Poesia e consumo: 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti

50 tentati suicidi  più 50 oggetti contundenti, Alessandra Carnaroli
(Einaudi, 2022) 

9788806247829_0_464_0_7550 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti. La struttura della raccolta poetica di Alessandra Carnaroli edita da Einaudi è esattamente questa: due sezioni da cinquanta componimenti l’una. Nessuna prefazione, nessuna postfazione, nessun commento; semplicemente, fin dalla prima pagina del libro, si va dritti al punto.

I suicidi narrati nella prima sezione sono “tentati suicidi comuni”, così come gli oggetti da potere usare come armi letali raccontati nella sezione successiva. Non c’è nulla di epico o trascendentale. Sono suicidi e oggetti accessibili a tutti, “casalinghi”. Insomma, situazioni comprensibili senza troppe tribolazioni da qualsiasi lettore occidentale.
Personaggio chiave del libro è una madre un po’ annoiata e disillusa che –apparentemente troppo chic per tramutare i suoi macabri pensieri in azione – immagina metodi per togliersi la vita o toglierla a qualcun altro.

Quello della Carnaroli sembra essere un “libro-sfogo”, un intrattenimento semi-macabro per il lettore del consumo, che qui può ritrovare una poesia narrativa nello stile americano: asciutta, diretta, senza peli sulla lingua; tesa a scandalizzare la mamma cinquantenne appollaiata sul divano o il trentenne alla ricerca di una poesia semplice, diaristica. In generale alla moda.

50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti è infatti un libro “pop”. Con questo intendo dire che non solo racconta di gente comune in situazioni comuni, ma segue anche una logica del consumo tipico della musica pop, ovvero l’orecchiabilità, la ricerca di un “ritornello” che si aggrappi al consumatore.
Così come conosciamo tutti i ritornelli che rimangono in mente anche senza che ci piaccia quella determinata canzone, allo stesso modo (seppure mantenendo una qualità maggiore) i testi della Carnaroli tendono a questo modello catturante.

Inoltre, capita che l’autrice utilizzi dei verbi per offrire al lettore contemporaneamente sia  un’immagine (com’è ovvio che sia) che un suono (fisico, s’intende), dettato dall’azione generata dal verbo evocato. In tal modo la poeta crea un doppio avvicinamento, non solo letterario e immaginario ma anche materico, corporeo.

Questo genere di scrittura la ritroviamo anche nei testi delle canzoni pop o nella musica trap, dove non è necessario che due o più parole legate tra loro abbiano un “significato concettuale”, quando invece si cerca un’ “associazione ritmica”, oppure immaginaria, che metta colore, ambiente, e anche caos (nella sfumatura neutra del termine).
Il tono dei componimenti sembra quasi una ripetizione continua. Ogni poesia tende al fulmen in clausula. Il lettore, quasi per dovere mantico, si aspetta quindi lo stravolgimento, il colpo di scena, sia sonoro che tematico.

Inoltre, le poesie della Carnaroli non hanno punteggiatura, e questo permette ancora di più la creazione di una musicalità, lasciando, invece, margine stretto al “significato”, inteso come stato o immagine a cui vuole portarci la poesia stessa. Più chiaramente: l’attenzione per la forma, spesso, sembra portare la poetessa a perdere il tema, il punto del discorso.

Quando la tensione verso la particolarità del linguaggio si amplifica, diventando l’unica protagonista dell’intero componimento, la poesia si perde in se stessa. Diventa un cane che si morde la coda. A suo modo, quindi, spesso si rimane in superficie; una superficie colorata, ben strutturata, piena di specchietti per le allodole ma molto scarna nel suo fine. Altre volte, invece, quanto la poetessa sembra fare un balzo quantico accontentando il proprio gusto e non quello di un possibile lettore, si fa ingresso in un mondo che è bambinesco e allo stesso tempo macabro. Giocoso e mortifero. È quel mondo (interiore) che colpisce davvero il lettore, come una sorta di avventura nella stanza dell’orrore di un luna park. Stesso stupore e stesso terrore.

La struttura tematica è, come già detto, essenziale. Anche qui, dal mio punto di vista, la scelta è stata molto semplicistica: la costruzione del libro (con cento componimenti totali al suo interno) in due macro-sezioni tende sì ad avere una chiarezza assoluta dell’argomento di cui si sta leggendo, ma, contemporaneamente, può anche, alla lunga, annoiare.

Il virtuosismo di raccontare cinquanta suicidi e cinquanta oggetti contundenti alla fine lascia il tempo che trova. Forse la Carnaroli ha tentato di raccontare diverse “anime” in ogni componimento. Nel caso in cui fosse stato questo l’obiettivo, non sembra che sia stato centrato in pieno.
Il protagonista rimane poi ambiguo: a volte è una voce femminile; altre volte – molto raramente, tanto da lasciar pensare che possa essere un refuso – è quella flebile maschile. C’è tanto wannabe nei personaggi del libro, così tanto che a volte riesce difficile afferrarli per quello che sono adesso, ora, nell’evento poetico.

50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti è un ottimo libro di intrattenimento. È una piacevole lettura, perfettamente idonea per chi si avvicina per la prima volta alla poesia del nostro secolo, ma che a alla fine ci lascia poco, se non bei colori e amore per lo stile. Proprio per questa sua “accessibilità” , è un libro che attira subito, a partire dai versi in copertina: “dentro il garage/ dove ho passato l’infanzia a/ separare i chiodi dalle viti/ per mostrare a mio padre/ di valere/ almeno quanto gomma/ da bagnato mclaren/ abbassare il finestrino/ sgasare”.

Vittorio Parpaglioni

Immagine in evidenza: Dittico di Marilyn (Marilyn Diptych) – Opera di Andy Warhol del 1962

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