Lucy Snowe e Jane Eyre: confessione di una lettrice appassionata

AVVERTENZA: Questa non è una recensione, solo una riflessione sconclusionata al termine di una meditazione estiva. Contiene spoiler, aneddoti sconclusionati e riferimenti ad altre opere. 

Ho passato l’estate a leggere Villette, il romanzo della maturità di Charlotte Brontë, celebrato da un’importante fetta di critica come il suo capolavoro.

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Jane Eyre l’ho letto un paio di anni fa e in pochissimi giorni: ho respirato con Jane per cinquecento pagine, ho atteso e sperato insieme a lei e ho tremato per i grandi avvenimenti di cui era il centro indiscusso. Ho desiderato essere lei, la fiera, ribelle Jane che non ha bisogno di essere bella per diventare protagonista della propria storia.

Villette provoca le sensazioni esattamente opposte: chi vorrebbe mai essere Lucy Snowe, la protagonista e voce narrante? Orfana, povera, timida, senza amici, costretta a trasferirsi in una terra straniera,  circondata da gente che vive in un lusso e in una felicità che le saranno precluse per sempre, Lucy ha un destino in cui è fin troppo facile identificarsi e che non è quindi piacevole da leggere.

Se Jane, fin dalle primissime pagine della sua storia e dalla sua tragica infanzia, è ammantata da un velo di predestinazione che la indica senza possibilità di errore come una creatura speciale e unica, Lucy è una persona assolutamente qualunque, priva di doti e talenti particolari, che trascorre un’infanzia serena e agiata fino a che, colpita una disgrazia di cui non vengono svelati i dettagli, si trova da un giorno all’altro a dover provvedere a se stessa.

Lucy attraversa il mare e lascia l’Inghilterra per tentare la fortuna nel fittizio regno di Labassecour, si stabilisce nella capitale Villette e trova lavoro come bambinaia in un collegio. Grazie ad una moderata propensione all’insegnamento si guadagna una promozione, entra in confidenza con alcune allieve, ritrova fortuitamente dei vecchi amici, fronteggia l’invadente astuzia della proprietaria, Madame Beck. Tutto questo viene raccontato minuziosamente e in prima persona, con un tono spiritoso e piacevole.

Ci ho messo un po’ a capire cosa non andasse in Villette, per quale motivo la mia lettura procedesse lentamente e con una sorta d’impazienza: non riuscivo a trovare il filo conduttore della serie di eventi di cui stavo leggendo. Sì, ma quando comincerà a succedere qualcosa?, mi chiedevo.

La mia domanda non era particolarmente opportuna: a Lucy dalla prima pagina erano successe un bel po’ di cose, tra disgrazie famigliari, travagliati viaggi per mare e il primo approccio con una classe di scalmanate ragazzine francofone.  Queste però sono cose normali, pensavo – niente che possa costituire la trama di un romanzo, meno che mai di un capolavoro. Chi penserebbe mai alla propria giornata di lavoro come alla pagina di un libro, chi darebbe una dignità romanzesca al vago senso di inadeguatezza che precede una promozione? E soprattutto, chi si aspetterebbe questo da un classico dell’Ottocento, per di più scritto da una donna?

Mi aspettavo l’arrivo del signor Rochester, è chiaro. Volevo che entrasse in scena l’uomo che avrebbe dato un senso e una coerenza alla storia di Lucy. L’epopea del dottor John, l’amico di infanzia di Lucy per cui lei nutre dei sentimenti così privi di speranza da rifiutare addirittura di esprimerli esplicitamente su carta, non mi ha convinta – forse perché è un personaggio volatile e inconsistente, forse perché è chiaro dall’inizio che Lucy osserverà il destino di lui senza prendervi parte. Non poteva essere lui il personaggio che stavo aspettando, quindi, ma allora chi?

Quando mi sono resa conto della febbrilità con cui stavo cercando un uomo per dar senso al romanzo che stavo leggendo, chiaramente, mi sono vergognata di me stessa. Proprio io, che nella vita reale rifuggo dallo stereotipo per cui la felicità si può trovare solo in coppia, dal lieto fine a tutti i costi… proprio io non riuscivo ad apprezzare un romanzo solo perché non c’era una storia d’amore alla quale aggrapparmi?

In mia difesa, va detto che non avevo ragioni per avere diverse aspettative: Jane Eyre sposa Rochester. Non prima di aver superato prove, di essere cresciuta e di aver trovato la dimensione che la soddisfa, certo: però lo sposa. Da nessuna parte nel mio background letterario riuscivo a trovare una giustificazione per l’assenza di passione tra le pagine di Villette: in Cime tempestose c’è tutto, ma è pur sempre una storia d’amore, le avventure lavorative di Agnes Grey si concludono con il matrimonio. Abbandonare le sorelle Brontë per analizzare le eroine di Jane Austen non mi portava a risultati diversi.

Come potevo essere pronta alla fredda Lucy Snowe, alla sua introspezione impietosa, all’analisi dei più tristi moti del suo animo condotta con la rassegnata e serena consapevolezza di chi non serba rancori alla vita? Lucy non si rassegna ad essere una povera, brutta orfanella frustrata e sola: costruiste un mondo a sua misura che non ha bisogno di nutrirsi di invidia. Quando infine sembra aver trovato l’Amore a cui i romanzi vittoriani ci hanno abituato nella figura del professor Emanuel ed è tuttavia costretta a separarsene, si dedica tranquillamente alla sua carriera. Va a vivere da sola, fonda una scuola, non passa insomma troppo tempo a struggersi:

Emanuel rimase lontano tre anni. Lettore, quelli furono gli anni più felici della mia vita. Respingi il paradosso. Ascolta.

Leggere Villette è stata a tutti gli effetti un’esperienza. Ho scoperto Lucy Snowe e ho scoperto me stessa: ho dovuto ammettere che quel che chiedo alla letteratura non è necessariamente quello che chiedo alla vita, che nonostante Villette sia effettivamente un romanzo molto più bello e rivoluzionario rispetto a Jane Eyre, mi è piaciuto di più leggere il secondo.

A giudicare dal fatto che il nome di Charlotte Brontë è indissolubilmente legato a Jane Eyre, evidentemente non sono stata l’unica ad essere intimorita dall’ordinaria straordinarietà di Lucy Snowe. La letteratura è, nonostante tutto, sempre un modo per fuggire dalla vita vera e ritrovare la vita vera tra le pagine di un romanzo nei suoi aspetti più scomodi e necessari può essere disturbante. Siamo Lucy Snowe più di quanto siamo Jane Eyre, ma non ci piace doverlo riconoscere.

Lucy lo sa. Alla fine, il suo sogno d’amore tardivo naufraga sulla via del ritorno verso di lei: a mezze parole, senza essere troppo esplicita, nelle ultime righe ci racconta della morte in mare di M. Emanuel. Rifiuta però di soffermarsi sui dettagli, non vuole turbare le menti dei suoi lettori privandole dell’ultimo barlume di speranza in un lieto fine. Siamo noi, dopotutto, ad averne bisogno più di lei.

(Loreta Minutilli)

2 Comments

  1. Charlotte Bronte è sempre una straordinaria sorpresa. Delle tre sorelle avevo letto solo Cime Tempestose (che mi era piaciuto eh) ma quando ho letto Jane Eyre ho senza dubbio stabilito qual è la mia “sorella preferita” (la povera Anne in realtà ancora attende di essere letta…)

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    1. Anche io ho letto prima “Cime tempestose” che “Jane Eyre” e anche io ho cambiato Brontë preferita. Anne è piacevole, però secondo me rispetto alle altre due non c’è paragone, è un livello del tutto diverso.

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