Italo Calvino le chiama Città invisibili: luoghi che non esistono davvero, ma nascono dalla poesia e dall’immaginazione, da quella che lui definisce un’ “evidenza visionaria”. Sono città inventate eppure familiari, spazi ideali in cui ciascuno può riconoscere la propria città interiore – quella da vivere, desiderare e amare.
Allo stesso modo, in La città e le sue mura incerte, Haruki Murakami non solo torna ai suoi temi più profondi – l’identità, la memoria, il desiderio, la soglia tra reale e irreale – ma costruisce anche una città dei desideri, un luogo simbolico e insieme concreto. Attraverso la ricerca di questa città ideale, Murakami ci conduce in una riflessione intima e universale sul senso stesso della nostra esistenza.
Pubblicato in Italia da Einaudi nella traduzione impeccabile di Antonietta Pastore, il romanzo segna un ritorno all’introspezione pura, quella che ha reso inconfondibile la voce dell’autore giapponese. È un libro che si legge come si attraversa un sogno: lentamente, con cautela, sapendo che a ogni pagina si rischia di smarrirsi e di ritrovarsi diversi.
Una trama che si schiude come un ricordo: il romanzo si apre con un ragazzo di diciassette anni e una ragazza di sedici, un amore delicato e timido, fatto di lettere e silenzi. Lei gli parla di una città misteriosa, circondata da mura altissime, dove vive la sua “vera essenza”, e dove lui, il ragazzo, potrebbe entrare solo come “lettore dei sogni”. «Tu, quella vera, eri in una città circondata da alte mura…Quanto desideravo entrare in quella città! Per incontrare la vera te» (pag.7). Poi la ragazza scompare, lasciando dietro di sé un vuoto che il protagonista tenta di colmare inseguendo la visione di quella città interiore.
Il viaggio che segue è duplice: fisico e mentale, reale e simbolico. La ricerca della ragazza diventa una discesa nel proprio inconscio, nella parte più profonda di sé. Le mura della città rappresentano ciò che separa il conscio dall’inconscio, il mondo visibile da quello invisibile, la vita di superficie da quella autentica.
In La città e le sue mura incerte Murakami costruisce un universo che funziona come una grande allegoria. La città murata è una proiezione della mente: il luogo dove i desideri, i ricordi e le paure prendono forma. Le mura sono le barriere dell’io, i limiti che separano ciò che si è da ciò che si potrebbe essere. L’orologio senza lancette, che appare in più punti del romanzo, diventa simbolo del tempo sospeso, della dimensione del sogno dove il passato e il presente si confondono. E ancora: la biblioteca è il regno della memoria, dove i sogni vengono letti e archiviati; gli unicorni evocano l’innocenza perduta; la voce che narra è quella di chi tenta di dare un ordine al caos interiore. Tutto, nel romanzo, è al tempo stesso concreto e metaforico, come accade spesso nei mondi murakamiani, dove l’immaginazione serve a rivelare la verità più nascosta del reale.
«In autunno gli unicorni si accoccolano tranquilli a terra dove capita, il mantello dorato splendente al sole del pomeriggio, in attesa di sentire il suono del flauto levarsi nell’aria… Così le giornate passano, le stagioni cambiano. Giornate e stagioni tuttavia sono entità effimere. Il tempo reale della città è altrove» (pag. 16).
Murakami sceglie una struttura narrativa circolare, quasi musicale. Il romanzo si apre e si chiude sullo stesso sentimento: la ricerca dell’altro come ricerca di sé. I capitoli alternano momenti di introspezione lenta a episodi di apparente quotidianità, creando un ritmo ipnotico in un labirinto limpido.
La narrazione in prima persona accentua l’intimità e l’ambiguità del racconto: il lettore non sa mai con certezza se ciò che accade è reale o immaginato, se la città esiste o se è solo un luogo mentale. È proprio questa oscillazione continua tra realtà e sogno a costituire la forza del romanzo. Murakami, come nei suoi capolavori precedenti (Kafka sulla spiaggia, L’uccello che girava le viti del mondo, Dance Dance Dance), costruisce una geografia emotiva più che fisica: una mappa del desiderio e dell’assenza, dove ogni luogo è un simbolo e ogni incontro una prova.
La scrittura di Murakami, resa con sensibilità poetica da Antonietta Pastore, è in questo libro più lirica che mai. La sua prosa procede per sottrazione, per allusioni, per immagini che si depositano con lentezza nella memoria del lettore.
Il ritmo è quieto, a tratti sospeso, ma ogni frase è calibrata per evocare. C’è la musicalità della malinconia, la precisione del dettaglio, la semplicità che custodisce una complessità sotterranea. Il protagonista è una figura di solitudine e attesa, un giovane che diventa simbolo universale dell’essere umano in cerca di significato. La ragazza scomparsa è più idea che persona, incarnazione del ricordo, del desiderio, dell’“altrove” che tutti cerchiamo.
Intorno a loro si muovono figure enigmatiche – custodi, bibliotecari, animali parlanti, anziani dal passato indecifrabile – che fanno da specchio al protagonista, costringendolo a guardarsi dentro. Temi come la memoria, la perdita, la duplicazione dell’io e il potere trasformativo del sogno attraversano tutto il romanzo. Murakami sembra dirci che l’amore non è solo incontro, ma anche specchio, e che per amare davvero bisogna prima imparare a oltrepassare le proprie mura.
Il romanzo si distingue per la forza e la coerenza del suo universo simbolico, costruito con una finezza rara e con un’eleganza che avvolge ogni pagina. La scrittura di Murakami è ipnotica e musicale, un flusso che unisce introspezione e lirismo, facendo della parola un ponte tra realtà e immaginazione. La narrazione, sempre misurata, riesce a toccare corde emotive profondissime senza mai scivolare nel sentimentalismo, mantenendo una compostezza che amplifica la sua intensità. In questo equilibrio perfetto tra il quotidiano e il metafisico, tra la concretezza del vivere e l’evanescenza del sogno, risiede la magia più autentica del libro: la capacità di rendere visibile ciò che normalmente resta invisibile.
La città e le sue mura incerte è uno di quei romanzi che non si finiscono: si abitano. Ci si entra con cautela, si cammina tra le sue strade, si osservano le mura, e si capisce che, in fondo, sono le nostre. Murakami non racconta solo una storia d’amore, ma la lunga e silenziosa esplorazione di ciò che resta quando l’amore scompare. È un libro che chiede al lettore tempo e disponibilità, ma in cambio offre una rivelazione intima: che la città dalle mura incerte non è altrove, ma dentro di noi. Un romanzo magnetico e visionario, in cui Murakami torna a essere ciò che sa essere meglio: un cartografo dei sogni, e del cuore umano.
Antonella De Cicco
in copertina: Foto di LoggaWiggler da Pixabay
