Bach, Pedro Eiras
(Il Ramo e la foglia edizioni, 2022 – Trad. M. Graziani)

Non amo i romanzi sui compositori. Ogni volta che mi sono imbattuto in essi non vi ho mai trovato nulla che già non sapessi sulle loro vite, né tantomeno qualcosa di nuovo sulla loro musica. Nei casi migliori questa era solo un pretesto per raccontare una storia, rendendo assolutamente irrilevante il fatto che i protagonisti fossero compositori. Nei casi peggiori, invece, gli autori tentavano di descrivere la musica con un profluvio di frasi retoriche quanto inutili. Mi sono a lungo interrogato sul perché ciò avvenisse, giungendo a due conclusioni: in primis, le vite dei compositori sono molto meno interessanti delle loro musiche; in secundis, della musica, come di Dio, è impossibile parlare.
Ciò che accade in Bach di Pedro Eiras (tradotto in Italia grazie ad il Ramo e la foglia edizioni) è invece molto diverso. Si tratta di un’opera in cui lo scrittore portoghese sceglie di non raccontare la vicenda biografica del Kantor, ma di far parlare – attraverso quattordici brevi miniature – delle figure legate a lui e alla sua musica in modi a volte misteriosi e affascinanti. La seconda moglie Anna Magdalena Bach, il filosofo Leibniz, Martin Lutero o i registi Straub e Huillet sono solo alcuni dei personaggi di questo sistema di pianeti che ruota attorno ad una stella assente.
Così come la musica muta secondo l’epoca in cui viene interpretata, anche la scrittura di Eiras assume toni molto diversi a seconda del personaggio che parla e della sua epoca, con una pluralità di stili che è resa chiaramente nella traduzione italiana di Michela Graziani. Eiras riesce a liberare la propria opera dall’isteria del biografismo rendendo Bach non un personaggio tra i tanti, ma un particolare tipo di energia che permea lo spazio e trascende il tempo, una forza colta negli effetti che ha lasciato nella Storia umana, ma anche nei suoi antecedenti (come nel capitolo su Lutero), come se la musica di Bach esistesse prima di Bach stesso.
I capitoli del libro attraversano trecento anni di storia in modo rigorosamente non cronologico. L’ordine del tempo viene rotto in una maniera che rende Bach contemporaneo alle voci di tutti i personaggi, nonostante la sua musica venisse giudicata – per un curioso scherzo del destino – “vecchia” e fuori moda dai suoi contemporanei. Allo stesso modo appare anacronistica la scelta del musicista Gustav Leonhardt il quale, in mezzo alle macerie del dopoguerra, non resiste alla tentazione di occuparsi di questa musica inattuale e ‹‹minacciata di morte››, suonata da strumenti quasi dimenticati. Filologo rigorosissimo che cercava di ricostruire con cura maniacale la musica di Bach, il personaggio di Leonhardt sostiene che ‹‹la conoscenza e la tecnica, insieme agli strumenti originali, sono solo mezzi per conoscere il suono autentico che esiste in noi››[1].
L’incontro con la musica genera dunque una profonda conoscenza di sé che si sottrae al legame con un particolare momento storico. La musica esiste solo nel suo farsi, in un presente sempre attuale che la rende fondamentalmente a-storica. Essa sfugge alla profondità temporale di presente, passato e futuro e per questo resta inafferrabile. Tale ineffabilità è probabilmente il fondamento del libro di Eiras, che scrive: ‹‹Forse non è possibile scrivere sulla musica, forse le parole trovano lì il loro limite››[2]. La musica esiste fuori dal linguaggio, con delle sue regole proprie che si sottraggono alla necessità di nominare ogni cosa. Il suo luogo non può quindi essere la pagina, ed essa resta drammaticamente fuori dal testo. Scriverne significa fallire:
‹‹Cosa cerco? Devo fallire questo libro. Ma forse posso scrivere sul fallimento del linguaggio. Scrivere i tentativi, gli errori, accettare che il linguaggio sbagli. Quello che cerco è imparare a fallire.››[3]
Proprio grazie a questo lavoro “per sottrazione” Eiras riesce a dare vita ad un’opera eminentemente musicale, che riproduce indirettamente la natura stessa della musica. Lo scrittore nota come nei vangeli la musica sia praticamente assente, ad eccezione della parabola del figliol prodigo: quando questi ritorna presso il padre vengono organizzate in suo onore feste in musica. La musica qui ha a che fare con un’assenza, viene utilizzata per decretarne la fine, ma non solo: quando il figlio maggiore ritorna dai campi “schiva la musica” e rimprovera il genitore. È questo il gesto che Eiras fa proprio: egli ha cercato di “schivare” la musica per rappresentarne l’essenza, ovvero il suo sfuggire.
Giacomo De Rinaldis
[1] p. 52
[2] p. 29
[3] p. 30
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