Casa de Papel: la vincita del pop(olare)

Da quando ho visto Casa de Papel (la “Casa di Carta” per chi l’ha vista nel doppiaggio italiano) ho difficoltà a pensare ad altro. Questa serie tv mi ha folgorata sotto ogni aspetto; dopo un iniziale entusiasmo, quasi fissazione, ho scelto di analizzarne i motivi.

Cosa ha reso queste serie tv un vero e proprio evento mondiale? Cosa ci dice di noi stessi questo successo? Ci ho pensato e ripensato, ho visto addirittura la serie due volte di fila, e alla fine ho ricavato qualche motivo che mi sembrava convincete.

Anzitutto: Casa de Papel è un evento pop. Molti di noi sono abituati a pensare all’analogia “Pop=Scarsa qualità”, ma – come tutte le cose che vengono prese come verità assolute – niente di tutto ciò mi ha mai pienamente convinta. Casa de Papel è pop non perché piace a tutti (e quindi fa schifo), ma piace a tutti perché è pop. Insomma, in Casa de Papel la qualità è talmente alta da essere accessibile a tutti. Tratta tematiche pesanti e inscena plot-twist complicatissimi e lo fa con un linguaggio accessibile. La chiave vincente di un prodotto artistico, che lo rende simbolico per una stagione o – se è veramente ottimo – per un’intera generazione, è tutto nel linguaggio che adopera per comunicare.

Perché Twin Peaks era vincente e ha cambiato la storia della serie televisiva? Perché era una serie tv strutturata in modo difficile, ma comunicata in modo diretto. Perché Scrubs ha innalzato il concetto di serie tv di lunghissima durata (alla Happy Days per intenderci)? Perché trattava di tematiche universali, e lo faceva con un linguaggio umoristico ma psicologicamente pregnante. Non esiste un essere umano che abbia guardato tutte le puntate di Scrubs e non abbia pianto di commozione almeno una volta.

La serie tv, intesa non solo come prodotto televisivo ma come prodotto artistico, ha raggiunto il suo apice perché è comprensibile a tutti, anche per le esigenze di mantenere una trama. Il cinema potrebbe apparire simile, ma la verità è che stiamo assistendo ad un allontanamento del mezzo cinematografico dalla sensibilità popolare. Uno non va a vedere il film di Sorrentino perché pensa di capire la trama e di trarne qualche tipo di emozione, è quasi il contrario. Paradossalmente, Sorrentino è riuscito a comunicare al grande pubblico (suscitando un plebiscito di gradimento, cosa che credo non gli sia mai capitata) più con il capolavoro The Young Pope e non certo con La Grande Bellezza. Cosa c’entra questo con Casa de Papel?

Casa de Papel è pop e odia la nicchia. È ovvio che non tutti i riferimenti possono essere colti da tutti, ma un prodotto artistico è ben delineato proprio quando anche chi non ha le basi di riferimento riesce a comprendere le intenzioni finali di ciò cui sta assistendo. Ecco perché è pop.

Altra scelta vincente è stata quella di non prendere riferimenti esclusivi dalla cultura iberica, ma spaziare a livello geografico: possiamo sentire un odore tarantiniano in molte scene, dell’umorismo britannico (chi ha visto Misfits concorderà con me) e una politicizzazione della rivoluzione di stampo marcatamente partigiano.

L’unica nota spagnola che gli sceneggiatori hanno scelto di lasciare è la vena romantica da telenovela, creando intrecci non solo noir ma anche sentimentali. Basti pensare al fatto che grande parte del cast viene dal mondo degli sceneggiati spagnoli. Uno su tutti: il bellissimo Alvaro Morte, che interpreta el Professor e ha recitato ne “Il Segreto” (famosissimo anche in Italia). La scelta è stata vincente, perché ha fatto sì che i personaggi potessero essere curatissimi sotto il punto di vista psicologico. Le relazioni tra i protagonisti sono così ben tratteggiate che nessuno resta all’oscuro delle motivazioni che spingono i singoli personaggi ad agire. Tutto è comprensibile, chiaro, alla luce del sole: il crogiolo culturale che si forma in questa serie la rende iper-comunicante.

fiore del partigiano

Casa de Papel è il nuovo simbolo della “dittatura” della cultura popolare, che odia la nicchia intellettualoide e ci regala l’accessibilità, attraverso il mezzo e il linguaggio. Casa de Papel è attraente, come lo sono i personaggi e non solo dal punto di vista estetico. Ad essere attraente è soprattutto il messaggio “rivoluzionario” che Casa de Papel cerca di veicolare. Rivoluzionario da intendersi essenzialmente come “capovolgimento”: i buoni sono i cattivi, chi ruba è l’autorità costituita e non il ladro, i buoni uccidono mentre i cattivi scelgono di non usare violenza. Questo, in particolare, ricorda molto la presa del Palazzo d’Inverno, altro riferimento culturale.

Questo ci attrae, credo, per due motivi: anzitutto, fare la rivoluzione attraverso una serie tv ci permette di delegare le responsabilità dell’ignavia che ci pervade in questo periodo storico. E in secondo luogo, il sogno di riscatto contro le autorità è un filo rosso che lega molte delle serie degli ultimi anni: Doctor Who, Breaking Bad, Gomorra, Suburra, Black Mirror, Game of Thrones nei personaggi di Daenerys e Jon Snow.

La politicità della serie è un dato lampante che è inutile negare, dove la rivoluzione è un atto di “rimettere le cose a posto”: chi non sparge sangue ridistribuisce le ricchezze, ma contemporaneamente manipola l’opinione pubblica per farsi idolatrare, e ci riesce. Il mezzo di comunicazione è importante anche nella stessa finzione del telefilm.

Non posso non ammettere di aver guardato al successo di Casa de Papel con una certa contentezza e commozione. Che possa dirsi, finalmente, conclusa l’egemonia culturale americana? Forse stiamo attraverso un momento storico in cui a scegliere la cultura occidentale non saranno più gli americani, protagonisti di un declino culturale che è ormai sotto gli occhi di tutti, quanto gli europei.

Concludendo, vorrei solo dare un consiglio frivolo: guardate queste serie tv in lingua originale, non fosse altro per godere delle voci e dell’accento di Alvaro Morte (el Professor) e Pedro Alonso (Berlìn), che sono peggio – o meglio – del canto delle sirene.

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Io, nel frattempo, vado ad imparare lo spagnolo.

 

Clelia Attanasio

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