Bisognerebbe intendersi su cosa sia la lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.[1]
In queste parole dei ragazzi di Barbiana vedo alcune questioni di grande attualità,
anche se non siamo più tanto abituati a porsi i problemi in termini di poveri e ricchi. Quanto è diffusa la lingua cristallizzata nelle forme dei ricchi? I poveri hanno i mezzi per intenderla?
Vorrei lasciare queste domande aperte e lasciar parlare un esempio che forse può meglio rappresentare la questione.
La difficoltà e la complicatezza della lingua di comunicazione ufficiale è un problema ben noto del nostro paese, particolarmente evidente nel settore della burocrazia: gli esempi al riguardo si sprecano, basta un qualunque decreto ministeriale o regolamento condominiale, un contratto di affitto o un manuale per la patente di guida. Tuttavia non c’è bisogno di addentrarsi nella giungla giuridico-amministrativa per averne un assaggio. Basta prendere un treno. Chiunque abbia avuto occasione di prendere un velocissimo Italo avrà notato che, ogni volta che salgono nuovi passeggeri, viene riproposto un messaggio registrato. La voce registrata suona pressappoco così:
I passeggeri sprovvisti di biglietto valido sono pregati di farlo tempestivamente presente al train manager per poter proseguire il viaggio.
La scelta di “train manager” in luogo di “capotreno” e di “tempestivamente” in luogo di “immediatamente” hanno l’obbiettivo di presentare Italo come una compagnia di trasporti all’avanguardia, efficiente e english-speaking. Ma quante persone sono in grado di cogliere questa sfumatura? O, più radicalmente, quante persone non sono in grado di comprendere questa frase? Si può obbiettare che i passeggeri di Italo sono probabilmente tutti abituati a maneggiare la lingua nelle forme dei ricchi. Ma escludere ogni possibilità che una persona al di fuori dal target commerciale della compagnia possa fruire a pieno del servizio è un altro paio di maniche. È evidente che queste scelte impediscono o rendono difficoltoso il passaggio di un’informazione importante: che cosa fare se il biglietto è sbagliato. Chi non sa l’inglese e/o chi non ha un livello di alfabetizzazione sufficiente per capire l’avverbio “tempestivamente” deve affidarsi al suo buon senso e rivolgersi il prima possibile alla prima persona in divisa che vede. Per avere una conferma di queste impressioni e una stima di quanti italiani siano messi in imbarazzo da questo testo si può ricorrere a un’analisi sulla “leggibilità” della frase.
Esiste infatti una formula matematica, elaborata dai ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, che consente di quantificare numericamente il grado di leggibilità di un testo scritto (applicabile anche ad un testo parlato se questo ha alla base, come il messaggio di Italo, una progettazione scritta). Si chiama “Indice di Gulpease” e valuta esclusivamente la veste formale di un testo in base al numero delle frasi, numero delle lettere e numero delle parole. Un sito messo a punto dalla stessa Università integra a questa analisi anche un confronto con il Vocabolario di Base della lingua italiana (www.corrige.it). Il Vocabolario di Base è costituito da una lista delle 7-8000 parole più frequenti della lingua italiana e dunque note a chiunque, anche con bassi livelli di scolarizzazione. Dunque, più il lessico è difficile e la frase è articolata, meno il testo risulterà leggibile.
Facciamo qualche esempio:
- Questa frase è semplice. Parole di uso comune e concetti diretti ha un indice di leggibilità molto alto, pari a 94 su 100;
- Questa frase risulterà di difficoltà media, il lettore non avrà problemi a capirla ha un indice di leggibilità medio, pari a 57 su 100;
- Tale frase potrebbe potenzialmente risultare disagevole alla lettura implicando un risultato di scarsissima leggibilità e comprensibilità del testo medesimo ha un indice di leggibilità basso, pari a 32 su 100.
Che cosa non fa l’indice di Gulpease? Non dà un giudizio di merito e non considera, ovviamente, la coerenza e la chiarezza contenutistica. Un esempio banale: *Questa semplice è frase. Parole uso di comune concetti e diretti ha un indice di leggibilità altissima, 94 su 100, pur non significando niente. Questo indice dunque non dice quanto un testo è comprensibile nel contenuto ma quanto è leggibile nella forma, nelle sue componenti lessicale e sintattica. La prova di leggibilità può dare (come vedremo in questo caso) risultati anche impressionanti. Tuttavia questo non deve portare ad un uso fuori misura e strumentalizzato dell’Indice di Gulpease: contenuti complessi possono e devono aver bisogno di una forma e una lingua complessa, in grado di cogliere sfumature e sfaccettature anche sottili. Sarebbe dunque irresponsabile banalizzare e ridurre una materia articolata in poche parole semplici.
Ma torniamo al messaggio registrato di Italo, e passiamolo al vaglio del programma Corrige:
Le 4 parole su 20 che non appartengono al Vocabolario di Base (una percentuale altissima del totale, pari al 20%) determinano un indice di leggibilità molto basso, di 44 su 100. Questa frase risulta quindi “quasi incomprensibile” per chi sia in possesso della sola licenza elementare e “molto difficile” per chi non abbia proseguito gli studi dopo le scuole medie. Dati Istat alla mano[2], si tratta nel primo caso di circa 9 milioni di persone, a cui vanno aggiunti circa 4 milioni sprovvisti di titolo di studio, e nel secondo di 16 milioni. La comunicazione smart di Italo è dunque un ostacolo per 29 milioni di italiani: non si tratta di una scelta lessicale infelice ma di un vero e proprio disservizio.
Il risultato a cui si è giunti tramite questa analisi è preoccupante: quasi un cittadino italiano su due non capisce (o meglio, non è messo in condizioni di capire) un annuncio su un treno. Il problema ha due aspetti, la scarsa alfabetizzazione della popolazione e la difficoltà della lingua. Quanto al primo i dati[3] sono di per sé molto eloquenti:
- 5% analfabeti (incapaci di leggere, scrivere e fare di conto);
- 33% analfabeti funzionali (non vanno oltre brevi frasi e elementari operazioni matematiche);
- 33% a rischio analfabetismo funzionale;
- 10% alfabeti funzionali (ma con difficoltà nel problem solving);
- 19% piene competenze alfanumeriche e di problem solving, considerate requisiti minimi per orientarsi nella società contemporanea.
Ciononostante, molti testi informativi nel nostro paese, indipendentemente dalla complessità dei contenuti (è il caso di Italo) sono ben più che complessi: rasentano l’oscurità. Se questa oscurità sia voluta, a fini snobistici quando non manipolatori, o se sia subita, a causa della formazione scolastica e culturale del nostro paese, è stato ed è tutt’ora argomento di acceso dibattito[4].
Scrivere più chiaramente avendo cura di farsi capire dovrebbe essere non solo una buona norma condivisa ma anche un imperativo etico e civico. Tuttavia scrivere in modo serio e semplice è tutto meno che banale, poiché è altissimo il rischio di banalizzare. Lavorare sul livello della lingua non può essere l’unica soluzione, anche perché rimane operazione di una ristretta élite (i «ricchi» per usare le parole della scuola di Barbiana) nei confronti di una massa che si suppone non pensante.
«Omnia munda mundis,» disse poi, voltandosi tutt’a un tratto a fra Fazio, e dimenticando che questo non intendeva il latino. Ma una tale dimenticanza fu appunto quella che fece l’effetto. Se il padre [Cristoforo] si fosse messo a questionare con ragioni, a fra Fazio non sarebber mancate altre ragioni da opporre; e sa il cielo quando e come la cosa sarebbe finita. Ma, al sentir quelle parole gravide d’un senso misterioso, e proferite così risolutamente, gli parve che in quelle dovesse contenersi la soluzione di tutti i suoi dubbi. S’acquietò, e disse: «basta! lei ne sa più di me»[5].
Per difendersi dal latinorum dei Promessi sposi (metafora di qualsiasi lingua della violenza e del sopruso), anche quando a usarlo è padre Cristoforo a fin di bene, bisogna alzare il livello della cultura nel nostro paese. Dunque promuovere la lettura, l’istruzione e l’informazione approfondita come un valore non negoziabile, ricordando la lezione di Don Milani: «ogni parola non imparata oggi è un calcio in culo domani»[6].
(Adriano Cecconi)
[1] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1974, pp. 18-19.
[2] Istat 2016. Si riferiscono ai cittadini italiani con più di 15 anni nel 2016.
[3] Indagine Ocse 2006.
[4] Cfr. M. Loporcaro, Cattive notizie: la retorica senza lumi dei mass media italiani, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 35.
[5] A. Manzoni, I promessi sposi, Firenze, La nuova Italia, 1982 p. 155.
[6] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa.
Ho tratto le informazioni riguardo all’Indice di Gulpease da Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana, Bari, Laterza, 2014. Quello stesso libro mi ha suscitato l’idea di questo articolo.
Sembra una cosa strana, eppure nel passato ci si sforzava di scrivere in maniera più semplice e comprensibile. Basti prendere un unico ma eloquente esempio: la nostra Costituzione. Leggendola ci si rende conto che le frasi sono molto brevi, quasi lapidarie. Come testimonianza di ciò basti pensare che alla fine della stesura del testo costituzionale, i nostri Padri costituenti incaricarono Pietro Pancrazi, un letterato, di revisionare tutti gli articoli in modo da garantire la forma più semplice e comprensibile. Perché tutta questa attenzione e premura per la forma linguistica? Il motivo è abbastanza intuitivo: all’epoca il livello di alfabetizzazione era molto basso ed era quindi necessario che un testo di importanza fondamentale – quale era ed è la nostra Carta Costituzionale- fosse comprensibile a tutti i cittadini, istruiti e non. Se si dà un’occhiata alla maggior parte degli scritti odierni si nota l’abisso che ci separa dal testo del 1948. Per fare un esempio in ordine di tempo, si potrebbe analizzare, dal punto di vista linguistico, il disegno di riforma costituzionale proposto nel referendum del 2016 (è un esempio come un altro, che non vuole aprire discussioni politiche). È una cosa paradossale: tempo addietro eravamo meno istruiti eppure sapevamo scrivere e farci comprendere meglio, oggi, invece, che il livello di alfabetizzazione è cresciuto molto, scriviamo in maniera complessa e soprattutto incomprensibile. A mio avviso, ciò dipende anche dal fatto che si legge sempre meno e questo inevitabilmente incide sul nostro modo di esprimerci, sia oralmente che per iscritto. Se poi si aggiunge la circostanza che sentiamo sempre più la necessità di inserire nel testo parole inglesi anche quando non necessario (e magari quando non si conosce né l’inglese né l’italiano), la situazione è veramente deprimente. Siamo passati dagli insegnamenti di ciceroniana memoria ( ‘… servirsi di termini d’uso corrente, denotando con precisione i contenuti che intendiamo esprimere e tralasciando parole o formule ambigue, evitare periodi eccessivamente lunghi…’) a quella che Italo Calvino definiva l’antilingua, cioè l’italiano di chi non sa dire ‘ho fatto’ ma deve dire ‘ho effettuato’. E siamo sospesi in questo ‘limbo’: tra l’assenza non tempestiva di comunicazione al train manager e misunderstandings vari. Ironia ultima a parte, complimenti e grazie per questo interessante articolo.
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