Tre vivi, tre morti, Ruska Jorjoliani
(Voland, 2020)
Quello dei “tre vivi e tre morti” era un tema iconografico molto diffuso nel Medioevo, una declinazione originale del celebre memento mori. Si riallaccia a una leggenda narrata in un poemetto francese, il Dict des trois morts er des trois vifs, di Baudouin de Condé, in cui tre nobili cavalieri incontrano in un bosco tre cadaveri “viventi”, i quali ricordano loro che presto saranno tutti uguali. Alla morte non c’è scampo, nemmeno per i nobili. Nel romanzo di Ruska Jorjoliani, il tema viene ripreso direttamente in una storia dentro la storia, scritta in gioventù da uno dei vari personaggi che popolano l’opera. La metafora però è ben più forte, perché il segreto al cuore delle vicende, l’evento del passato che dà il via al corso degli eventi, coinvolge proprio tre vivi (negli anni ’50) e tre morti (negli anni ’40).
La trama, se riassunta in poche parole, rischia di non rendere giustizia al vero senso del romanzo. Nella sua forma più banale, Tre vivi, tre morti parla di un amore ormai prossimo al fallimento, quello che lega Modesto e Aurora. Insegnanti di professione, si sono conosciuti nella Firenze del 1946, il giorno in cui le donne poterono votare per la prima volta, in un incontro fortuito che ha segnato la vita di entrambi. Diversi anni dopo, Modesto e Aurora sono sposati, non hanno figli e si tradiscono ripetutamente alle spalle: lei con Luciano, affascinante (più o meno) ed egocentrico amante, lui con Clio, bella e provocante attrice.
Un giorno Modesto riceve una criptica lettera, quasi una minaccia, e da allora sembra che non solo lui, ma tutta la storia si inceppi su se stessa. Modesto inizia a comportarsi in modo strano, e con lui l’intera struttura narrativa, che si frammenta, segue diverse prospettive, dice meno di quel che potrebbe dire, va avanti e indietro nel tempo finché non decide di interrompersi, prendere un breve respiro (l’intermezzo che separa le prime due parti) e ricominciare da capo, con una storia che ha origine alla fine degli anni ’30, in Russia.
Tre vivi, tre morti è quindi diviso in tre blocchi principali, incentrati prevalentemente sulla vita di Modesto a cavallo tra due decadi: gli anni ’50, che aprono e chiudono il romanzo, in cui la sua voce viene affiancata da quella di Aurora, e gli anni ’40, nel pieno della Grande Guerra, dove avviene il fattaccio cui potrebbe alludere la lettera di minacce. Il primo e terzo blocco sono estremamente frammentati, con cambi di prospettiva, de-costruzioni della narrazione, intermezzi particolari come l’inserimento di pagine di diari, mentre il secondo blocco è più compatto, anche se i punti di vista sono comunque molteplici e non sempre le vicende narrate si adattano a un ordine strettamente cronologico, con lunghi flasback sull’infanzia del protagonista.
L’opera è quindi molto più intricata e complessa di quel che una sua breve presentazione potrebbe lasciar suppore, portando il lettore in un viaggio nella Storia dell’Italia senza che questa diventi mai così pregnante da appesantire il racconto. È vero, se non ci fosse stato il fascismo la vita dei protagonisti avrebbe seguito una strada completamente diversa: Modesto non avrebbe mai incontrato Aurora, non si sarebbe portato sulle spalle il peso di un errore senza giustificazioni, non sarebbe mai diventato l’uomo che è. Eppure la Storia funge da impalcatura per qualcos’altro, la costruzione di personaggi complessi raccontati però con toni ababstanza leggeri. La durezza di alcuni episodi viene stemperata dall’originalità e dalla particolarità della struttura narrativa, dai titoli sopra le righe che introducono i vari capitoli, dagli eccessi quasi grotteschi in cui cadono certi personaggi particolarmente eccentrici.
Ruska Jorjoliani è riuscita a raccontare con voce originale una storia che tutto sommato parte da premesse abbastanza banali, mettendo in scena la guerra e il tradimento in toni mai davvero troppo pesanti, e dando personalità anche a quei personaggi secondari che compaiono sulla scena il minimo indispensabile.
Se un libro non si deve mai giudicare dalla copertina, in questo specifico caso non bisogna lasciarsi influenzare nemmeno dalle premesse e dalla trama: Tre vivi, tre morti va letto e basta, perché sarà sempre e comunque una scoperta.
Anja Boato