Triangulum, Masande Ntshanga
(Pidgin Edizioni — trad. di Stefano Pirone)
Il messaggio che desidero trasmettere non è complicato. Esiste davvero una forza più potente del genere umano. Io l’ho accettato e non so molto altro.
Triangulum è il secondo romanzo dello scrittore sudafricano Masande Ntshanga, nominato nel 2020 allo Ilube Nommo Award for Best Speculative Fiction Novel by an African e tradotto nel 2023 da Pidgin edizioni. Ambientato in Sudafrica in un arco temporale che va dagli inizi del 2000 a un prossimo futuro distopico, l’opera raccoglie le memorie di una ragazza inerenti al suo coinvolgimento con fenomeni paranormali, presentandosi come un monito per i lettori proveniente da oltre le stelle.
La storia si apre con i suoi primi contatti con “La Macchina”, un misterioso triangolo di luci che si accende sul soffitto della sua camera nelle notti successive alla scomparsa di sua madre, e che sembra cerchi di comunicarle un messaggio in una lingua a lei incomprensibile.
La trama del romanzo è ricca e complessa, talvolta persino difficile da seguire, fitta com’è di avvenimenti misteriosi, personaggi ambigui, e interrogativi che, mano a mano che la narrazione procede, anziché risolversi si sdoppiano come teste di Idra: le indagini inconcludenti sulla madre scomparsa e sul rapimento improvviso di tre giovani ragazze, test psicologici ed esperimenti sugli umani svolti da aziende per incrementare le proprie vendite, messaggi incomprensibili di sconosciute entità aliene, e un gruppo ecoterrorista che agisce dietro la volontà di una profetessa, chiamato “I Ritornanti”. La protagonista verrà incaricata di spiarne un membro, un’artista legata ad atti terroristici, della quale finisce per innamorarsi.
Mescolando elementi del romanzo di formazione, del giallo e della fantascienza, Ntshanga intreccia sapientemente narrazione speculativa e contesto storico-politico, presentando i segni nella società sudafricana dei conflitti conseguenti alla fine dell’apartheid e del sistema delle homeland. La voce narrante, dallo stile incisivo, crudo e “chirurgico”, sviluppata su frasi brevi e suggestioni vivide e repentine (uno stile in tutto e per tutto aderente alla precisa linea editoriale di Pidgin) risulta piuttosto originale, una scelta interessante e dall’effetto rinfrescante per un romanzo fantascientifico. Scritto in prima persona, il romanzo viene caratterizzato dal punto di vista della protagonista, dal suo acume spigoloso e dalla sua fervida curiosità scientifica.
L’isteria saturava il campo, ma era anche ciò che mi attirava. Le discussioni permeavano la scienza di un’aria di soprannaturale, rendendo le sue probabilità illimitate. Lo stesso valeva per la pecora Dolly. Il fatto che i mammiferi venissero replicati in laboratorio aveva evocato pensieri sul divino in coloro che si opponevano.
I progressi tecnologici dell’umanità, pensavo spesso, erano al servizio di una ricerca più ampia, che ci portava verso l’interno, alle nostre cellule, o verso l’esterno, in orbita. Il resto, la scienza ambientale e l’intelligenza artificiale, aveva lo scopo di sostenerci nel tempo necessario all’umanità per raggiungere questo obiettivo, in modo che un giorno tutti potessimo rivendicare la comprensione delle nostre origini e del nostro scopo. Era il motivo per cui ero diventata una giornalista scientifica.
Ciò che più sembra interessare l’autore riguardo agli sviluppi scientifico-tecnologici presenti nel romanzo, specchio di ciò che sta già avvenendo nella realtà, è la possibilità di prendere in esame la scienza come strumento narrativo dell’umanità, come sintomo di quel bisogno esistenziale intrinsecamente umano di rispondere ai “perché” sul mondo e sulla propria natura. Nella sua qualità di strumento conoscitivo, la scienza viene interpretata così come una modalità narrativa come può esserlo la mitologia e la religione.
Questo tipo di scrittura, che potrebbe apparire da questa descrizione freddo e analitico, riesce in realtà ad aprirsi a momenti di riflessione ed emozioni di un’umanità disarmante, come ad esempio accade in modo più evidente nelle lettere, probabilmente mai ricevute, che la protagonista indirizza a sua madre. In un certo senso, è come se l’intero romanzo ruotasse intorno alla relazione familiare della protagonista, e al suo tentativo, durante gli anni, di comprendere e ritrovare sua madre.
Cara Nobomi,
ho imparato qualcosa di nuovo sul genere umano […] Ho imparato che dal nostro punto di osservazione sulla Terra non possiamo distinguere la nostra galassia, la Via Lattea, nella sua interezza. Invece la polvere interstellare – come i pensieri e le emozioni umane – occlude la vista, limitando la nostra capacità di discernimento al 20%. Così e stato tra noi, così e stato tra e te e papa e così accade anche tra tutte le altre persone. Si chiama “zona di evitamento” e inizia qui giù, dove siamo tutti, e poi arriva fino alle altezze delle supernove.
Davide Lunerti
(immagine in evidenza: copertina dell’edizione in lingua inglese, editore Two Dollar Radio)

