Persone care, di Vera Giaconi
(Sur, 2019 – trad. G. Zavangna)
Le Persone care sono il filo conduttore della seconda raccolta di racconti della scrittrice Vera Giaconi, recentemente pubblicata in Italia da SUR nella traduzione di Giulia Zavagna.
Ognuno dei dieci racconti che compongono l’opera è incentrato su rapporti interpersonali tra amici, amanti o parenti. Tuttavia, nonostante la dolcezza, anche fonetica, dell’espressione che fa da titolo alla raccolta, le relazioni di cui si occupa Vera Giaconi sono indagate nei loro angoli più tenebrosi, smembrate e svelate in tutta la loro ambiguità.
Spesso la persona cara su cui si incentra il racconto non è un altro affidabile né benigno: la sua immagine viene deformata dall’occhio del narratore, il cui ego è il vero protagonista della storia. È il caso di Marta e Rosa, protagoniste rispettivamente di I resti e Beati, entrambe destinate a vivere nell’ombra l’una delle proprie sorelle e l’altra della donna per cui lavora come domestica: nel raccontare, quasi annullandosi con devozione, le vicende di chi è tanto importante per loro, tutte e due cercano in realtà di strappare un proprio posto al mondo, di rendersi protagoniste e squarciare il velo di cieco affetto che le lega ognuna alla propria controparte.
Le relazioni umane, sembra insomma dirci l’autrice, sono tanto meno lineari, semplici e pure quanto più sono profondi i sentimenti coinvolti. Non è possibile un affetto puro, incondizionato e privo di ombre, i rapporti famigliari o di coppia si fanno claustrofobici e inestricabili, caratterizzati da sentimenti e impulsi inconfessabili. Così il protagonista di Stimatore finisce per considerare la propria madre
«Un oggetto caro ma ordinario, qualcosa che gli appartiene e di cui non riesce a sbarazzarsi, qualcosa che detesta e con cui non sa che fare.» (p. 47)
e in Piranha l’interazione famigliare appare oscuramente violenta e terribile.
Gli unici due racconti in cui si intravedono dei sentimenti puri, senza sbavature, sono Dumas e Al buio: forse non a caso si tratta anche di due racconti quasi autobiografici, ambientati durante l’ultima dittatura militare in Uruguay e Argentina.
Sarebbe possibile concludere che Vera Giaconi ha inteso descrivere il cinismo nei rapporti umani, privandoli di ogni slancio di sincerità: sarebbe probabilmente ingiusto, perché la cifra fondamentale della raccolta resta l’ambiguità, la coesistenza di odio e amore, rancore e devozione che è tanto ben incarnata dalla voce narrante di Survivor, il racconto che emblematicamente apre la raccolta. La protagonista racconta una vicenda che coinvolge sua sorella e parla di lei facendo emergere con candore e semplicità tutti i sentimenti che prova nei suoi confronti: amore, senso di protezione, ma anche invidia e rancore. Non sembra esserci nulla di strano o vergognoso in questo, la complessità è parte della vita e accettarla è l’unico modo per interagire consapevolmente con gli altri.
L’autrice conduce la sua indagine sulle relazioni umane lavorando sui dettagli con una prosa scarna e precisa: spesso non c’è una vera storia da raccontare, ma un contesto da dipingere e un’atmosfera da ricreare, guidando il lettore fino ad un’epifania finale. Non sempre è facile capire cosa si è appena letto, non c’è una morale pronta a chiudere ogni storia; i racconti si prestano ad essere filtrati e interpretati attraverso il vissuto di ognuno.
In questo senso, il racconto più oscuro e misterioso è Rincontri, che chiude la raccolta: qui il non detto e l’ambiguità dominano fino alla fine, non c’è speranza che arrivi una spiegazione risolutiva a dare un senso al tutto eppure continuiamo a leggere fino in fondo, affascinati e attratti proprio dall’impossibilità di trovare una soluzione razionale. E non è per le stesse ragioni, forse, che continuiamo ad amare?
Loreta Minutilli