Il 6 gennaio del 2017 moriva lo scrittore e critico argentino Ricardo Piglia, autore ben conosciuto e apprezzato in patria, ma certamente non tra i più noti in Italia. Una delle caratteristiche più evidenti della scrittura di Piglia è quella che potremmo chiamare “riconoscenza”: sia nelle opere letterarie che nei testi critici infatti, l’autore manifesta apertamente il proprio debito nei confronti dei maestri, gli autori cioè che più l’hanno influenzato rendendolo uno scrittore affermato. Tra i vari nomi merita senza dubbio un posto di riguardo quello di Jorge Luis Borges, il maestro per eccellenza. Piglia, nel suo saggio L’ultimo lettore, ci fornisce un’affettuosa eppure tragica immagine del caro amico:
«C’è una foto in cui si vede Borges mentre cerca di decifrare un libro che tiene incollato alla faccia. È in una delle gallerie alte della Biblioteca Nazionale di via México, accovacciato, lo sguardo sulla pagina aperta. Uno dei lettori più convincenti che conosciamo, del quale possiamo immaginare che abbia perduto la vista leggendo, cerca, malgrado tutto, di continuare.1»
Questa brevissima descrizione mette in luce la caratteristica più evidente del grande scrittore argentino: lo sconfinato amore per la lettura. Borges è un lettore straordinario, un lettore estremo che, dopo aver perso la vista sui libri, tenta ancora, contro ogni logica, di leggere. Borges è un lettore disordinato e “onnivoro” che alterna L’Enciclopedia britannica ai romanzi d’avventura, la Bibbia ai gialli di seconda scelta dei mercatini delle pulci, le saghe nordiche al manuale di storia della filosofia. Tutto diventa materiale utile alla critica e alla letteratura.
In un altro suo saggio il devoto allievo Ricardo Piglia, senza dubbio la guida ideale per penetrare i segreti della scrittura di Borges, ci mostra in che modo il proprio maestro amasse leggere:
«Qualcosa che conserva è l’idea che la letteratura è di tutti e che tutti gli scrittori, anche i più mediocri, a volte possono farcela: c’è sempre una frase perfetta che sorge per miracolo o per caso. È un’idea straordinaria. Tutti gli scrittori a volte vivono qualcosa di buono, tutti i poeti, fosse anche per errore, a volte scrivono un buon verso, e il loro linguaggio genera effetti letterari duraturi.»2
Il lettore “democratico” Jorge Luis Borges assesta con questo semplice, eppure geniale ragionamento un colpo durissimo al canone letterario. L’autore non intende chiaramente affermare che in letteratura non esistano gerarchie, grandi scrittori e scrittori poco capaci, semplicemente vuole far capire che queste gerarchie non sono immutabili e che anche gli autori appartenenti alla seconda categoria, quella dei mediocri, possono dare, magari perfino per caso, un contributo decisivo alla storia della letteratura. Partendo da quest’idea, Borges mette da parte autori fondamentali ma fin troppo esaminati come Thomas Mann e Marcel Proust per concentrarsi su autori del Novecento considerati minori, autori che, proprio grazie al lavoro di Borges vengono rivalutati, tra questi Wells, Conrad, Stevenson, Lovecraft.
Proprio «Alla memoria di Howard P. Lovecraft»3 Borges ha voluto dedicare There are more things, racconto che troviamo nella raccolta Il libro di sabbia, del 1975. Il breve testo, al di là del titolo shakespeariano, presenta tutti gli elementi tipici dei racconti di Lovecraft: un protagonista scettico circondato da persone che sembrano sapere cose che non osano dire, la presenza di creature provenienti da altri mondi, una vecchia casa dalle finestre sbarrate al cui interno accadono orrori inenarrabili. Difficile leggere questo racconto senza ripensare a L’orrore di Dunwich, testo di Lovecraft tra i più celebri. Un altro racconto di Borges che non può che ricordarci subito i paesaggi di Lovecraft (oltre che le litografie di Escher…) è L’immortale, tratto stavolta dalla raccolta L’Aleph (1949):
«Nel palazzo che imperfettamente esplorai, l’architettura mancava di ogni fine. Abbondavano il corridoio senza sbocco, l’alta finestra irraggiungibile, la vistosa porta che s’apriva su una cella o su un pozzo, le incredibili scale rovesciate, coi gradini e la balaustra all’ingiú.»4
La grottesca e impossibile città esplorata qui dal tribuno romano Marco Flaminio Rufo è evidentemente la stessa città visitata dal narratore di La città senza nome di Lovecraft. Fino a qui, il modo di lavorare di Borges non sembra dissimile da quello di molti altri scrittori: proprio come un bravo musicista dev’essere, prima di tutto, un ascoltatore di buona musica, è piuttosto normale che uno scrittore degno di questo nome sia anche un vorace lettore. Molti altri scrittori poi, oltre a Borges, sono riusciti ad essere anche dei brillanti critici, pensiamo, oltre allo stesso Piglia, a Milan Kundera con la sua Arte del romanzo, a David Foster Wallace, a Michele Mari. Borges però ha il coraggio di fare un passo in più: se gli autori sopra menzionati si occupano sia di letteratura che di critica, ma mantengono le due attività in momenti diversi, lo scrittore argentino invece fonde la realtà della critica alla fantasia della letteratura e crea un genere del tutto nuovo. I testi di Borges non si possono certamente definire opere saggistiche: l’autore non ha nessuna intenzione di rivelarci una qualche verità; ma non sono nemmeno dei racconti, sono delle pure e semplici menzogne, delle finzioni.
Finzioni è, non a caso, il titolo della seconda e più importante raccolta del nostro autore, pubblicata nel 1944. Tra i vari scritti di questa raccolta, tutti degni di nota, vale la pena soffermarsi sul quinto: Esame dell’opera di Herbert Quain, un vero e proprio testo di critica letteraria dedicato all’opera di Quain, scrittore americano da poco deceduto. Borges ci fa conoscere meglio questo importante ma dimenticato autore, analizza per noi i suoi libri principali, tra cui il bellissimo romanzo-gioco April March:
«Tredici capitoli compongono l’opera. Il primo riporta il dialogo ambiguo di alcuni sconosciuti su un marciapiede. Il secondo riporta gli avvenimenti della vigilia del primo. Il terzo, anch’esso retrogrado, riporta gli avvenimenti di un’altra possibile vigilia del primo; il quarto quelli di un’altra. Ciascuna di queste tre vigilie (che si escludono rigorosamente) si ramifica in altre tre vigilie, di natura molto diversa.»5
Borges poi continua, si sofferma sugli interessi filosofici di Quain, sulle sue principali influenze letterarie, ci parla degli altri libri di quest’autore davvero fuori dal comune, il lettore è quasi convinto dall’appassionata eppure lucida recensione di Borges, sta per recarsi in libreria per comperare un romanzo di Quain… l’unico problema è che Herbert Quain non è mai esistito. Borges ci ha ingannati, ha utilizzato la critica come tema per un racconto, ha creato una delle sue geniali Finzioni.
Un altro libro straordinario di Jorge Luis Borges è Altre inquisizioni, una raccolta di brevi saggi critici o di racconti filosofici pubblicata nel 1952. Anche in questo caso, definire il genere dei testi che leggeremo è impresa assai complessa, e probabilmente del tutto inutile dato che, come abbiamo visto, il “lettore totale” Borges riconosce un solo genere: la letteratura. E la letteratura si può costruire usando qualsiasi tipo di materiale. In questa raccolta possiamo osservare da vicino il modo di fare critica (e quindi di leggere) di Borges, un modo caotico e apparentemente privo di senso in cui parlare di un autore o di un libro può significare aprire parentesi che portano ad altri autori o libri lontanissimi nello spazio, nel tempo e nello stile.
Fare critica al modo di Borges può voler dire, ad esempio, ricercare la stessa metafora attraverso secoli di letteratura. È questo lo scopo del breve saggio La sfera di Pascal6, testo in cui l’idea di Dio come una sfera eterna viene studiata accostando tutti gli autori che, nel corso della storia, l’hanno utilizzata, da Platone a Dante, dal leggendario autore del Corpus Hermeticum a Blaise Pascal. In questo libro, gli accostamenti di Borges sono azzardati, i legami tra gli autori sono fragili e malsicuri: si tratta di un modo di fare critica estremo e paradossale. Ma è proprio Borges, in Kafka e i suoi precursori, un altro testo della raccolta, a fornirci con una semplice frase la chiave per capire, oltre a questo libro, il senso del proprio modo di lavorare: «Il fatto è che ogni scrittore crea i propri precursori»7. La critica di Borges è insomma una critica soggettiva, parziale, interessata, una critica egocentrica perché l’autore mette se stesso al centro delle proprie riflessioni, una critica radicale perché permette a chi scrive di risalire alle radici della propria scrittura. Una critica illuminante perché consente a noi lettori di esplorare strade del tutto nuove.
Nico Bertelle
1 Ricardo Piglia, L’ultimo lettore, Feltrinelli, Milano 2007, p. 17.
2 Rircardo Piglia, Borges come critico, in Critica e finzione, Mimesis, Milano-Udine 2018, p. 143.
3 Jorge Luis Borges, Il libro di sabbia, Adelphi, Milano 2018, p. 45.
4 Jorge Luis Borges, L’Aleph, Feltrinelli, Milano 1994, p. 13.
5 Jorge Luis Borges, Finzioni, Adelphi, Milano 2003, pp. 64-65.
6 Jorge Luis Borges, Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 2019, pp. 12-15.
7 Ivi, p. 108.