettanti. Le Case editrici, prospere e senza preoccupazioni, potrebbero mantenere da mecenati interi giardini di poeti delicatissimi e di prosatori criptografici. Tutto questo, dicono gli editori, se il pubblico si interessasse un poco più di libri, ne comprasse per sé, per regalarli, per deporli in biblioteca.”

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Arnoldo Mondadori (al centro) con Aldo Palazzeschi (a sinistra) e Giorgio Bassani (a destra), Venezia, 1968. (Mondadori Portfolio, fonte Internazionale)

Continua Barzini: “E qui si profila, in tutta la sua maestosità, il noto circolo vizioso del problema editoriale… Come possono i lettori comprar molti libri se costano troppo caro? Come fa l’editore a vender libri a basso prezzo se i lettori non ne comprano centinaia di migliaia di copie? E d’altra parte, che bisogno di sarebbe di diminuire il prezzo, se i lettori già ne comprassero abbastanza?
E’ questa catena infrangibile che par necessario spezzare… La colpa non è di nessuno, apparentemente. Tuttavia lo spettacolo che ci dà la scena libraria italiana è bizzarro. Esistono voraci consumatori di libri a centinaia di migliaia. Esistono editori abili e accorti. Esistono scrittori intelligenti. Il tutto sommato dovrebbe produttore una industria florida. Invece, per un fenomeno inesplicabile, i diversi elementi non si uniscono, non collaborano, non armonizzano. E il pubblico compra Guerra e Pace, o i Saggi Critici di De Sanctis sulle bancarelle.” Questa è la conclusione dell’articolo e della tesi di Barzini, di cui ripeto l’anno: 1937.

CONSIDERAZIONI SULL’EPOCA: “In nessun altro Paese – nota Barzini – forse il massimo numero di lettori si trova esattamente nella identica categoria di reddito. In nessun altro paese le abitudini del lettore medio o le sue possibilità corrispondono a quelle dell’italiano.”
Vale a dire che il libro era accessibile solo a una fascia ristretta della popolazione, la quale può permetterselo mentre le altre no. Non è tanto un problema di alfabetismo e istruzione come si potrebbe pensare: l’offerta era varia, e anche la popolazione meno istruita poteva trovare romanzi di appendice in cui dilettarsi (e lo dimostra come le bancarelle di libri vendessero “centinaia di migliaia di copie”). La questione era certamente economica, e in parte anche d’educazione alla cultura.

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Valentino Bompiani (sinistra) con Alberto Moravia (centro) e Elio Vittorini (destra). Fonte: Ronzani

Economica perché una nuova uscita poteva costare circa 20 lire (il prezzo citato da Arnoldo Mondadori per l’esemplificativo “I quaranta giorni del Mussa Dagh” di Werfel) e una edizione ‘economica’ aveva come prezzo minimo 9 lire. Numeri, dite voi. Infatti occorre confrontare al costo della vita di allora, quando un impiegato comunale non guadagnava più di 400 lire mensili, e un affitto poteva costare dalle 200 lire in su. Su uno stipendio di 400 lire, un libro di 20 lire incide per il 5%. In proporzione è come se una persona che oggi percepisse uno stipendio di 1000 euro – calcolando una spesa del 5% – dovesse pagare una nuova uscita 50 euro (o analogamente una edizione economica circa 22 euro).

QUELLO CHE VALE ANCORA ADESSO:
La questione economica oggi.
 Ma se ad oggi un libro non incide più così tanto sulla disponibilità economica delle persone, tuttavia si continua a discutere di quanto i prezzi di copertina dei libri siano ‘percepiti’ generalmente troppo alti. Recentemente, per restare sul caso Mondadori, la Casa editrice, con la nuova veste grafica dei suoi Oscar, ne ha approfittato per aumentare sensibilmente i prezzi, come ho avuto modo di raccontare in questo articolo. Ad esempio: Il barone rampante è passato da 9,5€ a 14€; Cent’anni di solitudine da 10€ a 14€, ecc. Magari per chi percepisce lo stipendio mensile di un dipendente comunale è una differenza che può lasciare indifferente, ma nel caso di studenti, giovani, lavoratori precari, tirocinanti, stagisti, dottorandi ecc ecc che rappresentano spesso per variabili socio-demografiche un notevole target di lettori, la differenza, anche solo a livello di percezione, si fa notevole, e così si ricorre ai ‘discount’ di libri online, alle bancarelle, alle fiere dell’usato, ai bookcrossing, ad Amazon e a quant’altro, per aggirare i prezzi elevati del libro. È evidente come tale ‘raggiro’ possa provocare un contro-effetto sull’industria del libro.

Personalmente sono uno di quei lettori-acquirenti che nel marketing si definiscono “cacciatori di occasioni”. In autunno e in primavera, a Bologna dove studio, si svolge la tradizionale fiera del libro, e faccio spesso acquisti di libri praticamente nuovi, appena usciti, che trovo al 50% come minimo, a volte addirittura a prezzi forfettari di 2/3/4 euro, a fronte di 10/12/14 euro del prezzo di copertina. Per non parlare delle “librerie libere” dove i libri sono gratis (ne avevo parlato qui ). Quindi come notava Barzini, spesso i libri acquistati sulle bancarelle e sui circuiti alternativi alle librerie (che oggi grazie all’e-commerce si sono moltiplicati) sono ancora oggi forse più numerosi di quelli acquistati in libreria. E questo dimostra come in 80 anni le cose siano rimaste da questo punto di vista identiche.

Altro aspetto che è rimasto tale è la percezione del libro come bene di lusso, che ha due conseguenze: da una parte, come mette in luce l’articolo, il massimo numero di lettori si trova esattamente nella identica categoria di reddito, e quindi a classi sociali con redditi maggiori sono associati lettori con acquisti di libri maggiori. Allora alcune fasce della popolazione percepiscono il libro come distintivo di classi alte e benestanti, e alieno dalla propria identità sociale. Seconda conseguenza è che la spesa per un libro viene percepita come un lusso inutile, come un acquisto eccessivo e non indispensabile. L’educazione alla cultura, o ancor meglio all’acquisto e alla fruizione della cultura, è un problema che abbiamo già associato a quello economico, nel determinare già nel 1937 la crisi dell’editoria. Quindi anche da questo punto di vista le cose sembrano essere rimaste grosso modo tali.

Possibile allora che nel 2017 viviamo ancora gli effetti di irrisolti problemi vecchi quasi un secolo? Certo è che dal 1937 al 2017, il contesto dell’editoria si è stravolto grazie a nuove condizioni economiche, a nuovi problemi, allo sviluppo del digitale e dell’e-commerce ecc. Ma è forse vero che in 80 anni, sebbene siano cambiate tantissime cose, le cause e gli effetti che determinavano la crisi allora determinano la crisi ancora ora?

– Giuseppe Rizzi –

 

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