Sicilia isola di stupìdi – su “Stupidistan” di Stefano Amato

Stupidistan, di Stefano Amato
(Marcos y Marcos, 2020)

stupidistan_copertina_webLo aveva già descritto Mike Judge in Idiocracy: un mondo instupidito dal procreare dei soli stupidi. Stefano Amato, siracusano, ne ha ritagliato l’epicentro e lo ha dipinto con un’ironia divertente ma soffocante. La Sicilia di Stupidistan è pericolosa talmente è stupida, evitata e derisa dal resto del mondo, abbandonata a se stessa da decenni. In Italia giungono soltanto leggende talmente surreali da non venire credute e le barche dei contrabbandieri di tabacco, che viene pagato in opere d’arte.

Patrizia (Patty) Carnemolla è siciliana ma vive a Roma da sempre. è stata portata dai suoi appena in tempo, prima che l’isola vestisse a pieno i suoi panni di isola e restasse isolata, appunto, dal resto del mondo. Le pagine seguono il precipitare di Patty in un incubo, quello che inizia quando si risveglia in Sicilia. Per errore direbbe qualcuno, ma forse in realtà soltanto a causa di quella forza tenace che hanno le radici, che tengono la pianta ancorata al terreno per quanto questa riesca a crescere.

È difficile per la giovane dogsitter protagonista non credere adesso a quelle leggende che sembravano assurde. Intorno a lei va in scena uno spettacolo incomprensibile, dove a dominare il palcoscenico è tanto il caos quanto il cattivo gusto. Per tutto il corso del romanzo, Amato traccia un parallelo esplicito fra etica ed estetica. Nell’isola, la totale assenza di senso civico si accompagna alla maleducazione, la violenza e l’ignoranza si suggellano nei tagli di capelli da stupìdi (con l’accento sulla i), nelle polo col colletto alzato, nella musica neomelodica e nel trucco pesante.

I siciliani con cui si scontra Patty vivono in un universo tutto loro, dove loro sono quelli intelligenti e babbo è chi è fuggito. Perché per un siciliano stupìdo la Sicilia del 2050 descritta da Amato è un paradiso, è la consacrazione vera della libertà nel suo senso più genuino di assenza di costrizioni. È questo il grande pregio della terra di Stupidistan e che tutti non mancano di sbattere continuamente in faccia a Patty, biasimandole un’inflessione neutra e comprensibile e la forma fisica snella. Una sola regola guida la vita di tutti – ma più che una regola è una sorta di principio guida etico: Uniti si vince!, la libertà come liberazione. Perché se la Sicilia di prima «era un posto di merda. Con un macello di regole, leggi, tasse»(p.36) è bastato smettere di pagarle tutti insieme, smettere di andare a scuola tutti insieme, smettere di vaccinarsi tutti insieme e in questo modo, uniti, si è vinto. 

Amato descrive tutto questo in commedia, facendo ridere molto e spesso. A volte è il modo puramente comico a emergere, come, ad esempio nei grossolani errori di pronuncia degli abitanti di Stupidistan o nella folkloristica ignoranza; altre volte, invece, si ride di umorismo, e fra le due cose corre una differenza che, guarda caso, proprio un autore siciliano ha esplicitato. Il grosso delle risate si smorza, quando sorge la consapevolezza amara che il mondo descritto non è poi così lontano. 

La fantasia di Amato, in quell’etica e quell’estetica a cui si è accennato, ha lavorato soltanto esasperando, ingigantendo, ridicolizzando difetti che sono già in essere da tempo in quella patria di contraddizioni che è l’isola siciliana. Stupidistan è ovviamente una sfacciata critica sociale, un tagliente J’accuse nei confronti dei conterranei dell’autore, ma quest’ultimo si è ben guardato dall’infarcire le pagine del libro di una retorica stantia su quanto quella terra sia bella e quanto abbia significato nella storia. Amato non ci gira troppo intorno quando parla di gioco d’azzardo, di rifiuti e di alimentazione, ma non lo fa neanche quando descrive menefreghismo, diffidenza e omertà. È diretto e crudo perfino sull’arrendevolezza di chi avrebbe in mano gli strumenti per salvarla quella terra, ma preferisce andare via o restare fermo. La sua sicilianità, come il lascia passare degli afroamericani sulla n-word, gli consente di essere schietto e sincero al limite dell’offensivo. Un limite a cui, a dire il vero, si avvicina forse più in sede estetica che etica.

Dunque, la condizione biografica di Stefano Amato rende tutto il testo un’autocritica, con toni anche toccanti, quando descrive l’esistenza di chi stupìdo non è, ma di stupìdi si ritrova ad essere circondato sin dall’adolescenza: tuttavia, non si tratta di un’autocritica distruttiva. Fra le righe, ma non solo, l’autore prospetta soluzioni, senz’altro rivolge appelli, fintamente indirizzati alla futuristica Italia del narrato che ha ancora speranze di salvezza, ma diretti, fuor di narrazione, alla Sicilia di oggi:

«Dì agli italiani di stare attenti se non vogliono fare questa fine. E il rischio c’è perché è già cominciato anche lì, è pieno di gente come me, gente senza ambizione che vive alla giornata. Digli di leggere e studiare e impegnarsi. Digli di viaggiare e di essere aperti al nuovo, al progresso. Instilla in loro il dubbio che non è detto che siccome si è sempre fatto in un modo, allora quello è il modo giusto di farlo» p. 208.

A volte si ha l’impressione, prendendo in mano un romanzo, che sia diretto a un target molto specifico. In alcuni casi è veramente così. Con Stupidistan si può avere l’impressione che sia indirizzato ai siciliani, o almeno ai siciliani disillusi e critici, magari proprio quelli che sono fuggiti. Invece, Stupidistan funziona perché, oltre a risultare una commedia brillante, possiede il valore che non può mancare in tutte le storie che funzionano: è universale. Narra di una terra condannata e bistrattata e dei suoi spiragli di salvezza. È un po’ quell’isola che Goethe ebbe a definire il “giardino del Mediterraneo”, ma che è un po’ anche la terra di tutti. 

Giuseppe Vignanello

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