Elogio involontario di Milan Kundera

Ovvero: credevo fosse una recensione, invece era un panegirico.
Elogio imprevisto, a partire da una riflessione sulla raccolta Amori Ridicoli, della quale avrei dovuto fare una semplice recensione, ma così non è stato.

Amori Ridicoli di Milan Kundera è stato l’ultimo libro che ho letto nel 2017. Una raccolta di racconti che ha rappresentato l’esordio di uno degli scrittori più importanti del ‘900 e che stimo tra i miei autori preferiti.

Era da un po’ che non leggevo Kundera, forse un paio d’anni, prima dei quali avevo divorato sette suoi libri (cinque romanzi, un saggio e un testo teatrale), ma con la consapevolezza di aver fatto l’errore di non averli letti nell’ordine in cui sono stati scritti. Se in riferimento ad alcuni autori tale premura può rappresentare agli occhi di alcuni una pignoleria, ciò non vale per l’autore boemo. La ragione è insita nella particolare storia biografica di quest’uomo, che separa la sua produzione in due periodi: l’uno praghese e l’altro parigino, tant’è che alcune opere sono state scritte in ceco e altre in francese. (C’è anche una seconda ragione, ma del tutto personale, ovvero voler conoscere abbastanza bene quest’autore da avere coscienza della sua parabola artistica in senso cronologico).

Mi si conceda quindi una breve premessa. Kundera è stato una personalità dai tratti sovversivi nellamilan-kundera-277206 Cecoslovacchia di dominazione sovietica, e tale caratteristica appartiene anche alle sue prime opere. Se dapprima era stato membro del Partito Comunista, ad un certo punto ne verrà espulso (anche ma non solo) per il suo fervido sostegno alla Primavera di Praga del 1968. All’epoca aveva 39 anni ed era uno dei personaggi di spicco dell’intellighenzia praghese. Insegnava all’Università Karlovo e aveva pubblicato soltanto alcuni racconti, usciti a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 e poi definitivamente raccolti nel ’68 in Amori Ridicoli, e il romanzo Lo scherzo, pubblicato sempre in quegli anni e che narra le vicende dello studente Ludvik, la cui vita viene “sfigurata” per alcune righe scherzose e beffarde sul socialismo scritte ad un’amica.

Si nota già in questo primo romanzo una certa critica neppure velata alla situazione politica del suo tempo, che verrà ribadita anche ne La vita è altrove (1973) che è stato da lui definito “il romanzo della rivoluzione europea”.
Due anni dopo si esilierà definitivamente in Francia. Qui scriverà i suoi romanzi più fortunati, come Il libro del riso e dell’oblio (1978), a mio modesto parere il romanzo più grande di Kundera, che gli costerà la perdita della cittadinanza cecoslovacca; e il celeberrimo L’insostenibile leggerezza dell’essere (1985). Ad esclusione de L’immortalità (1990), le opere successive saranno scritte non più in ceco ma in francese.

Dopo l’esilio in Francia, volontario ma nondimeno privo di costrizione, le tematiche politiche della prima produzione lasciano il posto a riflessioni sulla memoria e sull’oblio, sul tema del nostos e della lontananza dalla Patria (stupendo è a tal proposito L’ignoranza, suo penultimo romanzo, del 2001), ma continueranno a mantenere sempre i leitmotiv propri della sua scrittura, come l’amore e l’erotismo, l’umorismo e la menzogna, fedeltà e adulterio, obbedienza e opposizione, ecc.

90c76e9ffaf0d4f3137dff6c029cadde_w600_h_mw_mh_cs_cx_cyDetto del Kundera uomo, in luogo di necessaria premessa contestualizzante, posso passare al Kundera scrittore, del quale, nell’intenzione di scrivere una recensione di Amori Ridicoli, finirò invece per tessere gli elogi. In questi racconti d’esordio, che descrivono in modo a volte bislacco, a volte drammatico, a volte quasi in maniera disturbante, vicende d’amore per l’appunto ridicole, nel senso che nella loro stranezza, particolarità e ambiguità finiscono per suscitare ilarità (nella concezione di umorismo più vicina a Pirandello, per intenderci, che alla comicità), ho trovato già il Kundera più grande, fedele alle sue opere più pregiate e con una voce netta, peculiare, contraddistinta. Ha proprio ragione Pietro Citati, quando dice che basta aprire un suo libro, “leggere due righe, corteggiare un’immagine, inseguire disperatamente un motivo; e ci diciamo sorridendo: ‘È Kundera’”.

Non dirò cosa accade ai personaggi dei racconti, perché si tratta di vicende così incredibili, assurde, talvolta quasi inquietanti nella loro naturalità, che potrei descriverle solo banalizzandole e togliendo il gusto a chi vorrà intraprenderne la lettura.

Quello che mi preme notare è cosa rende Kundera uno scrittore come nessun altro.

Egli possiede come pochi, come i più grandi, un divertimento, un gusto gioioso e giocoso nel raccontare. Ma anche “raccontare” sarebbe riduttivo. Leggendo Kundera vi accorgereste immediatamente che egli più che raccontare storie inventate, pare piuttosto osservare vicende preesistenti, reali. La sua prosa è una lente puntata su vite da indagare con sguardo critico e curioso. Ogni dimensione dell’agire è sezionata, studiata e interpretata, fino a fornirci, quale diagnosi, una visione inedita, incredibile, a cui non avremmo mai pensato, eppure così unicamente corretta, così vera, della realtà. E infatti Kundera non è semplicemente romanziere. Si fa etologo, antropologo, filosofo, psicanalista, perché la vicenda narrata non è altro che un pretesto per indagare la realtà stessa, nelle sue bellissime contraddizioni, nella sua disordinatissima coerenza.

A tal proposito, è grandioso sottolineare come le sue storie non sono mai caratterizzate da espedienti originalissimi, da colpi di scena, da intrecci elaborati; anzi egli produce una esaltazione encomiastica della banalità e del quotidiano. E in tutto questo naturale, normale quotidiano, il suo sguardo è capace di cogliere l’eccezionale, svelandone il mistero pagina dopo pagina; riflettendo – e coinvolgendo il lettore nella sua riflessione – in digressioni intorno alla musica e alla filosofia e soprattutto intorno a quei temi caldi che avevamo sopra elencato.

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È come se egli invitasse il lettore in un Caffè di Praga (o Parigi) e disquisisse con lui dei vizi e delle virtù dell’uomo, così come di poesia, letteratura e dello scibile umano in generale. Come quando, in un passaggio magistrale e geniale, di umoristica metafora, all’interno de Il libro del Riso e dell’Oblio, Lo Studente si ritrova incredibilmente a tavola con i più grandi poeti dell’umanità: ci sono Goethe, Voltaire, Lermontov, Boccaccio, Petrarca, Esenin e altri intenti in un simposio, che si conclude con il Trasporto del poeta, Goethe, che per la vecchiaia e l’alcol bevuto non riesce più a muoversi e i poeti tutti tentano di sollevarlo ma non reggono il suo peso, e goffamente lo trascinano e i piedi di Goethe “ora ciondolavano come i piedi di un bambino che i genitori fanno giocare a volavola”, fino ad ammassarsi tutti quanti in un prosaico taxi.

Oppure come le riflessioni sviscerate nel suo saggio grandioso sulla letteratura I testamenti traditiche in un passo di brillantissimo, visionario e attualissimo acume lo porta a scrivere:

«Guardatevi intorno, in metropolitana; vedrete che tutti quanti, seduti, in piedi, si ficcano un dito in un qualche orifizio del viso, nell’orecchio, in bocca, nel naso; nessuno si sente osservato dagli altri e ciascuno pensa di scrivere un libro per poter esprimere il proprio unico e inimitabile io che si esplora le narici; nessuno ascolta nessuno, tutti scrivono e ciascuno scrive come se ballasse il rock: da solo, soltanto per se stesso, concentrato su di sé, eppure facendo gli stessi movimenti che fanno tutti gli altri.»

Se qualcuno facesse anche a me una di quelle domande curiose, un po’ banali, che spesso si fanno, come “quale personaggio letterario vorresti essere?”, io risponderei che al pari di un personaggio omerico quale Odisseo, mi piacerebbe infinitamente essere partorito dalla penna di Milan Kundera, per essere forgiato dalla sua prosa tanto semplice quanto elegante e sopraffina; farmi oggetto di elucubrazione antropologica, etologica, psicologica e filosofica; così da poter leggere di me tutto ciò che non ho mai saputo, comprendere tutto quel che mai ho capito, vedermi vanitosamente sviscerato in un’autopsia intellettuale.

Leggere Kundera è un’esperienza. E se non l’avete mai fatto, Amori Ridicoli è il punto da cui vi consiglio di partire, prima di arrivare ex abrupto ai suoi libri più famosi; e se avete già letto altro di suo, è il momento di leggere Amori Ridicoli.

– Giuseppe Rizzi –

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