Betsabea, Torgny Lindgren
(Iperborea, 1988)
Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto. Davide mandò a informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: «È Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Hittita». Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla immondezza. Poi essa tornò a casa.
Così nel Libro di Samuele (Secondo libro di Samuele, 11, 2-5) dell’Antico Testamento viene presentata Betsabea: ultima moglie di Re David, bella al punto da spingere il re ai peccati più nefasti e da incantare la penna di Torgny Lindgren, che ha dedicato a lei uno dei romanzi nel corso della sua prolifica carriera di scrittore.
Il nome di Lindgren è un pilastro della letteratura svedese del Novecento. Cresciuto nella Svezia del nord negli anni Quaranta, in un ambiente in cui la narrazione orale e biblica era ancora profondamente radicata, l’autore padroneggia il racconto biblico con maestria e disinvoltura e lo plasma fino a trasformarlo in una materia viva, attuale e pulsante. Questo si evince anche dalla dedica ai figli che apre il romanzo: Questa storia fu la prima che ascoltai nella mia vita. Ora l’ho raccontata per voi.
Io, invece, non conoscevo affatto il contesto in cui la storia di Davide e Betsabea si inserisce e in più punti, durante la lettura, ho ceduto alla tentazione di controllare su Wikipedia quanto della storia che stavo leggendo fosse realmente tratto da episodi biblici. Non riuscivo a credere che una trama così affine a quella di un episodio di Game of Thrones, tra adulteri, rapporti incestuosi, fratricidi e lotte di potere potesse esser tratto dall’Antico Testamento, e invece Lindgren ha inventato davvero poco: un paio di personaggi secondari e, ovviamente, la protagonista.
L’intero romanzo può essere letto come il risveglio alla vita di un essere umano: dal giorno in cui viene scelta da re David Betsabea acquista sempre più consapevolezza di sè, impara a esistere al di là del proprio corpo e si trasforma in un’astuta stratega che riuscirà ad assicurare a suo figlio Salomone la successione al trono.
Quando incontra David, Betsabea è poco più che un corpo: la sua bellezza è ciò che la rende, al contempo, desiderabile e colpevole di tutti i guai che dal desiderio scaturiscono. Sulla colpevolezza di Betsabea riguardo i fatti che seguono il suo incontro con il re, David stesso non nutre alcun dubbio:
Scrivano, questo lo devi incidere con grande forza: Betsabea è la colpevole. (p. 44)
Uria l’Hittita, il marito di Betsabea cui l’innamoramento del re costerà la vita, sembra pensarla allo stesso modo:
E Uria pensa: tutto questo è a causa di Betsabea. Sì, è lei la colpevole. Betsabea. (p. 63)
La bellezza intrisa di colpa di Betsabea non può che riportare alla mente un’altra bellissima causa di tutti i mali del mondo, Elena di Sparta: il mito le racconta entrambe inerti davanti agli eventi che le travolgono, intrappolate nel mito della propria bellezza e schiave di un racconto in cui, che i fatti si spieghino con l’amore o con la paura, non possono che essere colpevoli.
Lindgren porta Betsabea fuori dal suo mito e la trasforma gradualmente in un essere pensante. Se quindi all’inizio del romanzo Betsabea è una creatura spaventata e inerme davanti alla furia di re David, pagina dopo pagina ella acquista consapevolezza del proprio potere e i suoi rapporti con David cambiano equilibrio. Il re è confuso da questa moglie che si è imposta come Regina e di cui non può più fare a meno:
Ella è moglie e tuttavia non lo è, sembra piuttosto un essere umano. Io non la capisco. Lo dico in tutta confidenza: non la capisco. (p. 142)
Neanche il lettore può affermare di capire davvero Betsabea. Di pagina in pagina si scopre qualcosa di nuovo sul suo conto: sappiamo che è bravissima a far di conto, che sa essere crudele, che ama re David ma che può provare attrazione per altri uomini. È carismatica e ambiziosa e riesca inserirsi con furbizia persino nella politica.
Betsabea sedeva presso la finestra, mezzo girata come per mostrare che non prendeva parte del tutto alla loro conversazione, come se la sua presenza fosse soltanto casuale e assolutamente priva di significato. E quando David le rivolgeva una domanda, ella si scusava sempre di non aver ascoltato, era soltanto una povera donna che non capiva nulla di come si governa un regno, e lo costringeva a ripetere la domanda.
Poi rispondeva con grande chiarezza e senza esitazione, e il segretario metteva subito per iscritto le sue parole. (p. 151)
È insomma un personaggio sfaccettato, reale, molto più di quanto non siano gli uomini del racconto. Questo romanzo è stato criticato per il modo di pensare eccessivamente moderno dei personaggi: non mi arrogo il diritto di decidere se una donna nella condizione di Betsabea avrebbe potuto o meno pensare nel modo in cui pensa la protagonista di quest’opera. Di certo però l’autore voleva parlare al mondo di oggi, non scrivere un romanzo storico, e ci riesce magnificamente, con grazia e sottigliezza.
Betsabea è un romanzo sul potere, su come cambia, svanisce e si diluisce nel tempo, su come può fluire da una persona all’altra. È anche un romanzo su ciò che è sacro e su come nella sacralità può risiedere il potere: così, la risposta alla domanda Com’è il signore?, che i personaggi si pongono spesso l’un l’altro nel corso dell’opera, cambia drasticamente tra l’inizio e la fine della storia.
Com’è il Signore? domandò Betsabea. È come me, disse re David. Come me. E Betsabea pensò a come poco fa egli era stato prossimo a spezzarla, e alla sua bramosia precipitosa. (p. 20)
Com’è il Signore? E Betsabea immediatamente rispose dal profondo del proprio rassicurante calore: È come me. È esattamente come me. (p. 322)
(Loreta Minutilli)
in copertina: “Betsabea al bagno”, Sebastiano Ricci, 1724 ca.