Di niente e di nessuno, Dario Levantino
(Fazi, 2018)
Rosario è nato a Brancaccio, un quartiere di Palermo di quelli in cui i turisti non capitano se non per una serie di sfortunati eventi. Ha quindici anni, un padre distante e una madre nel cui volto si scorge «una paura antica, un giogo esistenziale». La sua storia è raccontata nel romanzo di formazione Di niente e di nessuno, romanzo d’esordio di Dario Levantino.
«Iu un mi scantu di nenti e di nuddu»: è un detto siciliano che significa pressappoco “non mi tiro indietro di fronte a niente e a nessuno”. Sono le parole di Rosario quando il sangue gli va alla testa e i suoi occhi sono accecati da paura e rabbia. La Sicilia e l’adolescenza sono due terre crude in cui non è facile vivere, bisogna crescere presto e senza mostrare segni di debolezza. Rosario però è in quella fase della vita in cui le debolezze sono tante, i nemici sono ovunque e in cui ci si sente un po’ nemici anche di se stessi. Il libro racconta di un periodo intensissimo della sua vita in cui impara a conoscersi, fa prova della violenza, del sesso, del dolore e dell’amore.
Suo nonno era, secondo i miti che abitano tutte le famiglie, a ciascuna il suo, un grande portiere. Come seguendo una strada già battuta Rosario comincia a giocare a pallone nella squadra del quartiere, tra i pali. Sul campo si batte come un leone in partite che non sono un semplice gioco ma un incontro-scontro con la vita e con l’altro da sé. Ed in questa prospettiva il gesto istintivo di parare un rigore significa definire la propria identità, trovare se stessi e diventare capaci di accettare gli altri.
Di niente e di nessuno è un libro turbolento, non molto profondo ma intenso, quasi “adolescenziale”. Eppure a lettura ormai finita ospita nei Ringraziamenti poche parole che aprono una prospettiva inaspettata sul romanzo, e uno sguardo lucido e nostalgico sulle coordinate geografiche ed esistenziali di Levantino: «Grazie a mio papà che si chiama come il protagonista di questa storia, alla mia terra che mi manca, al mio accento che “si deve sentire”. Grazie ai bambini che giocano per strada, alle periferie disumane che conservano intatta l’umanità».
Adriano Cecconi