Contare le sedie, Ester Armanino
(Einaudi, 2021)
«La sensazione che si prova fin dall’inizio è quella di essere intera. Non importa in quante parti ti sentivi divisa prima che l’onda arrivasse: quando l’onda sta passando sotto di te, hai la certezza di essere intera. Sai dove inizi e dove finisci, conosci la quantità di spazio che occupi, poco in effetti, però in questo spazio ti appartieni. Ci siete solo tu, la tavola e l’energia del mare che vi sta offrendo un passaggio. Dove state andando? Da nessuna parte. Infatti procedi senza affanno.»
Contare le sedie è un fascio che raccoglie i ricordi, le contraddizioni e i pensieri di una donna che ricostruisce il senso narrativo della sua vita, in un monologo interiore dal tono sorprendentemente schietto e intimo.
Mentre ripercorre la sua storia come tessendo la trama di una tela, senza che venga mai fuori un disegno organico o compiuto, la protagonista ci dimostra come sia impossibile trovare il significato preciso e lineare della propria esistenza: le esperienze, le persone, i ricordi che le appartengono non sono che detentori di piccole saggezze frammentarie, valide unicamente nel perimetro del loro contesto, nello spazio ridotto del tassello di un mosaico. La loro ricchezza di significato forse risiede proprio in questo: nella loro originalità, nei loro contorni smussati e difficilmente incasellabili, nella loro riluttanza a rendersi universalmente comprensibili.
Anche la narrazione stessa rifugge dalla linearità: gli avvenimenti non sono ordinati cronologicamente, ma seguono una compartizione tematica, come se la vita raccontata fosse una stanza da rimettere a posto. Una volta si parla di tutti i ricordi rilevanti legati alle forbici, poi alle pietre, ai negozi di ferramenta, poi ancora alle orche, per associazioni di significato. Le osservazioni più recenti riguardo a un tema spesso vengono seguite da un ricordo più lontano, appartenente all’infanzia o all’adolescenza, come se quel determinato argomento fosse stato più chiaro a 10 anni rispetto che a 30, e trovasse quindi la sua conclusione naturale nel passato anziché nel presente.
In questo ritmo non convenzionale si inseriscono a più riprese i temi del lutto, della maternità, della fragilità dell’animo umano. La prospettiva su questi argomenti cambia lungo il corso del tempo, in un flusso così incostante che è difficile mantenerne il filo, che allora si spezza, e ogni certezza diventa precaria, inaffidabile, nemica della verità.
Nonostante questo, le vicende non appaiono confuse né vaghe, ma anzi colme di significato. L’autrice riesce a mantenere uno stile accattivante, sobrio e incisivo, che arriva senza esitazioni al cuore intimo delle cose, grazie al quale riesce a far emergere con chiarezza dalla profusione caotica di immagini e ricordi l’aspetto frammentario dell’esperienza umana, con la sua bellezza e la frustrazione che ne conseguono. «Con tono scherzoso ma non troppo gli confesso che ultimamente mi sento a pezzi», si confida la protagonista, Ishtar. «Ogni pezzo sta bene, ma messa così non posso andare molto lontano.»
La ragione per cui Contare le sedie non possiede la struttura classica di un romanzo, per cui si discosta dalla sua definizione, è alla base di una scelta ben consapevole, dovuta alla natura dell’opera: nel cercare di esprimere al meglio, astenendosi il più possibile da filtri e artifici, una voce che fosse puramente propria, l’autrice si è necessariamente allontanata dal mainstream del prodotto narrativo letterario. «Sto per non essere carina», recita la prima frase del libro, come un avvertimento al lettore, per informarlo che non troverà quello che si aspettava, perché lo scopo primario del libro non è quello di aprire e chiudere un arco narrativo compiuto, ma quello di esprimere la voce profonda, intima e personale dell’autrice. Una voce che vibra con un timbro chiaro e spontaneo grazie alla mancanza quasi totale di schemi, compartizioni cronologiche e lunghi fili conduttori da seguire che ne avrebbero intaccato l’autenticità.
La protagonista, Ishtar (dall’antica divinità babilonese omonima, dea dell’amore e della guerra), si può considerare un alter-ego dell’autrice, come suggerisce la somiglianza dei due nomi. È ben evidente come Ester Armanino abbia tratto ispirazione dalla propria esperienza, dai propri ricordi e pensieri personali, e in modo evidente dalla sua carriera di architetto, che condivide con la protagonista e di cui si serve in alcuni momenti chiave della narrazione.
Passando rapsodicamente da un argomento all’altro, dal surf alla meditazione, dall’edilizia ai corsi di ceramica, dalle ripetizioni di matematica alle diverse tecniche per mangiare la crema alle nocciole, quella che percepiamo quindi è una voce profondamente personale, non esente da contraddizioni e cambi repentini di argomento e significato, ma che donano fluidità e freschezza alla narrazione. Senza che vengano eccessivamente razionalizzati, gli eventi appaiono nitidi, fortemente caratterizzati da poche parole, interpretati in modo minimalista, quanto basta per farceli carpire.
Quello di Ishtar è un viaggio faticoso dalla destinazione sconosciuta, ma che attraversa paesaggi segreti e magnifici fatti di incontri, di sapori, di dolore e di ebrezza. Sono mete temporanee in cui non si può sostare, perché la vita deve sempre andare avanti e non c’è tempo per gli addii, ma che vale la pena preservare nella memoria, raccogliere e conservare con cura come fragili conchiglie restituite dalla mareggiata. «Vado avanti, camminando tra le cose spaccate, si deve sempre andare avanti.»
Oltre a esercitare la professione di architetto, Ester Armanino ha insegnato scrittura creativa per la Scuola Holden, la Belleville e per Officina Letteraria. Il suo primo romanzo, Storia naturale di una famiglia (2011, Einaudi), ha vinto numerosi premi di prestigio nazionale. Contare le sedie è il suo libro più sperimentale e al contempo più autobiografico; ci parla dell’incapacità di comprenderci fino in fondo, e contemporaneamente ci mostra quanto sia profondamente umana questa necessità di ricercare incessantemente un senso alle nostre vite, con una fatica che talvolta rasenta la nevrosi, in risposta a una legge universale dalla quale è impossibile sottrarsi, vitale e imprescindibile come la fame o la sete, eppure impossibile da soddisfare.
Davide Lunerti