Chiusura e rottura di un cerchio: “Muschio bianco” di Anna Nerkagi

Muschio bianco, Anna Nerkagi
(Utopia, 2024 – trad. N. Cicognini)

Muschio bianco, il secondo romanzo di Anna Nerkagi pubblicato da Utopia, può definirsi speculare rispetto al primo, Aniko, di cui abbiamo parlato qui. Più che speculare: chiude il cerchio, e lo rompe. Se Aniko racconta la storia di chi parte e torna, Muschio bianco parla di chi resta e aspetta.

Anna Nerkagi, autrice nenec – tribù indigena e nomade della Siberia – è una voce importantissima e pregiata del panorama culturale mondiale e della letteratura dei margini. La sua prosa delicata ed evocativa fa quel che sa fare l’arte, raccontare l’universale anche quando calato in una dimensione estremamente specifica e riconoscibile, come in questo caso la tundra siberiana.

Nerkagi intesse i suoi drammi dolorosamente umani a immagini, metafore, espressioni, animali e ambienti propri del suo popolo e della sua terra, intrecciati in un legame naturale ormai dimenticato nel resto del mondo globalizzato e capitalista – e pure da questo sempre più minacciati. La sua voce diventa a tratti leggendaria, fiabesca; il respiro narrativo quello di vecchi miti tramandati oralmente di generazione in generazione. La storia è quella del tradimento di un ciclo, come una promessa di permanenza infranta; e al contempo, quella della natura che va avanti nonostante ogni frattura.

«Oggi è come se avessi visto per la prima volta il sole sorgere posando la sua guancia sul bordo della Terra e ho capito: la morte di chi ci è caro non significa anche la morte del sole. Vi ho annoiato col mio dolore e, se è così, perdonatemi» (p. 121).

I due romanzi sembrano raccontare la stessa storia da prospettive diverse, e invece, nonostante le molte corrispondenze, questo orizzonte d’attesa non viene rispettato: la figlia, l’amata lontana in Muschio bianco, non torna, non viene a scontrarsi con una dimensione in cui non si riconosce più appieno; non vive questo attrito, resta dov’è, non agisce, non parla. Il gioco intertestuale è esplicito, con richiami testuali anche letterali (p. 120) a cui si affida una replica tardiva.

«Ricordo che quando ero sopraffatto dal dolore tu mi dicesti: “Padre, possa il tuo cuore essere più vasto del cielo”. E ora io dico a te: “Figlio, possa il tuo cuore essere più vasto del cielo per accogliere la pietà oltre all’orgoglio”» (p. 120).

Muschio bianco è la storia del padre di Ilne (controparte della protagonista che dà il nome al primo romanzo) e di Alëška, e di come entrambi si misurano con la mancanza, la speranza e infine con la perdita; è un romanzo sull’amore, sul dolore, sul senso del dovere, sulla scelta, e anche un doppio coming of age – età adulta da una parte, vecchiaia dall’altra. L’arrivo di Aniko-Ilne è atteso e mai realizzato, come in una sorta di Aspettando Godot in versione nomade siberiana. I due esiti possibili della storia vengono messi su carta: come nella realtà, a volte si torna, ma a volte anche no.

I sentimenti dei protagonisti vengono contemplati e accettati come il passare delle stagioni; la natura è a sua volta pienamente protagonista, come le renne, compagne di vita e di viaggio sulla strada che tutti prima o poi percorrono. Il mondo antico dei nenec stride con l’orizzonte a noi più usuale e noto e al tempo stesso viene reso con penetrante accuratezza nei suoi punti fermi, credenze, norme sociali.

È una dimensione che rispetta la terra, anziché cercare di piegarla ai propri servigi; che preserva un pensiero magico molto vivo, esemplificato dal legame altamente simbolico di una famiglia al sacro focolare del proprio čum. Ai bordi di questo mondo preme il nostro: in questo conflitto imponente all’orizzonte si pone l’assenza che muove la vicenda, e in questo attrito la motivazione per cui è importante per il lettore eurocentrico leggere romanzi come quelli di Anna Nerkagi.

L’ultima parola alla nota posta in chiusura dall’editore:

«l dilemma di Alëška ha accompagnato per molto tempo anche noi, nei mesi di lavoro a questo romanzo. Quel che si deve? Quel che si dovrebbe? La meditazione può rivelarsi amara perché, qualunque sia la decisione conclusiva, si finisce col sacrificare qualcosa. Scegliere, in fondo, è questo. Perdere.» 

Alessia Angelini

Immagine di copertina: Foto di Sergei Shilenko: https://www.pexels.com/it-it/foto/raffreddore-freddo-neve-nuvole-11876494/ 

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