Magellano, Gianluca Barbera
(Castelvecchi, 2018)
Sono sempre stato affascinato dalle storie di mare, che fossero i viaggi di Ulisse o degli argonauti, oppure quelli raccontati da Stevenson e Conrad; da quei romanzi epici e avventurosi, che ti facciano sentire il vento salso dell’oceano sul viso, che ti proiettino nella lotta atavica tra l’uomo e la natura. Per queste ragioni sono stato attirato dall’ultimo romanzo di Gianluca Barbera, pubblicato da Castelvecchi poco prima dell’estate. La storia di un viaggio per mare si fonde qui con la grande Storia e con la vita di un esploratore quale Magellano.
A raccontarci le vicende è Juan Sebastián del Cano, tra i pochi sopravvissuti della spedizione, che scrive le memorie del viaggio dopo il ritorno dalla circumnavigazione del globo. Ci annuncia sin da subito che ha tradito Magellano, rimasto ucciso a Mactan, e ha preso per sé ogni onore e gloria. Ma cos’è successo davvero?
Tutto ha inizio a Siviglia, nel 1519. Del Cano ha bisogno di sparire per un poco, probabilmente per sfuggire a qualcuno. Quando sente che il navigatore portoghese Ferdinando Magellano sta allestendo un equipaggio per la sua spedizione, non esita a proporsi come timoniere. Le cinque caracche della flotta salpano il 10 agosto.
Trascorrono i mesi e le tensioni si fanno evidenti: un gruppo di ufficiali intende ordire una rivolta. Nella ciurma serpeggia infatti malessere verso l’ammiraglio, troppo schivo e per nulla conciliante. Molti sono addirittura convinti che il passaggio a sud-ovest di cui Magellano sostiene l’esistenza – il quale dovrebbe permettere di accedere al Gran Mar del Sur attraverso le America, per raggiungere le India da Ponente – in realtà non esista davvero. E allorché l’inverno li coglie al largo del Brasile, con i venti che impediscono di proseguire, la situazione si fa satura e non più sostenibile.
La storia proseguirà fino al ritorno in Spagna, dopo mille vicissitudini, ma appare evidente sin da un terzo del romanzo che la lotta non sarà tra l’uomo e la natura, ma tra l’uomo e l’uomo. La figura di Magellano rimane in lontananza, quasi per niente scandagliata, come inafferrabile. Eppure, di lui si intuisce la fermezza nel resistere a tutto e a tutti per rimanere fedele alla sua intuizione.
Gli uomini, dunque, dovranno guardarsi dai propri simili, dai fantasmi del passato, dalle proprie debolezze, mentre il mare, che ci si aspetterebbe essere uno dei protagonisti, si limita al ruolo di tacita comparsa. Sicuramente una scelta da parte dell’autore, che tuttavia non trovo apprezzabile. L’aspetto fisico risulta trascurato: i venti, le correnti, le onde appaiono quali meri elementi scenografici, quasi inanimati, laddove bisognerebbe che fossero veri e propri antagonisti – senza per questo escludere gli antagonisti umani.

La trascuratezza dell’elemento naturale significa, altresì, la perdita di epicità. Per quanto la storia sia sviluppata senza sbavature, la trama dipanata correttamente e fedele al vero, e la prosa sia dettagliata e colorata, purtroppo non ho avvertito il respiro epico che in romanzi del genere dev’essere d’obbligo. Tale assenza è dovuta anche al modo in cui sono trattati i conflitti, sia all’interno dell’equipaggio sia all’esterno. Essi risultano infatti spesso eccessivamente sbrigativi, sviluppati in maniera troppo veloce, al punto che non si riesce ad avvertire pathos e tensione, come nell’episodio della “rivolta” e nello scontro di Mactan.
Tali mancanze stridono quasi con l’evidente minuziosità e dovizia d’attenzione che Barbera dimostra lungo tutto il romanzo. L’autore fa delle descrizioni e della cura dei dettagli un lodevole segno distintivo della sua prosa. La narrazione è abbellita e addensata da tecnicismi, termini nautici, interessanti descrizioni etnologiche delle popolazioni incontrate, particolari relativi alla geografia (che, purtuttavia, a volte eccedono in uno sfoggio artificioso). Convince meno, invece, lo stile: senza dubbio perentorio e impeccabile, ma risulta fin troppo universale e quindi un po’ incongruente con una voce del XVI secolo (la storia è raccontata in prima persona).
In definitiva, Magellano è un romanzo che non manca certo di peripezie, scritto molto bene da un autore che fa una buona dimostrazione delle sue abilità. Il viaggio intorno alla terra è raccontato con abbondanza di dettagli e particolari, e quindi in maniera vivace, lucida e realistica.
D’altra parte si dimostra freddo e non impeccabile nella sua aspirazione epica, nel coinvolgere e divertire il lettore, nel trasmettere pathos ed emozioni. Se non fosse stato per questa seconda faccia della medaglia, si sarebbe certo trattato di un’opera memorabile.
Giuseppe Rizzi
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