Leggere la rivoluzione iraniana: Persepolis e Scrittura cuneiforme

L’anno scorso, nel 2022, la morte di Mahsa Amini e le proteste che ne sono seguite hanno portato l’attenzione internazionale sull’Iran, con donne che da tutto il mondo si tagliavano i capelli in segno di solidarietà e un boom di condivisioni social di video e informazioni sulle manifestazioni in corso, nonché di foto dell’Iran prima e dopo l’istituzione della Sharia, che prevede tra l’altro l’obbligo del ‘velo’ o hijab per le donne. Proprio per non aver indossato ‘correttamente’ l’hijab la ventitreenne Mahsa, di origini curde, fu arrestata dalla polizia morale (o polizia religiosa) nella capitale Teheran, per poi morire tre giorni dopo l’arresto, verosimilmente in seguito a un violento pestaggio.

La morte della giovane, dalla polizia attribuita a un infarto (qui da noi si direbbe a una caduta dalle scale), ha scatenato un’onda inarrestabile di proteste contro l’obbligo del velo, ma anche contro la polizia morale, gli ayatollah (grossomodo traducibile con ‘guide religiose’) e il regime teocratico della Repubblica islamica, e a sostegno di maggiori libertà e diritti per le donne. Le manifestazioni, che secondo il New York Times sarebbero state quelle con più ampia partecipazione dal 2009, sono state represse con violenza dalle forze di sicurezza iraniane, che in alcuni casi avrebbero persino sparato sulla folla.

Ma com’è che in Iran si sarebbe arrivati dalle donne che passeggiano in minigonna per le strade della capitale nelle foto d’epoca al governo religioso degli ayatollah? Due libri possono aiutarci a ricostruire gli eventi, guardando la grande storia attraverso le lenti della piccola (enorme, straziante) storia. Si tratta della graphic novel Persepolis, da cui è stato tratto l’omonimo e forse più famoso film, e il romanzo Scrittura cuneiforme, rispettivamente degli autori Marjane Satrapi e Kader Abdolah*. Entrambi iraniani, la prima nata nel 1969, il secondo nel 1954, hanno abbandonato il loro paese tra 1984 e 1985, descrivendo poi molti anni dopo questa condizione di ‘spatriati’ e il complesso rapporto con la madrepatria nelle loro opere.

Nel 1925 una nuova dinastia, fondata dal comandante militare Reza Pahlavi, si sostituisce ai Qajar, sul trono iraniano dal 1789, con un colpo di stato favorito dal governo britannico; curiosamente, entrambi i nostri autori hanno un qualche legame diretto con i Qajar. Il nonno di Satrapi era uno dei principi della dinastia reale detronizzata, inizialmente nominato primo ministro e poi incarcerato per aver abbracciato gli ideali del comunismo; Abdolah invece discende da una stirpe vicina ai Qajar. Se si volesse seguire una cronologia dei cambiamenti occorsi in Iran dal colpo di stato di Reza Pahlavi, si dovrebbe leggere prima Scrittura cuneiforme, la cui vicenda semi-biografica si svolge soprattutto sotto la dinastia Pahlavi e arriva a trattare solo nella seconda metà del romanzo la Rivoluzione islamica e la successiva instaurazione del governo integralista dell’ayatollah Khomeini.

kader abdIn Scrittura cuneiforme, Abdolah racconta la storia del suo alter-ego Ismail, come lui iraniano, come lui membro attivo dell’opposizione e come lui rifugiato politico nei Paesi Bassi. Alla storia di Ismail è strettamente intrecciata quella di suo padre Aga Akbar, cui fa riferimento il titolo: Ismail, infatti, nel tentativo di mettere ordine nel suo passato e fare pace col suo presente, si propone di tradurre il quaderno su cui suo padre, sordomuto e analfabeta, ha preso per tutta la vita appunti nell’unica scrittura che conosceva, i caratteri cuneiformi. Così, capitolo dopo capitolo, legando insieme in un unico disegno i fili della sua vita, quelli della letteratura nederlandese, nella cui lingua Abdolah scrive, e quelli della tradizione letteraria iraniana, ripercorriamo la storia di Akbar e la strada che ha  portato Ismail da un piccolo villaggio nelle montagne nella regione orientale del paese, al confine con l’allora Unione Sovietica, a studiare fisica nella capitale e unirsi al movimento di opposizione armata al governo dello scià Pahlavi.

In questo libro preferirei non parlare di politica, ma a volte è inevitabile. Devo pur raccontare i fatti principali. Perché i maggiori cambiamenti nella vita di Akbar non sono che la conseguenza dei radicali cambiamenti avvenuti nel quadro politico del paese.” p. 142.

Il legame con la grande storia è costante: l’infanzia e la giovinezza di Ismail, primogenito, ombra e mediatore di Akbar col mondo esterno, si svolgono interamente sotto il governo del figlio del primo scià Pahlavi, impegnato nella sua missione di modernizzazione dell’Iran, condotta, anche grazie all’appoggio straniero, in modo più radicale rispetto a quanto aveva fatto suo padre. A Mohammed Reza si devono, tra l’altro, la creazione di un sistema ferroviario, di un esercito, dell’anagrafe, di un’amministrazione laica e centralizzata, lo sviluppo economico e la spinta all’industrializzazione, i maggiori diritti acquisiti dalle donne. Vediamo così lo scià un salvatore, un modernizzatore agli occhi della popolazione delle campagne, che al tempo stesso è la prima a non giovare di alcune sue iniziative, come l’introduzione del servizio di leva obbligatorio o le riforme mirate a favorire l’industria a scapito del settore agrario; ma anche un regnante autoritario, responsabile nelle città di violente repressioni ai danni degli oppositori, tra cui principalmente i religiosi.

Quando la famiglia di Ismail si trasferisce dal villaggio ai sobborghi di una città, il lettore può esperire il forte contrasto tra i centri e le periferie, e le sfumature grottesche che assume la spinta assoluta al moderno, che diventa in alcuni casi semplicemente una base per nuovi soprusi ai danni delle classi sociali più deboli. Si mostra inoltre che la modernizzazione auspicata dallo scià non fu mai completa ovunque nel paese, e questa frattura della realtà aiuta a comprendere come l’instaurazione della Repubblica islamica non sarebbe poi stata avvertita da tutta la popolazione come una imposizione ma piuttosto come la restaurazione di un modello già noto, in alcuni casi mai decaduto.

La narrazione di Abdolah è potente ed emotivamente carica, pur mantenendo una cronaca lucida che si fa avanti tra le progressive macerie di un paese e di un passato: con l’arrivo di Ismail a Teheran per studiare all’università, il lettore si ritrova coinvolto nel vivo del movimento rivoluzionario di sinistra di cui il protagonista diventa presto un membro attivo, mettendo a rischio la sua vita e accettando a malincuore di non poter più vedere se non in rarissime occasioni la famiglia, alla quale è profondamente legato.

Tramite il suo racconto, si apprendono i modi in cui la rivoluzione ha agito dalle montagne al confine del paese, dove le genti locali aiutavano i dissidenti politici dando loro rifugio o aiutandoli a espatriare, ai centri urbani, dove si è manifestata sotto le più clamorose forme della guerriglia e delle proteste, del dibattito culturale sottobanco nato spesso in seno all’università – «Studiare all’università di Teheran era ed è il sogno di ogni alunno persiano, ma c’è un detto che dice: ‘Entri, ma non sai se ne esci’» p. 194 –; ed è nello sconcerto di Ismail che vediamo gli ayatollah del paese approfittare di una rivoluzione di sinistra per insidiarsi al governo, forti del sostegno della consistente componente religiosa della popolazione, per poi incarcerare e giustiziare gli stessi oppositori grazie ai quali avevano preso il potere. Assistendo in prima persona al definitivo tracollo del partito, Ismail non ha altra scelta che non quella di fuggire dall’Iran.

20231125_212008

Il romanzo di Abdolah mostra forse con più chiarezza di Persepolis le vie che hanno permesso all’ayatollah Khomeini di prendere il controllo del paese dopo la rivoluzione del 1979. Infatti il protagonista Ismail cresce in un ambiente piuttosto umile e in una famiglia religiosa, è originario di un villaggio di montagna famoso per ospitare un santo in un pozzo, meta di pellegrini da tutto l’Iran; e benché lui a un certo punto smetta di credere e di pregare, ci mostra esattamente la parte analfabeta e profondamente credente del paese che è distante anni luce dall’esperienza di Satrapi, cresciuta a Teheran in una famiglia benestante, progressista, vicina agli ideali comunisti.

La graphic novel di quest’ultima, scritta in francese – lingua d’elezione dell’autrice -, racconta un’esperienza diversa: non più quella di un dissidente politico cresciuto sotto lo scià Reza e adulto al tempo delle proteste del ’79, ma quella di una bambina che ha dieciIMG_20231201_184139_369 anni nell’80 e si ritrova a vivere una serie di cambiamenti che non capisce pienamente, dal ‘foulard’ (il velo) obbligatorio a scuola alle classi che da miste si fanno rigorosamente divise in base al sesso. Attraverso i suoi occhi conosciamo il disorientamento, la paura, la confusione, l’indottrinamento spietato condotto dal regime nelle scuole, l’inizio della guerra con l’Iraq, i bombardamenti; e anche il dolore del lutto, troppo grande per un corpo così piccolo, dovuto alla perdita prematura di amici e familiari e in particolare dell’amatissimo zio Anush, dissidente politico con un dottorato sul marxismo-leninismo conseguito a Mosca, giustiziato dal regime dopo la rivoluzione come ‘nemico della repubblica’. Quella stessa bambina, appena preadolescente, verrà mandata a Vienna dai suoi genitori, preoccupati per il clima che prende piede nel paese, sempre più repressivo e sempre più pericoloso per una giovane donna istruita ed educata, cresciuta per essere libera.

tempFileForShare_20231201-182412Mentre Scrittura cuneiforme descrive piuttosto il dramma e il senso di colpa di una persona già adulta che ha fatto delle scelte consapevoli che l’hanno portata in prima linea e poi condotta lontana da casa, dalla famiglia, dagli affetti; di una persona che ha vissuto tutta una vita come appendice di un padre ingombrante, e che per questo sente sulla pelle viva l’innaturalità tutta di questa distanza e di questa rottura, Persepolis racconta con cruda bellezza e con sincerità mordace l’esperienza e le contraddizioni di un’adolescente sradicata che non ha scelto di andare via, e che vive un delicato passaggio all’età adulta reso ancora più complesso dall’equilibrio precario del rapporto con le proprie origini, con il passato e con il senso di colpa. Seguiamo ‘Marji’ a Vienna, di casa in casa e di scuola in scuola, viviamo con lei solitudine e crisi identitarie, proviamo la sua vergogna e poi l’orgoglio per le proprie origini, ci lasciamo trascinare con lei dal furore giovanile di chi ha letto un po’ e pensa di avere tutto il mondo culturale illuminato ai suoi piedi e invece è pieno di spocchia e discorsetti troppo superficiali, facciamo delle scelte, facciamo degli errori, ci innamoriamo con lei e con lei perdiamo il nostro senso del sé.

È difficile non sentire sulla propria pelle il dilemma interiore di una ragazzina sola e lontana da tutto ciò che le è familiare, che soffre ma crede di non averne il diritto e per questo non ha il coraggio di parlarne con le persone a lei più vicine, genitori inclusi. Cosa penserebbero, dopo aver fatto tanti sacrifici perché avesse modo di vivere serena? Come può dare loro il dispiacere di sapere che nonostante tutto questo lei non è felice? Come può lamentarsi dei suoi problemi quando i suoi cari stanno vivendo la guerra che a lei è stata risparmiata? Tuttavia, verrebbe da paragrafare Tolstoj nel dire che se tutte le felicità si assomigliano, tutte le infelicità sono infelici a modo loro e, come l’autrice imparerà a sue spese, nessuna di queste merita di essere sottovalutata.

A differenza di Ismail, Marjane tornerà in Iran per un periodo, raccontando la vita di tutti i giorni e gli atti di resistenza quotidiana di un cittadino – e, soprattutto, di una cittadina – nel clima repressivo della Repubblica teocratica islamica tra la fine della guerra con l’Iraq e la prima metà degli anni ’90. Il lettore assiste così a sotterfugi e adattamenti, feste clandestine e ribellione silenziosa, piccole regole infrante e zone grigie normative sistematicamente sfruttate e forzate quanto possibile. Dopo aver cercato una dimensione da abitare in un posto familiare dove ormai si incastra a fatica e lasciandosi alle spalle un matrimonio e un divorzio, Satrapi abbandona definitivamente il paese nel ’94 e si trasferisce in Francia.

Oltre a raccontarci l’esperienza diretta dei loro autori con i cambiamenti avvenuti in Iran nel corso del Novecento, entrambi questi libri sono, a mio parere, molto belli, colmi di una sensibilità semplice e profonda, risuonano un umano che si capisce e che si percepisce al di là dei differenti vissuti personali e fanno quel che un buon libro dovrebbe fare, ossia far uscire il lettore da se stesso, catapultarlo in realtà assai distanti dalla sua, allenare la sua capacità di vedere e sentire ciò che non conosce e ricordargli quanto bellezza e orrore, vita e morte convivano in ogni cosa. Mi sono emozionata più volte, leggendo, e so già che ci sono pagine che tornerò e tornerò a rileggere negli anni, per imprimerle nella memoria e per trovare conforto. Entrambi i libri inoltre raccontano, attraverso circostanze e classi sociali diverse, del profondo amore di genitori che vogliono proteggere i propri figli e farebbero letteralmente di tutto per loro, a costo di soffrirne, finanche di morirne: non è un caso se sia Persepolis che Scrittura cuneiforme dedichino le ultimissime pagine al ricordo delle perdite più care, con tocco leggerissimo e pesante al tempo stesso – perché, come cita l’explicit del primo, “la libertà ha sempre un prezzo”.

Alessia Angelini

*Pseudonimo nato dall’unione dei nomi di due esponenti dell’opposizione assassinati dal governo religioso degli ayatollah in seguito alla Rivoluzione islamica del 1979.

2 Comments

Lascia un commento