La lavoratrice, Elvira Navarro
(2019, LiberAria Editrice – trad. S. Papini)
Gli amanti della letteratura spagnola non possono lasciarsi sfuggire l’occasione di conoscere l’opera di Elvira Navarro, autrice di romanzi e racconti pluripremiata in patria, nel 2010 inserita dalla rivista Granta tra i ventidue migliori narratori in lingua spagnola sotto i 35 anni. Per la prima volta è disponibile in italiano uno dei suoi romanzi, La lavoratrice, edito in Spagna nel 2013 e selezionato tra i dieci migliori romanzi dell’anno dalla rivista El Cultural. Da pochi giorni l’opera è in libreria grazie all’editore LiberAria, nella traduzione di Sara Papini e corredato da un’interessante prefazione di Simonetta Sciandivasci.
Nonostante l’esile mole, La lavoratrice è un libro complesso, che si presta ad essere letto su più livelli e che non concede al lettore neanche un attimo di distrazione.
La trama è semplice, anzi, quasi prima di avvenimenti: Elisa, la lavoratrice cui si riferisce il titolo, lavora come correttrice di bozze per una casa editrice poco puntuale con i pagamenti e ha messo da parte le sue velleità letterarie. Alle strette con le spese, affitta una stanza del suo appartamento a Susana, un personaggio eccentrico e misterioso. Le vite delle due donne si intrecciano più di quanto Elisa vorrebbe e l’una risulta necessaria all’altra per trovare una via di fuga da sé stessa.
Il cosa viene raccontato, però, non è il fulcro del romanzo, molto più importante è il come. La prima peculiarità de La lavoratrice è la struttura narrativa: il romanzo è suddiviso in tre parti, ognuna delle quali è inghiottita dalle successive in un gioco di scatole cinesi. Il senso squisitamente metaletterario della narrazione è chiaro solo quando l’ultima parte suggella l’opera.
In questo meccanismo, la veridicità di quel che viene raccontato è costantemente messa in discussione: Elisa dubita delle parole di Susana e a un certo punto il lettore, incoraggiato dall’autrice, comincia a dubitare della versione della stessa Elisa. I fatti sono volutamente incompiuti, non viene fornita nessuna informazione superflua, niente che sia utile a discriminare il vero dal falso.
Il punto di vista di Elisa è perfetto per questo scopo: sola, rinchiusa nella sua camera a lavorare tutto il giorno e dedita a spettrali passeggiate per Madrid, la protagonista osserva gli avvenimenti della sua vita e di quella di Susana con distacco, intimorita all’idea di giocare un ruolo attivo nella propria esistenza. La sua mente, tuttavia, filtra incessantemente gli eventi e li rimescola, quindi chi legge è al contempo fuori dalla storia e immerso fino al collo nella testa di Elisa.
Il lavoro è il centro della vita di Elisa e probabilmente ciò che l’ha lentamente disintegrata, portandola alla depressione e all’instabilità. Elisa è più di ogni altra cosa una lavoratrice, frustrata e sfruttata, assorbita in un tunnel di scadenze e nuovi incarichi che non le concede neanche un giorno di pausa, che comunque non saprebbe come impiegare, priva com’è qualunque accenno di vita personale. La delicatezza e l’intelligenza nel trattare un tema contemporaneo come il legame tra il disordinato lavoro freelance e la malattia mentale è uno dei pregi maggiori dell’opera.
Susana, d’altra parte, ammirata, temuta e disprezzata da Elisa, rappresenta forse tutto ciò che la protagonista avrebbe voluto essere: una donna indipendente, con un misterioso lavoro d’ufficio che la lascia libera per la maggior parte della giornata e un fidanzato che le fornisce un ruolo sociale ma è abbastanza lontano da permetterle di coltivare le sue passioni. Si tratta di un personaggio eccessivo, sfuggente, così filtrata dal punto di vista di Elisa che di tanto in tanto ci si chiede se esiste davvero, e si contempla la possibilità che sia una proiezione dell’immaginario della lavoratrice.
Le due donne si muovono in una Madrid ostile e accogliente al tempo stesso che, come nelle mappe immaginarie create da Susana, viene continuamente reinventata dallo sguardo di chi la attraversa: la città esige di essere riscoperta a intervalli regolari, è una benevola fonte di sorprese – sia Susana che Elisa trovano conforto nelle passeggiate quando la malattia le mette alle strette – ma può anche essere sorgente di inquietudine e fomentare complottismi e paure: è dopo una passeggiata che Elisa ha il primo attacco di panico.
L’ambiguità e il dubbio sono insomma le cifre fondanti del romanzo, che ci fa riflettere, in ultimo, sull’ambiguità della scrittura stessa: la letteratura salva o perché ci sia letteratura è necessario rinunciare alla salvezza?
«Non so se fosse una forma di evasione o se semplicemente la vita si stava facendo strada tra la paura e le pastiglie. Parlo di vita perché per la prima volta in tre anni ebbi l’impulso di scrivere, e mi ci dedicai senza riserve.» (p. 104)
Loreta Minutilli