Finché morte non sopraggiunga, Amos Oz
(Feltrinelli, 2018 – trad. E. Loewenthal)
È da poco scomparsa l’icona per eccellenza della letteratura israeliana contemporanea: Amos Oz ha vissuto con entusiasmo i più grandi eventi storici che hanno scosso il suo paese, assumendo senza tentennamenti posizioni pacifiste e di sinistra, e diventando di conseguenza un punto di riferimento imprescindibile. Tutta la sua letteratura è impregnata di una forte identità culturale, testamento artistico di un modo di vivere profondamente intrecciato alle tradizioni e alla sensibilità israeliana.
La stesura di Finché morte non sopraggiunga risale agli inizi degli anni ’70, eppure in Italia la sua traduzione è giunta solo di recente, pochi mesi prima della morte dell’autore. Nell’opera si susseguono due racconti lunghi, rispettivamente intitolati Amore tardivo e Finché morte non sopraggiunga, che a primo acchito sembrano non avere alcun punto di contatto al di là dello stile curato ed elegante.
Il primo racconto è profondo e introspettivo, un viaggio metaforico nella solitudine e nella decadenza di un uomo che ormai è giunto agli ultimi stadi della sua esistenza. Dopo aver trascorso la vita viaggiando da un kibbutz all’altro per mettere alla prova le sue capacità discorsive in una serie di conferenze, Shraga ora si ritrova a dover fare i conti con un corpo debole e malato, un alito disgustoso, una presenza fisica ripugnante, e con la consapevolezza che la sua posizione nel Comitato esecutivo del movimento kibbutzistico sia a rischio. Nonostante né la morte, né tantomeno la solitudine sembrino spaventarlo, Shraga si aggrappa all’unica cosa che gli rimane per dare un senso alla sua esistenza: l’impegno cieco nel combattere una battaglia di sensibilizzazione nei confronti di quella che considera la più grande emergenza del suo tempo, ovvero la convinzione che sia in corso un complotto bolscevico per sterminare il popolo ebraico.
Shraga è ormai solo, privo di ogni contatto umano; la sua salute vacilla, non può aspirare a grandi ambizioni né permettersi di sognare una vecchiaia gloriosa. Amore tardivo mette in scena con grazia e semplicità l’agonia della solitudine, entrando nella mente di un uomo che al tempo stesso impietosisce e commuove il lettore – fascino e disgusto si alternano in un susseguirsi di sentimenti discordanti. Shraga diventa così emblema di quella tragica decadenza cui tutti gli esseri umani, presto o tardi, vanno incontro.
Il secondo racconto, Finché morte non sopraggiunga, abbandona totalmente l’approccio introspettivo di Amore tardivo per una narrazione corale e poliedrica. Alla fine dell’XI secolo, Papa Urbano II chiama i fedeli a combattere per liberare la Terra Santa dalla presenza ebraica, e tra i più entusiasti ad accogliere l’invito vi sono il Conte Guillaume de Touron e la sua banda di villani e servi. Attraverso le memorie di Claude Spallastorta, parente del nobile feudatario, il lettore segue l’eccentrico corteo lungo la strada che dovrebbe condurli a Gerusalemme, e che invece diventa un percorso di atrocità e cattiverie fondate sull’odio antisemita. Nonostante l’ingiustificata violenza, la storia mantiene sempre un tono vivace e accattivante, assumendo le tinte di una favola un po’ macabra che a tratti riesce perfino a far scappare un sorriso.
I due racconti sembrano prendere strade opposte: uno si immerge introspettivamente nelle pene di un solo uomo, l’altro adotta una narrazione corale per seguire un corteo di improbabili personaggi altamente caricaturali; da una parte una storia moderna ambientata negli anni ’70, dall’altra una favola medievale che ha luogo nell’XI secolo. Eppure le due storie sono unite dal filo conduttore della decadenza umana, tematica affrontata da prospettive a tratti contrapposte.
In entrambi i casi, più i personaggi sembrano cadere a fondo nell’inutilità delle loro vite, più tenaci diventano nel perseguire gli obiettivi che ritengono importanti e nel combattere le proprie crociate. Quella di Shraga è una crociata metaforica, la battaglia personale contro il presunto complotto russo ordito a danno degli ebrei, in cui egli riconosce l’unica fonte di entusiasmo nella sua vita ormai priva di senso. Guillaume de Touron e il suo fedele corteo originariamente decidono di impegnarsi in un’autentica crociata contro gli ebrei, eppure l’idea di liberare la Terra Santa, in seguito a una serie di disavventure, perde i suoi connotati reali per diventare solo la molla necessaria a proseguire il proprio inutile cammino.
Insieme alla decadenza dell’umanità, i due racconti sono accumunati dall’impressione di un’oscura minaccia che incombe su Israele e su quel che rappresenta. I bolscevichi e i cristiani impersonificano l’essenza di un Nemico che forse esiste e forse no – da una parte incute timore e dall’altra non riesce mai a diventare davvero pericoloso. Alla fine, Shraga sta combattendo contro i mulini a vento e il Conte Guillaume de Touron non raggiungerà mai Gerusalemme: l’ebreo è salvo, ma non per questo in pace.
Anja Boato