Quando il professor Eco mi appare in lontananza, diretto verso di noi, la prima cosa che mi salta all’occhio di lui è il borsalino nero di feltro che da sempre ha portato con stile. Se lo tocca in segno di saluto quando ormai mi è di fronte. Gli stringo la mano, con l’emozione che vi sarà chiara, e lo osservo appoggiare sulla poltrona i libri che teneva sottobraccio, per potersi levare il soprabito. Tra le labbra se ne stava spento un sigaro, tenuto con evidente indifferenza, quasi che in realtà non ci fosse. Aggancia il cappotto all’appendiabiti e finalmente si accomoda. In piedi in sua attesa, lo seguo e mi siedo anch’io.
Per un attimo dimentico tutto quello che avevo da dire e resto a fissare il suo gilet cardato color mogano, da cui spunta una cravatta regimental intorno al collo d’una camicia azzurra, e a completare, una giacca kaki in lana resca.
È chiaro che intuisce il mio impaccio, mi sorride, prende il sigaro tra le dita e allora parla lui, per primo.
– E pensare che un tempo ero io a fare le interviste impossibili.
– Che tempi erano quelli?
– Ci divertivamo. Molti erano con me nel Gruppo 63: Malerba, Arbasino, Manganelli, Sanguineti… Poi c’erano anche Camilleri, Calvino e vari altri. Facevamo intrattenimento attraverso il sapere. Eravamo la testimonianza vivente che la cultura possa essere divertimento e brio, a discapito della tremenda visione che vuole la cultura nella veste di tedio deontologico, da essa imprescindibile.
– E penso, tra gli altri, ai suoi diari minimi, alla cacopedia e agli ircocervi, ai lineamenti di enologia musulmana o di oceanografia tibetana… è stato uno dei rari allievi di Rabelais.
– Lo humour di Rabelais, Boccaccio, Cervantes ha dato origine all’identità europea quasi al pari di Platone o Aristotele, e ha attraversato la sua storia con un filo diretto fino a Pirandello, Queneau e i giorni nostri. Eppure da stolti si crede a tutt’oggi che esso sia una dappocaggine, una caduta di stile, finanche che sia il corrispettivo ontologico della stupidità e l’intelligenza ne rappresenti il correlativo opposto. Eppure, cosa c’è di più piacevole del giocare con le leggi letterarie, scomporle e assembrarle nuovamente? A proposito, sa che finalmente potrò incontrarli?
– Intende proprio Rabelais, Boccaccio….
– Esattamente. Per la verità ho avuto modo di incontrare Dante, per caso mentre venivo qui, il quale mi ha proposto di organizzare goliardici gozzovigli per questa sera stessa, così da brindare alla mia dipartita e alla nostra re-unione, nel nome delle arti e della poesia. A quanto pare si usa così.
– Brinda davvero alla sua dipartita? Detto così sembra inquietante.
– E perché dovrebbe?
– Non saprei, ma di solito le dipartite non sono mai un motivo per far festa.
– Ingenuo! Prova a dirlo a quell’uomo a cui finalmente era morta la suocera, ma mettiamo da parte la celia per un attimo: non ci trovo nulla di eclatante. La morte è vita al pari della vita stessa. Dovrei forse disperarmi, indignarmi, sconvolgermi? Non è per fare squallido stoicismo o per ergermi a povero Socrate.
– E cosa allora? Inteso, cosa pensa Umberto Eco della morte di Umberto Eco? E come crede che stia reagendo alla notizia?
– Della morte ho già detto. Non voglio essere pleonastico. Quanto al resto, so bene come si reagisce, e che la mia morte farà aumentare esponenzialmente il numero dei miei estimatori, si quadruplicheranno i miei lettori, e così via.
– Intende nel senso che sarà da incentivo a chi non lo ha mai letto in vita di cominciare a farlo e a chi lo aveva fatto marginalmente di approfondire la sua conoscenza? O forse che la condizione della morte influenzerà la visione che si ha di lei, quasi nei termini junghiani per cui la pietà…
– No, no, no, per cortesia, quante sciocchezze. Ogni esegesi psicanalitica è inutile e fuorviante. Intendo banalmente che aumenteranno i miei lettori senza che aumentino i libri letti: già me li immagino, a digitare sulle loro tastiere frasi di stima nei miei confronti, incollare tutti la stessa citazione e condividerla con faccine elettroniche simulanti pianto e accorazione, quegli stessi a cui mi riferivo quando parlavo della portata distruttrice dei social media che offrono pulpiti agli imbecilli. Tutto sommato sono simpatici. Ma cambiamo argomento. Ultimamente è solo della mia morte che si parla. Le dicevo appunto di questa sera.
– Ecco. Ci saranno proprio tutti?
– A quanto pare sì… purtroppo.
– Purtroppo?
– Perché sono molti quelli che avrei voluto evitare. Uno su tutti Borges. Insomma, per certi aspetti io l’ho stimato, ma temo che si sia potuto offendere perché abbia ispirato a lui il cattivo de Il nome della Rosa.
– Be’, se è vero, sarà lui stesso a non giungere, stasera.
– Verrà, verrà. Anche solo per tenermi il broncio. Ma fosse lui il male maggiore!
– E chi altri?
– Molti altri! Già lo so che finirà in caciara! A quanto pare, ogni volta che arriva qualcuno qui su, si finisce a schifio. Te li immagini Verlaine, Baudelaire e Rimbaud nella stessa stanza a sballarsi di assenzio? Hemingway che provoca chiunque per il gusto di far rissa? Leopardi che avvilisce tutti coi suoi discorso strappavene? Mishima che non si fa scrupoli per attirare su di sé l’attenzione? Spero che non si presenti anche stavolta con la Katana, o finirà per tentare il ri-suicidio davanti a tutti, come alla festa di benvenuto di Gunter Grass di alcuni mesi fa. Me l’hanno raccontato, sai? E poi, per carità! vogliamo tacere forse dei futuristi? Badabum badabum! A fare corse con la automobile, insultare chiunque… maledetti! E poi dicono ci sia pure Cicerone, a monopolizzare la conversazione pretendendo di tenere discorsi di otto ore con la scusa che tanto abbiamo tutto il tempo a disposizione. E se c’è lui sicuramente ci sarà anche Plauto, e me lo vedo a fare discussione con Menandro e Aristofane, a sciorinare disprezzi nei confronti di ogni greco, lui che Menandro lo copiava. E se ricorrono alle mani, come già m’immagino, ecco che si intrometterà d’Annunzio, a cogliere l’occasione per mostrarsi un superuomo. La fortuna è che saremo così tanti, che potrò stare lontano da costoro. Me ne starò con qualche magister medievale, alcuni filosofi, vecchi amici che non vedevo da tempo, e parlerò con Rabelais, con Dante, con Proust, con John Wilkins…
– Sembra interessante!
– Prego, continua con le domande. In verità non mi resta troppo tempo ancora, con tutto quel che ho da fare. Disfare i bagagli, rimuovere dalle infinite scatole i miei libri e sistemarli nella nuova libreria… sempre ammesso che Bartolini non faccia il solito ritardo.
– Immagino il suo daffare. Come le sembra finora questa Oltrevita?
– È come la immaginavo. Insomma, è e sarà per tutti come la immaginiamo. Ci sarà un Dio ad attendere chi in Dio crede; ci sarà l’Olimpo delle divinità pagane se qualcuno ancora offre sacrifici a Crono e Zeus; io ho smesso di credere, a un certo punto della mia vita, per cui il mio Oltrevita è tale e quale a come lo immaginavo, senza un Dio, ma con una schiera di scrittori, poeti, letterati, filosofi, in un eterno simposio, tra interessanti e costruttive diatribe; recitazioni, pièce e letture; e vino e farinata alessandrina. Ma fai presto, se ti premono altre domande da fare.
– Io… io davvero, professore, avevo riempito un taccuino di domande da farle, dubbi esistenziali da rivolgerle, curiosità che volevo lei soddisfacesse, ma ora che sono al suo cospetto, davvero, non so che dirle. La guardo e voglio convincermi che non sia vero. Come posso crederci? Io che l’avevo resa, nel mio parlare quotidiano, antonomasia della letteratura e del sapere onnivoro e sconfinato; io che da anni tifavo perché quei fottuti svedesi si accorgessero del suo merito, loro che invece erano troppo in fissa con i francesi; io che ho i suoi libri proprio sulla mensola che sovrasta il letto, lì dove hanno spazio i pochi preferiti; io che vorrei brindare con lei, ma che non trovo, pur sforzandomi, alcuna gioia nella sua dipartita; eppure una cosa soltanto vorrei chiederle, una curiosità che ho avuto da quando in lontananza ho visto il suo borsalino venirmi incontro, e questa curiosità voglio chiederle come ultima cosa, prima di lasciarla ai suoi doveri e tornarmene nostalgico nel mondo di giù ( o di sopra, o di lato), quello di chi vive ancora: mi direbbe, per favore, che libri sono quelli che porta con sé? Brucio di curiosità.
– Ah, questi?
– Sì
– Uno è il peggiore dei miei libri, quello che odio, il più sopravvalutato: Il nome della rosa. Sono condannato a portarmelo come un macigno, perché ad esso soprattutto devo la mia fama, eppure mi orripila, mi stufa sentirne parlare.
– E l’altro?
– L’altro è il migliore dei miei, il più grandioso. Te lo mostro.
– Ma ha le pagine bianche, non c’è titolo, non c’è parola. È vuoto!
– Esatto. Il migliore è quello che ancora scriverò
– Continuerà a scrivere anche dall’Oltrevita?
– Certo. Continuerò a scrivere infinite opere, tutte bellissime e racchiuse in questo stesso libro che ora vedi bianco. Saranno le fantasie delle persone che mi hanno letto e che attraverso le mie pagine viaggeranno, nel tempo e nello spazio, sogneranno, ameranno, scopriranno e spero anche si divertiranno. Continuerò a scrivere per sempre, attraverso di loro, e cesseranno di aumentare le pagine di questo libro solamente quando l’ultimo dei miei lettori avrà chiuso la pagina finale. Ogni scrittore è i suoi lettori, e ogni lettore è il suo scrittore. Gran bel destino, non trovi?
Lo salutai con infinita tristezza. Perlomeno stavolta avevo potuto dirgli addio. E dopo avermi anticipato che quella sera stessa, a cena con gli scrittori di tutti i tempi, avrebbe brindato alla poesia, si allontanò. Lo seguii con lo sguardo finché il borsalino non scomparve all’orizzonte, e dietro di lui, festanti in processione, seguivano con giubilo persone che avevo ben conosciuto: riconobbi Baudolino, Adso da Melk e tutti gli altri: Casaubon, Simoni, Guglielmo da Baskerville, Yambo, Roberto de la Grive, Niceta, persino Jorge da Burgos, e così via.
L’ha ribloggato su Kappon.
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Non capisco se l’intervista è VERA
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È un omaggio nello stile delle sue Interviste Impossibili
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