L’origine della specie, Kim Bo Young
(add editore, 2023)
Qui in occidente, ma soprattutto qui in Europa, respiriamo di continuo un certo senso di superiorità che, per quanto possiamo cercare di decostruire e destrutturare, ci porta a trattare tutto ciò che non è occidentale ed europeo come esotico e buffo, tuttalpiù affascinante. Ci trinceriamo dietro millenni di storia, dietro a una sedicente origine della civiltà, e ignoriamo che anche altrove hanno millenni di storia, anche altrove hanno dato origine a civiltà.
Un posto come l’estremo oriente, ad esempio, con tre volte la superficie e la popolazione europee, viene di frequente ridotto a due sole narrazioni possibili: immense lande rurali abitate da popoli con un forte senso del collettivismo o metropoli futuristiche, distopiche e labirintiche dominate da individualismo e corporation, una specie di grande città statunitense portata alle sue estreme conseguenze. Ogni terza opzione è esclusa.
Fra tutti i paesi dell’estremo oriente ce n’è uno che al giorno d’oggi si presta più degli altri a una lettura stereotipica. Una volta avremmo detto che questo paese era il Giappone, ma oggi è decisamente la Corea a influenzare più di qualunque altro paese asiatico lo sguardo occidentale, sull’Asia e non solo. Anima e manga cedono lentamente il passo a k-pop e Hallyu in genere
L’Origine della Specie, raccolta di racconti dell’autrice sudcoreana Kim Bo Young, gioca con questa narrazione maneggiando un genere che ha visto in occidente, e soprattutto negli Stati Uniti, la sua epoca d’oro e i suoi esponenti di spicco. Eppure, è già da tempo che l’asse della fantascienza e delle distopia si sta spostando verso est, trovando proprio in Corea degli esempi interessanti.
Un altro esempio è La torre di Bae Myung-Hoon che abbiamo recensito qui. Non è un caso che entrambi i volumi siano stati pubblicati in Italia da Add Editore. Ormai da anni infatti, la casa editrice di Torino svolge un lavoro encomiabile per ciò che riguarda l’Asia e la sua narrazione. Lo fa nella direzione dello scardinamento degli stereotipi di cui sopra, dando spazio anche qui da noi alle voci coreane e asiatiche in genere che già si sono distinte in patria per originalità e talento.
Androidi, virtual reality, viaggi nel tempo, nella sua raccolta Kim Bo Young si misura con tutti i topos della fantascienza. Il risultato è un grande rispetto di quella che ormai è una tradizione, la quale viene bilanciata con elementi originali e innovativi. Ogni innovazione entra in punta di piedi, i plot twist sono delicati e, complice forse la traduzione italiana, ammantati di una certa poetica. Per il lettore il risultato finale è quasi un senso di estraniamento. Dopo un colpo di scena, un’ allusione, un cambio di prospettiva, il lettore rimane ancora per qualche frase con il dubbio che ci sia qualcosa che non torna, che le cose non siano esattamente come sembrano. Poi, pezzetto dopo pezzetto ogni elemento trova il suo posto.
Al centro della narrazione c’è spesso una domanda: Cos’è la vita? Quando qualcuno, o qualcosa, può considerarsi vivo? La domanda è informata da una concezione del vivente prettamente orientale, per nulla confinata all’organico, ma che anzi riempie anche l’inanimato di significati alternativi, fra cui anche la possibilità della vita.
Nella raccolta questo principio si declina in molti modi diversi. Il fulcro narrativo del racconto Scripter, per esempio, ruota attorno al dubbio che attanaglia il moderatore entrato nel gioco per convincere l’ultimo giocatore rimasto a scollegarsi. Il dubbio riguarda una ragazza, che il moderatore non riesce a capire se sia un personaggio non giocabile ottimamente programmato, o se effettivamente vi sia dietro un giocatore in carne ed ossa. Inscenando una spirale di colpi di scena, dubbi e domande l’autrice suggerisce una profondità ulteriore del quesito in questione, tirando in ballo temi come l’identità e la realtà.
Ma la potenza del tema della vita si manifesta al suo massimo nel racconto principale della raccolta, che oltre ad aprirla e a chiuderla le dà anche il titolo.
Il futuro post-apocalittico de L’Origine della Specie è uno specchio perfetto del nostro presente. I robot che popolano quel mondo hanno strutture sociali e problemi universali del tutto accomunabili ai nostri. Vi è perfino la paura di una crisi climatica, che danneggerebbe il perdurare delle altissime temperature e della cappa tossica che ricopre l’atmosfera, condizioni d’esistenza necessarie alla civiltà dei robot.
In questo futuro lontano il concetto di vivente esiste ancora, è solo cambiato leggermente di senso. Per fortuna l’autrice ce ne fornisce una definizione piuttosto precisa:
«La vita deve possedere il libero arbitrio, sfruttare l’energia
p. 61
elettrica, avere dei chip ed essere prodotta dalla fabbrica.»
Va da sé che quando un gruppo di accademici avanguardisti inizia a ipotizzare che la materia organica sia viva, la reazione del resto degli scienziati sia di stupore, sdegno e indignazione. Quell’ammasso di cellule fondate sul carbonio non è vivo e non può esserlo. Gli mancano i requisiti fondamentali. Eppure in quell’ammasso di cellule e nella sua evoluzione c’è un percorso ciclico e ritmico che porta i personaggi della storia alle più estreme conseguenze del racconto, sfiorando i risvolti noir, splatter, fantastici e introspettivi, e allo stesso tempo conduce il lettore per mano, lungo sentieri fatti di riflessioni filosofiche ed esistenziali.
Non è difficile scorgere sin da subito nel passato mitico a cui spesso si fa riferimento, il nostro presente con i suoi primi timidi passi in avanti in termini di robotica e intelligenza artificiale, e i suoi assaggi di apocalisse sul fronte climatico.
Fra draghi che dominano il mondo usando gli esseri umani come animali domestici, e una terra post-apocalittica senza più persone e dominata dai robot, protagonista è sempre l’umanità, discreta e silenziosa, entrambe contrappasso di una presenza che oggi è fin troppo ingombrante.
L’Origine della specie è insomma la summa della fantasia di una delle autrici più visionarie della fantascienza coreana. Kim Bo Young si misura con i grandi del genere, con gli androidi di Phillip K. Dick e con le regole di Asimov. Lo fa da donna, come si evince dall’illuminante premessa sui seni, in un ambiente storicamente molto maschile. Lo fa con diversi personaggi femminili, ma senza alcuna velleità di scrittura al femminile. Tutti i racconti della raccolta sono fantascienza pura, narrazione pura e qualità letteraria. Tutte cose che, ovviamente, oltre a non avere tempo, non hanno neppure genere.
Giuseppe Vignanello

