Corea fantascientifica, tredici anni dopo

La Torre, Bae Myung-Hoon
(Add editore, 2022 – trad. Lia Iovenitti )

Viaggiare nel tempo è impossibile, almeno ad oggi, ma lo è soltanto nel senso che si attribuisce comunemente all’espressione. Se ci si riflette con attenzione, infatti, procedere inesorabilmente tutti i giorni verso il futuro è già viaggiare nel tempo; il ricordo e la storia sono viaggi nel tempo; ogni sguardo rivolto al passato o al futuro è, in teoria, un viaggio nel tempo. Tuttavia, ci sono una serie di casi che rafforzano questa esperienza. La recente pubblicazione italiana de La Torre di Bae-Myung-Hoon (ADD editore) è uno di questi. Il romanzo, infatti, è uscito in patria (Corea del Sud) nel lontano 2009. Leggerlo oggi, a tredici anni di distanza, ci permette da una parte di scorgere il passato, come succede con la lettura di ogni libro datato; ma dall’altra di osservare il presente da un’altra prospettiva. Ne La Torre ci sono in potenza tutti i tredici anni che seguono, e forse anche qualcuno in più.

Per di più, La Torre è un libro di fantascienza. Le vicende raccontate sono ambientate in un luogo e in un tempo imprecisati, ma comunque altrove. Vera protagonista di tutti i racconti che compongono la raccolta è la Beanstalk, una torre, appunto, alta seicentosettantaquattro piani e abitata da cinquecentomila persone. Un edificio così grande e popolato da essere un vero e proprio stato sovrano e indipendente. L’atmosfera è insieme futuristica e attuale. Tutto il contesto, dalle relazioni sociali alle dinamiche di potere, si presenta come distopico. Ma allo stesso tempo molti elementi mirano a tenere ancorata l’ambientazione al presente, se non addirittura al passato: mentre una fitta rete di ascensori rappresenta la principale forma di trasporto collettivo, la modalità di comunicazione più utilizzata è quella postale; centinaia di migliaia di persone vivono nell’enorme edificio da così tanto tempo da essere suolofobiche, e uno degli strumenti principali adoperato dalla polizia per sedare le rivolte è un elefante. Forse l’autenticità di questo testo sta in primo luogo proprio nella candida presenza di queste antinomie, specchio delle contraddizioni del reale.

Come succede spesso per le opere di questo genere, la fantascienza di Bae Myung-Hoon serve a scandagliare il presente. Il presente in questione, però, è quello della lontanissima Corea. Anche per questo motivo, agli occhi del lettore occidentale la lettura de La Torre ha un significato differente. Quello fra l’estremo oriente e l’occidente è sempre stato uno scambio ambiguo, fatto alternativamente di emulazioni e incomprensioni radicali. Le differenze culturali sono così tante e profonde da generare a tratti una vera e propria incomunicabilità. Tuttavia, negli ultimi anni la relazione specifica con la Corea del Sud ha vissuto un mutamento consistente a causa di un exploit internazionale di alcuni prodotti culturali e mediatici coreani.

All’interno de La Torre c’è già Parasite, ma c’è soprattutto Squid Game. Bae Myung-Hoon è considerato uno dei più importanti scrittori di fantascienza coreani, forse il più importante. A conferma di ciò c’è soprattutto il genere letterario scelto, usato principalmente al fine di elaborare una critica politica e sociale della realtà contemporanea. Le storture del tardo capitalismo; le diseguaglianze sociali, l’uso della violenza politica; la diffusione del potere sono tutti temi che le opere sopracitate trattano a fondo, anche perché trovano in Corea una manifestazione particolarmente esplicita e accentuata. Ma sono temi che già nel 2009 venivano sviscerati e affrontati in maniera originale da Bae Myung-Hoon. Tutte le storie ruotano attorno al concetto di potere, tanto nelle sue manifestazioni evidenti, quando nelle reti invisibili.

Il primo dei sei racconti: L’epifania dei tre ricercatori (con e senza cane), tratta nello specifico quest’ultimo tema. Tutta la storia si presenta come una specie di case study distopico in appendice a Foucalut: tracciando i movimenti di alcuni alcolici usati come “regalini” e strumenti di corruzione, i ricercatori dell’Istituto Beanstalk per la Ricerca sui Poteri Invisibili cercano di delineare la rete di rapporti di potere all’interno della torre. Salvo poi scoprire che il polo più influente è rappresentato da un cane che vive al piano 487.

Ogni racconto si concentra su un tema specifico, ma allo stesso tempo porta con sé l’universalità delle relazioni sociopolitiche che sorreggono la torre. In Mancata consegna nel Taklamakan emergono gli elementi più strettamente connessi alla tecnologia, alle sue potenzialità e conseguenze, con una serie di situazioni che ricordano Il cerchio di Dave Eggers, altra celebre opera di science fiction. In Il buddha in piazza, utilizzando la forma dello scambio epistolare, Myung-Hoon racconta le violenze più esplicite del potere e degli organi di sorveglianza, attraverso la voce dell’addestratore di un elefante usato per sedare le rivolte. Più canonicamente distopico è invece Le esercitazioni degli ascensori (forse il racconto più rappresentativo della raccolta), che descrive tanto la società della Beanstalk quanto le sue istituzioni militari e paramilitari. È in questo racconto che l’autore delinea la differenza fra verticalisti e orizzontalisti, che sono un po’ la destra e la sinistra della torre. I primi derivano il loro nome dalla Cooperativa Trasporti Verticali, non si chiamano né lavoratori, né tantomeno operai, ma soci. Rappresentano idealmente la parte più capitalista e ricca della società beanstalkiana. I secondi invece fanno riferimento al Sindacato Lavoratori Trasporti Orizzontali, sono quelli che si occupano del trasporto in larghezza, attraverso gli ampi spazi di ogni singolo piano. Sono l’anima marxista della torre.

Non mancano i temi del terrorismo e della guerra, affrontati soprattutto in Perfettamente conforme, il racconto che chiude la raccolta. Come in una versione condominiale di 1984 la Beanstalk è infatti in perenne conflitto con i Paesi limitrofi e, soprattutto, con l’organizzazione terroristica Cosmomafia. Questo fa sì che tutte le storie, alcune più di altre, siano costantemente farcite di temi come i l’utilizzo dei missili, la difesa militare, i piani d’evacuazione e la propaganda. In tutto ciò è impossibile non scorgere un riferimento, neanche troppo allegorico, alla tensione fra le due Coree.

Ogni racconto ha il suo stile, che va dal lungo monologo allo scambio epistolare. Questa varietà culmina nelle tre appendici (di fatto altri tre racconti) fra le quali spicca certamente per originalità Intervista assurda con l’attore P. Si tratta di un’intervista al cane sopracitato, il quale tuttavia non è dotato di parola e si affida dunque alla sua manager per tutte le risposte.

È un misto di cinica critica sociale e umorismo surreale a dominare l’atmosfera di tutto il libro e a renderlo scorrevole e divertente. Resiste forse soltanto un ineliminabile senso spaesamento di fondo, che nonostante l’eccellente traduzione di Lia Iovenitti è forse il residuo necessario di una distanza culturale così marcata. L’importanza simbolica dei grattacieli, un certo individualismo abitativo, i temi dell’ipertecnologica e della militarizzazione probabilmente dispiegano al massimo il proprio potenziale più in patria che all’estero

La Torre ha intercettato già tredici anni fa temi che sarebbero stati destinati a esplodere. Probabilmente, ha anche contribuito a puntare i riflettori su questi argomenti , costruendo una particolare immagine di Corea nel mondo. Ma questo libro è stato pioneristico soprattutto perché ha gettato le basi per un discorso che utilizza la narrazione in generale, e la fantascienza distopica in particolare, per elaborare una critica della società coreana.

Giuseppe Vignanello

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