La Cappella di Famiglia – Andrea Camilleri
L’ultimo libro del Maestro siciliano
C’è chi, oltre al nuovo capitolo di Montalbano, tra la prospera e prolifica produzione del maestro Camilleri attende, come me, che escano altre, nuove, fresche Storie di Vigàta. Preceduta da ‘Gran Circo Taddei’ (2011), ‘La regina di Pomerania’ (2012) e ‘Le vichinghe volanti’ (2015), La cappella di Famiglia, nelle librerie solo da poco, costituisce la quarta raccolta dei racconti vigatesi.
Non c’è il giallo dei romanzi di Montalbano, non siamo nella Vigàta dei tempi nostri: per chi non abbia mai letto questo ciclo di racconti, deve sapere che il Camilleri che vi troviamo risente qui della sua cultura e formazione teatrale, perché ogni racconto pare quasi una commedia. In particolare per i topos del genere, che formano la struttura e l’intreccio delle storie: dall’equivoco che muove le vicende alla caratterizzazione dei personaggi come tipi umani, fino al gioco delle passioni per arrivare alla messa in ridicolo di vizi e debolezze dell’umana natura. Ma anche per il ricorrente uso dell’ironia, per una narrazione briosa e divertente, per il racconto di vicende a volte esagerate, iperboliche, al limite dell’inverosimile. Insomma, ritroviamo in prosa gli echi altisonanti dell’intera tradizione teatrale del genere, che da Plauto arriva a Pirandello passando per la Commedia dell’Arte, ma che ben rappresenta, in chiave moderna, inoltre una lieta ripresa boccaccesca.
Come ogni raccolta, anche La cappella di famiglia contiene 8 racconti, tutti ambientati nella Vigàta a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento (le guerre, l’Era fascista). Narrano giochi di miseria e di nobiltà, faide tra ricchi e guerre tra “morti di fame”, storie di assurdi amori e tradimenti, e tanto altro: insomma, storie popolari, in cui la storia incontra la tradizione, il sacro si scontra col profano, la passione col sentimento e l’impensabile s’insinua nella vita di tutti i giorni; il probo deriva dal disonesto e la disonestà confluisce nella probità, la morte aleggia come spettro tra i vivi in veste magniloquente ma al tempo stesso desacralizzata e umoristica; gli opposti, per riassumere, si attraggono e compenetrano, coesistono e svaniscono insieme, il tutto all’interno di un gioco divertente e spassoso, come Camilleri e la sua lingua sanno essere.
Ne Il duello è contagioso alcuni nobiluomini perdono la testa e le staffe, rischiando con esse di perdere anche la vita, seguitando a sfidarsi a duello fino a che la situazione diventa insostenibile e surreale; nel racconto che da il titolo alla raccolta una faida tra fratelli per l’eredità si intreccia alle mire lussuriose di uno sciupafemmine nei confronti di una giovane vedova; in Teresina amore e morte, sospetto ed equivoco si muovono insieme nel solco più profondo della Commedia; in L’oro a Vigàta un bambinello molto fortunato arriva ad attirare l’attenzione di Mussolini che vuole utilizzarlo per scovare pozzi petroliferi in Padania, ma la fortuna condurrà solo alla sventura; ne Il morto viaggiatore seguiamo invece l’assurdo itinerario di un ‘catafero’ misterioso mentre all’interno de Lo stivale di Garibaldi seguiamo le reali vicissitudini avvenute al prefetto Falconcini a seguito del suo arrivo in Sicilia nel 1863 poco dopo le vicende dei Mille, che finiranno per causare l’incontro tra i genitori di Pirandello (e in questo racconto ritroviamo il Camilleri storico del bellissimo romanzo ‘Il re di Girgenti’ e di altri romanzi grandiosi che muovono a partire da indagini storiche dello stesso autore); delle restanti due storie non vi dico nulla.
Otto racconti che divertono, dunque, attraverso intrecci e colpi di scena a volte impensabili, ma a volte, bisogna ammettere un po’ prevedibili. Chi infatti conosce questo ciclo sin da “Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta”, sa dove l’estro di Camilleri è capace di arrivare, e a leggere questi racconti ha il sospetto che non tutti riescano a eguagliare il livello che ci si aspetta e a cui il Maestro ha avvezzo. E inoltre, per quanto chi ha adorato le precedenti raccolte ha apprezzato, e non può rinunciarvi, l’ambientazione fascista e le dinamiche popolari che rendono peculiare e unico questo ciclo, arrivati al quarto volume, queste fanno temere a volte il rischio della ridondanza. Ma per quanto questa raccolta possa essere forse un passo indietro rispetto alle precedenti, resta una lettura piacevole, leggera e divertente.
E d’altra parte Le storie di Vigàta sono l’imperdibile occasione per scoprire un nuovo volto di Camilleri, abituati come siamo alla totalizzazione errata e riduttiva del Maestro come mero padre di Montalbano. Personalmente, pur non amando particolarmente i gialli, adoro il Camilleri da Commedia dei racconti così come il Camilleri profondo e impegnato dei grandiosi romanzi storici. Ma se siete qui perché amate il Camilleri di Montalbano, con questi racconti vi stupirete di ritrovare una voce familiare in una veste diversa.
Camilleri, da maestro qual è, è un Giano bifronte, un camaleonte della letteratura, e sa essere sia uno che centomila, senza mai perdere, a 91 anni passati, il suo genio incredibile.
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