Animale, Giuseppe Nibali
(Italo Svevo, 2022)
Sono due zolfare che non hanno mai visto la luce gli occhi di Sergio, confinato in un letto d’ospedale col corpo e la testa a pezzi dopo un brutto incidente. Suo figlio Giuseppe ha ridisceso lo stivale dall’Emilia per andargli incontro, ma che lui si trovi a Bologna o a Giardini Naxos non fa differenza: la distanza comunicativa di questo rapporto padre-figlio è ben più radicata, ancestrale, e indescrivibile essa stessa.
Animale è di una brevità intensa. Il romanzo alterna a battiti piuttosto cadenzati il grigio e il piattume della quotidianità personale di Giuseppe e gli sprazzi estremamente vitali legati alla Sicilia, a Sergio, e a un’infanzia la cui vitalità faceva da contraltare a una turbolenta vita familiare.
Il presente di Giuseppe pare nient’altro che una sequenza di diapositive, a cui il protagonista prova invano a dare un significato. Proprio come con il linguaggio affettivo, Giuseppe resta spiazzato davanti al tentativo di interpretare una realtà fredda, impersonale, che non gli appartiene:
Niente gli dà più pace ormai, Giuseppe invidia tutti quelli intorno a lui perché hanno dentro un movimento che li anima, invece lui sente ogni giorno uguale al precedente e ogni giorno avverte il sangue seccarsi e aggrumarsi nelle arterie.
Ugualmente complicato è però per lui ritrovare un rapporto equilibrato con la fonte di vitalità più disordinata del suo passato: è figlio di una madre volubile e di un padre quanto mai impulsivo, e questo stesso padre ora si trova in un limbo tra coscienza e confusione. A tratti Sergio sembra trarre piacere dai ricordi, sembra voler raccontare e raccontarsi; in altri momenti, invece, il pensiero del passato lo sconquassa.
Anche quando racconta, però, l’impressione è che non stia parlando con suo figlio, ma che lo stia piuttosto usando come interlocutore di un discorso che altrimenti potrebbe benissimo fare ai muri. Lo sbilanciamento terribile fra il presente grigio di Giuseppe e il suo passato fin troppo vivo si accentua, aggravando la ferita dolorosa della cesura traumatica che ha separato queste due metà della propria vita. Questa separazione è ancora molto visibile nel controcanto che Bologna fa alla Sicilia, e viceversa:
Piove sul mare. Giuseppe, da sotto la pensilina del bar, fissa la bestia che, sempre più cupa, inizia a ingrossarsi. Non è la pioggia che conosce.
A Bologna solitamente cade una pioggia sottile, quasi impercettibile persino alla luce dei lampioni. In Sicilia invece è fitta e fa rumore appena tocca l’asfalto.
Il mare si gonfia. La pioggia continua.
La descrizione della difficoltà con cui ci si riallaccia al proprio passato – difficoltà che resta a metà tra il desiderio di ricordare, e la paura di farlo – è, a ben vedere, il tratto più originale di Animale. Gli stralci sulla monotonia dell’alienazione contemporanea di Giuseppe, invece, appesantiscono la narrazione: le prove letterarie incentrate su questo senso di spatriamento, già solo negli ultimi mesi, sono state parecchie.
Da menzionare invece è il paragone reiterato con l’animalità, esplicito anche oltre il titolo: nel testo i riferimenti sono continui. Pare che Giuseppe si muova in un orizzonte che come chiave di lettura ha solo il tempo, o meglio la sua scansione, ridotta agli estremi: la vitalità dell’infanzia, e la putrefazione della morte. Quel che si trova in mezzo è sfocato e confuso: si fatica a raggiungerlo, oppure non lo si avverte come vivo.
Forse una metafora meno esplicita avrebbe permesso al romanzo di raggiungere una raffinatezza maggiore, allontanandosi da alcuni echi personalistici che permangono anche a dispetto dell’avvertimento programmatico al lettore (all’inizio, infatti, si dice che «Leggendo queste pagine non bisogna pensare alla storia di Giuseppe come a quella dell’autore, le due vite si assomigliano ma non coincidono»).
La difficoltà comunicativa tra Giuseppe e il padre Sergio, inoltre, è molto sfaccettata: anche per questo, la profondità di questo sentimento di incomunicabilità contrasta un poco con la brevità del racconto, e con il finale brusco e aperto. L’universo e i personaggi di Nibali sembrano dibattersi nelle poche pagine che sono state loro concesse: sembrano richiedere più voce, più respiro, più spazio di movimento.
Lo scarto positivo tra le fila di romanzi che riciclano il senso di inadeguatezza contemporaneo (ancor di più se in bilico tra identità geografiche diverse) e una scrittura originale sta proprio nella capacità di un’opera di respirare a fondo, di dare ragione di questa inadeguatezza, anziché solo raschiarla con la punta del coltello. Animale è promettente nel suo iniziare a farlo, ma poi non porta completamente a termine l’azione.
La bellezza formale di tanti segmenti narrativi, tuttavia, fa da buon contraltare. Le descrizioni più vive sono quelle che si trovano in bilico tra i due piani temporali del romanzo: ad esempio, la descrizione dell’atmosfera di trepidazione che accompagna la ridiscesa in Sicilia all’inizio dell’estate. O ancora, la nitidezza del silenzio della canicola siciliana, la casa immersa nella quiete del sonnellino pomeridiano, e Giuseppe, unico animale sveglio in questa immobilità, che zampetta fino alla cucina in cui la nonna si muove, a ricordargli che non è l’unico vivo, per il momento.
La mitologia dell’infanzia in Animale ha un fascino che è quasi mistico per la sua capacità di evocare in maniera netta odori, suoni e colori. Come tutte le mitologie, dunque, si fonda su un certo dubbio: chi può dire, a un certo punto, se sia più vero un ricordo d’infanzia o Colapesce che si tuffa in mare per vedere le colonne che tengono su la Sicilia?
Protetti dallo stesso velo di lontananza delle storie di mostri e animali fantastici, i ricordi dell’infanzia si muovono su un piano che crediamo di poter raggiungere, ma che spesso si rivela lontanissimo. E quando cerchiamo di attingervi la vitalità e la nitidezza che manca al presente, ci rendiamo conto che quella del passato è una lingua che forse non riusciremo mai più a parlare.
Emma Cori
Immagine in evidenza: Impressione, levar del sole, Claude Monet, 1872