Premio Strega 2018: il vorticoso “Gioco” del desiderio firmato D’Amicis

Il gioco, Carlo D’Amicis
(Mondadori, 2018)

copertinaQuello che ha portato Carlo D’Amicis fra i finalisti del Premio Strega 2018 è un romanzo che ha molto da svelare già dalla copertina. Una donna nuda ricalca la posizione della celebre foto di Man Ray, Le violon d’Ingrès, mentre un uomo le appoggia sulla schiena la medesima applicazione e un altro li osserva. Si tratta di un gioco a tre, come ci dice il titolo, anche se la mole dell’opera fra presagire che non sarà leggero, o meglio, che non ci sarà da aspettarsi niente di superficiale.

Basta aprire le prime pagine per accorgersi che è proprio così e che una lingua avvolgente e calda, come d’altronde lo è il tema-chiave della storia, ammalia chi decide di lasciarsi guidare bendato e incuriosito in questo lungo cammino. Subito si scopre che si ha a che fare con un’intervista condotta al fine di scrivere un libro sul piacere, e che a sottoporsi alla registrazione di domande e risposte con un’audiocassetta sono Leonardo, Eva e Giorgio.

I tre hanno stabilito di iniziare insieme un gioco erotico e sessuale, che contemporaneamente li eccita e li spaventa, li libera e li fa prigionieri delle proprie regole, rafforza le loro perversioni e indebolisce la loro volontà, riuscendo per una ragione inspiegabile ad operare anche l’esatto opposto ogni volta, in un vortice di azioni e reazioni struggente e imprevedibile.

Più nel dettaglio, i protagonisti incarnano dei ruoli specifici e ben delineati. Leonardo ha come nome in codice Mister Wolf ed è il bull, cioè un uomo dai tratti decisamente virili e con una storia forte ad accompagnarlo fin dall’infanzia: suo padre era un carabiniere ucciso dalle Brigate Rosse, lui ha invece insegnato in un prestigioso liceo di Roma e si è fatto poi licenziare dopo avere palpato una studentessa. Nel frattempo, ha scritto storie hot per un giornale, va spesso a letto con donne sposate su richiesta dei mariti e fa coppia con l’amico Giacomo sul lavoro, dove i due si sono soprannominati Macho e Freak.

Eva è invece la principale esponente del sesso femminile, affascinante First Lady con un passato doloroso alle spalle, che ha visto sua madre fuggire dalla mafia e circondarsi in seguito di molte relazioni. La figlia non ha seguito i suoi passi e ha invece sposato Giorgio, uomo a cui è molto legata e di cui è la sweet, ovvero colei che è sempre pronta ad assecondarne desideri e fantasie, impersonando un ruolo al tempo stesso di oggetto del desiderio e di motore dell’azione.

Al suo fianco, un marito che non è altri che il Presidente. Un uomo molto ammirato sul posto di lavoro, dato che è un oncologo la cui fama lo precede, e che invece fra le mura domestiche è un cuckold. La sua è la posizione di chi sa di essere tradito e, anzi, fa in modo che accada, godendo in maniera masochistica della situazione e sviluppando nel frattempo delle pulsioni inespresse di carattere omosessuale nei confronti di chi ha rapporti con la moglie. È lui, insomma, a mettere in moto il gioco e ad innescarlo.

Ne consegue, chiaramente, un intreccio articolato e contraddittorio, in cui il sesso viene osservato come vero e proprio desiderio, come parte integrante della vita di ogni essere umano e come riflesso non solo dei suoi desideri, ma in generale di un microcosmo esistenziale ben più complesso. All’interno del gioco, infatti, tutti e tre sono presenti sia con il corpo che con ogni altra parte di sé, in un perenne tentativo di non donarsi del tutto, di non lasciarsi andare e di non rivelarsi fino in fondo, oltre che contemporaneamente di assecondare le dinamiche in cui sono coinvolti e di godere appieno dell’atmosfera che si è creata.

Le loro vicende personali, comunque, li portano ad interrogarsi sulla condizione di cui sono i fautori e a cercare delle risposte soddisfacenti, che possano fare luce sulla loro identità e che li mettano realmente a nudo mentre loro continuano ad indossare sempre le solite maschere in una convenzione in grado di stordirli e di appagarli, di infastidirli e di divertirli, di salvarli e di condannarli ogni volta come se fosse la prima e come se dovesse essere l’ultima. E, sebbene sembri che tutto finisca ciclicamente per com’era iniziato, l’intervista che rilasciano al giornalista li trasforma e diventa un momento di transizione nella loro vicenda.

Non è chiaro che piega faranno prendere ai propri destini, cosa continueranno a condividere e cosa smetteranno di portare con sé, in un’eco che intanto ricorda spesso Giacomo – inteso non solo come personaggio secondario legato a Leonardo, ma anche come il poeta de L’infinito – e che ad un certo punto smette di ruotare su sé stessa a mo’ di spirale e fa un salto in avanti, non si capisce se nel vuoto o meno.

Probabilmente comprenderlo non è fondamentale, così come non lo è per il giornalista sapere quanto tempo sia passato dal momento in cui ha concluso le sue registrazioni. È solo un gioco”, ricorda infatti Eva, e altrettanto lo è l’intero romanzo. Nonostante il suo sguardo clinico e imperturbabile, scopritore della scabrosità come delle vergogne più intime, e nonostante si sorrida e ci si rattristi di fronte a personalità così sfaccettate, così ai limiti del paradossale, così simili a ciascuno di noi, così assorbite da sé stesse e da chi le circonda, tutto rimane comunque un gioco.

Pericoloso, certo, e pure piuttosto serio. Commovente e tragico, veritiero e rivelatore, dettagliato e austero, onnicomprensivo e mistificatore, ma pur sempre un gioco. Del quale solo l’autore, con un’articolazione sapiente ed equilibratissima di suoni e significati, di lingua e di contenuto, sa tenere le fila. Gli altri si limitano a contemplare, a immedesimarsi e a riflettere non poco su ciò che, pur nella finzione delle finzioni, è quanto di più vicino al nucleo della natura umana si riesca a concepire.

(Eva Luna Mascolino)

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