Vorrei premettere che non amo le autobiografie degli autori, soprattutto quando mi piacciono. Temo sempre ne esca un personaggio artefatto, costruito, poco vero. Ma questa qui non è un’autobiografia. È, come dice il titolo, un esercizio.
Camilleri ha perso la vista, ma questo evidentemente non gli ha impedito di scrivere, il che è un prodigio: se chiunque di noi dovesse mettersi a dettare tutto ciò che pensa per un racconto, un romanzo, una poesia, con tutta probabilità ne uscirebbe una schifezza. Questo accadrebbe perché la mediazione tra i pensieri e la scrittura è un nodo cruciale per chi fa il mestiere dello scrittore; vedere la pagina scritta e avere la possibilità di rifletterci sopra è essenziale. Non è impresa da niente riuscire a concentrarsi sulle proprie parole al punto tale da dettarle come fossero già state scritte su un foglio immaginario nella propria mente. E invece Andrea Camilleri ci è riuscito.
Gli “Esercizi di memoria” (edito da Rizzoli nel 2017, l’altro ieri in effetti) non sono un’autobiografia, lo ripeto, ma una serie di racconti sparsi che cercano di ricostruire un percorso di vita. Una sorta di eredità, mi verrebbe da dire. Questo mi è sembrato più che evidente quando ho letto la dedica: “A Silvia, mia nipote”. L’eredità la si lascia ai propri affetti; non credo ci sia eredità più grande delle memorie migliori (e peggiori) di un nonno, un uomo di un altro tempo eppure così vicino.
Insomma, ciò che emerge sin dalle prime parole di Camilleri va in due direzioni: prima si pensa al genio che è quest’uomo, e poi si pensa a quanto è umano. Il che non vuol dire che un genio non possa essere uomo, ma è anche vero che molte persone geniali sembrano poco umane. Camilleri no, non mi è sembrato poco umano: anzi, leggendo ho avuto l’impressione che questo libro fosse scritto proprio per ricordare quanto di più umano c’è stato nella sua esperienza di vita. E infatti la raccolta di memorie fa sorridere, cosa che Camilleri ha sempre saputo fare benissimo, commuovere leggermente e riflettere.
Ho capito che la raccolta era ben riuscita quando ho cominciato a pensare, a seconda degli episodi che leggevo: “Anche io!”. Quando si comincia a entrare nella mente dell’autore e provare empatia, addirittura identificarsi con determinate abitudini, vizi e virtù, allora un libro del genere è sicuramente riuscito.
Il fatto, poi, che Camilleri abbia detto espressamente che non aveva l’intenzione iniziale di pubblicare il libro è, dal mio punto di vista, il valore aggiunto a questa raccolta, che ancor di più si conferma come l’eredità di un uomo che è (anche) un genio.
E non è un genio perché scrive bene, benissimo, attenzione: a scrivere bene sono capaci in tanti, sono stati tanti a esserlo, e di certo arriveranno altri scrittori bravi. Ma a renderlo un genio è la dedizione sfrenata per l’arte della scrittura.
È l’unica definizione di genio che conosco: chi ha più dedizione degli altri, chi riesce a pensare solo al lavoro che fa, chi lavora sempre e comunque. Il genio si vede in questo, e Camilleri è un vero e autentico genio dell’arte della scrittura. Ed ecco anche perché non mi pronuncio sullo stile scrittorio dei racconti: sarebbe stupido e alquanto inutile. Chi conosce Camilleri sa bene come scrive e la cecità non gli ha portato via il suo dono.
Una delle peculiarità della raccolta sono i disegni abbinati ad alcuni racconti: perché? “Perché io ho sempre amato l’arte, perché io quando non ne posso più del buio nel quale sono costretto, mi ristoro nel ricordarmi pennellata dopo pennellata l’immagine dei quadri che ho più amato e così nella mia mente tornano i colori” (Andrea Camilleri, Esercizi di memoria, intr., p. 10, Rizzoli, 2017). Non credo ci sia molto da aggiungere a una motivazione così poetica.
Concludendo, “Esercizi di memoria” è stata l’ultima lettura del mio 2017 e ci tenevo a portarla qui, poterne parlare. Non perché sia stato il libro più bello del mio anno, anzi a dire il vero ho letto cose che mi hanno emozionata di più; ciò che mi premeva raccontare era lo sforzo di un uomo che ha scelto, dopo la pubblicazione del suo centesimo (centesimo!) libro, di raccontarsi e di vincere ancora il buio della cecità, di parlare di sé e della società che ha visto, di lasciare un’eredità di ricordi.
Questo libro di Camilleri va preso per quello che è: un documento storico.
Clelia Attanasio