Impalcature, Mario Benedetti
(Nottetempo, 2019 – trad. M. Nicola)
A dieci anni dalla morte dello scrittore uruguayano Mario Benedetti, Nottetempo pubblica per la prima volta in italiano (2019) Impalcature. L’Uruguay nel 1973 subì un golpe, a cui seguirono dodici anni di dittatura militare.Agli oppositori politici restavano due scelte: rimanere in patria, essere arrestati e torturati con grande zelo; oppure emigrare e ricostruirsi una vita da qualche altra parte nel mondo. Il protagonista Javier ha scelto la via dell’esilio, in Spagna. Al termine della dittatura sente però il bisogno di rientrare nel suo paese, e Impalcature è la storia di questo ritorno.
Tornare dopo tanti anni e dopo eventi tanto drammatici è difficile. Un vuoto si è creato fra Javier e il suo paese, i suoi amici, la sua città; nulla è rimasto come lo aveva lasciato: l’Uruguay non è lo stesso Uruguay, e neppure Javier è lo stesso Javier. Impalcature è dunque un romanzo costruito sul vuoto; anzi, come precisa l’autore, non è neanche propriamente un romanzo. È un sistema di impalcature, ponteggi, montanti e travi di servizio per la riparazione o la ricostruzione di qualcosa: ciascuno dei brevissimi 75 capitoli è un’asse sospesa a grande altezza su cui si passa rapidamente per paura di perdere l’equilibrio.
Il romanzo procede, secondo una tecnica cui in Italia ci ha abituato Antonio Tabucchi, per brevi incontri, spesso imbevuti di passato, con amici e conoscenti che ormai per Javier sono quasi degli sconosciuti. Moltissimi sono i punti di contatto con Tabucchi: in copertina c’è un corpo piegato accuratamente dentro una valigia, in epigrafe una citazione di Fernando Pessoa, “Sostiene Pereira” è persino un appellativo rivolto al direttore di un giornale. Ma è quell’aria di fragile e tersa sospensione, quella strana consapevolezza che il passo fra la realtà e il sogno/incubo/ricordo è davvero breve, quella sensazione che ha nome “malinconia”; questo è ciò che più fa pensare a Tabucchi leggendo Impalcature.
Costruire sul vuoto ha sia lati positivi che negativi. Procura un’inquietudine persistente, ma anche senso di libertà e di apertura alle possibilità. Si può ritornare in un luogo, ma non è quello che conta: ciò che conta è tornare a quello che un luogo ha significato per noi, dunque tornare a un tempo. E questo ritorno è certamente impossibile; tuttavia, se Impalcature, come recita il sottotitolo, è il romanzo del ritorno, l’impossibilità del ritorno non comporta uno sguardo pessimista. Anzi, spinge ad assumere un atteggiamento aperto al futuro, a cogliere i casi, a volte fortunati altre volte tragici, della vita.
Javier torna e vede sé stesso e l’Uruguay cambiati; che cosa è quel vuoto che percepisce? Forse è la mancanza di qualcosa di stabile e permanente, sia in sé stesso che nel proprio paese, che consenta di riconoscersi dopo tanti anni. Ciò che Javier sente è la mancanza e il vuoto dell’identità. La ricerca antropologica ha ormai assunto che l’identità nella sua dimensione essenziale (essenza: ciò che fa sì che una cosa sia quello che è) semplicemente non esiste. L’identità è una costruzione culturale che, con una certa tolleranza per gli ossimori, è meglio pensare come plurale: più simile a una città, a una repubblica, a un «baule pieno di gente»*, che a un oggetto immutabile (un’essenza) ricevuto una volta per sempre. Dunque, il protagonista non riesce a riannodare tutti i fili, a ricucire lo strappo fra il passato e il presente. Ma costruisce dei ponteggi attorno a questo vuoto, che gli consentono di muoversi in assoluta libertà ad altezze fuori portata per un pesante edificio in calcestruzzo e cemento armato.
L’allusività e la densità metaforica del libro di Benedetti lasciano ampi spazi che il lettore è libero di riempire, ed è questa una ragione non secondaria per cui questo libro merita di essere letto. La lettura di Impalcature come una riflessione sul vuoto dell’identità è un’interpretazione possibile: «La mia patria è dove non sono» dice uno dei personaggi con le parole di Pessoa. Ma è anche personale, e, dunque, solo possibile.
Adriano Cecconi
* Antonio Tabucchi, Un baule pieno di gente: scritti su Fernando Pessoa, Milano, Feltrinelli, 2009.
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