La rivista culturale: intervista a Francesco D’Isa de L’Indiscreto

Tra le tante riviste culturali online che abbiamo in Italia, sicuramente L’Indiscreto è una delle più interessanti, autorevoli e di qualità. Non è mai facile riuscire a mettere insieme – e in modo che insieme funzionino – contenuti di una certa profondità, una scrittura massimamente chiara e la capacità di suscitare interesse anche ai lettori estranei a un determinato livello di discorsi su cultura, politica, letteratura, filosofia: dalle parti di Firenze, nel quartier generale de L’Indiscreto, questo mix sembra funzionare. Romanzieri, professori, esperti e saggisti, ma anche esordienti e nuove voci del giornalismo culturale italiano trovano, ogni giorno, la bella ospitalità di questa rivista maiuscola – che, tra le altre cose, è anche la piattaforma che raccoglie le importantissime Classifiche di qualità, come si leggerà più avanti.

Ho avuto il piacere di confrontarmi con Francesco D’Isa (1980), scrittore di romanzi e saggi, e artista che ha esposto in tutto il mondo: è lui il direttore editoriale de L’Indiscreto.

Quando, come e grazie a chi nasce L’Indiscreto?

L’Indiscreto è l’edizione online della storica rivista della casa d’aste Pananti (Firenze), nata nel 1969 a cura di Silvio Loffredo e Piero Pananti e diretta da Saverio Strati, a cui collaborarono artisti e scrittori quali Maccari, Flaiano e molti altri. L’attuale versione nasce nel 2015 su desiderio di Piero e Filippo Pananti, che volevano dare un seguito a questa passata esperienza. Hanno contattato me per dirigerla ed è così che è rinata la rivista.

Qual è lo spazio che si vuole ritagliare o, se vogliamo dirla in un altro modo, la missione che la rivista si ripropone, all’interno di un panorama litweb molto variegato e florido come quello italiano?

Ammetto che lo spazio e la missione della rivista si sono andati formando col tempo, per tentativo ed errore, come un organismo vivente – inizialmente temevo che non avere un piano fosse un pessimo piano, ma adesso mi sono convinto che il modo migliore per iniziare un progetto culturale sia proprio accettare che non avrà una forma, se non in divenire.

Oggi la rivista pubblica articoli, approfondimenti e saggi originali di giovani firme del giornalismo culturale, come anche traduzioni, estratti, e, più raramente, racconti. L’idea alla base è quella di parlare di argomenti complessi cercando di non banalizzare e di renderli accessibili. La nostra filosofia è quella dell’open source: i nostri contenuti sono riutilizzabili e diffondibili, a patto di citarne la fonte e l’autore. Nella scelta degli argomenti cerchiamo di non seguire spasmodicamente la notiziabilità e l’hype, ma di scrivere con ponderatezza e la maggiore esaustività possibile di temi come società, arte, estetica, femminismi, narrazioni e tecnologia.

Infatti il motto che capeggia insieme al nome è «rivista di cultura e altro». Cos’è questo «altro» e perché si è pensato che a L’Indiscreto non fosse sufficiente essere una rivista di cultura «e basta»?

“Altro” è, per l’appunto, quello che ancora non sappiamo che sia. Credo che sia essenziale per una rivista (come per una persona) la capacità di mettersi in discussione e la consapevolezza che qualunque forma si assuma vada indossata con sospetto, senza mai sentirla definitiva o corretta, ma al massimo quella che si reputa più adatta nella rete di relazioni in cui ci si trova al momento. Per fare nostro il motto in modo ancor più estremo ormai abbiamo levato anche questa dicitura: né cultura né altro, ora c’è solo Indiscreto, qualunque cosa sia. 

Come viene descritto anche dalla presentazione sul sito, la rivista vuole essere un propulsore di divulgazione culturale, pubblicando contributi originali, di qualità e soprattutto di una profondità di analisi elevata. Fisiologica, quindi, è la scelta di ospitare articoli lunghi, a volte davvero lunghi. Questo non va in qualche modo nella direzione opposta rispetto allo scopo divulgativo? Infatti, è risaputo che il tempo medio di lettura di testi sul web è molto breve, poco più di un minuto.

Ti dirò, in genere i nostri articoli più lunghi sono quelli che vanno meglio. Da una parte credo che le tecnologie contemporanee consentano e invitino sempre più alla lettura di articoli lunghi anche su schermo, dall’altra credo anche che i lettori non vadano sottovalutati. Il pubblico inoltre può essere invitato a un percorso in cui si abitua a trovare online i contenuti che prima cercava nei libri o altrove. I quotidiani e le riviste cartacee, che assieme ai libri offrivano e offrono questo tipo di contenuto, stanno ormai alle riviste online come la televisione sta a internet, è come se viaggiassero con dieci anni di ritardo. Non siamo certo i primi ad aver introdotto i longform (in Italia ci ha pensato Timothy Small), ma come hai giustamente detto i nostri a volte sono davvero super long. Credo però che la lettura si stia evolvendo in questa direzione, sullo schermo, e che la necessità di contenuti approfonditi esista anche – se non soprattutto – online.

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Francesco D’Isa

Quando penso a L’Indiscreto, penso a un intreccio di tre elementi: quello redazionale, rappresentato (tra tutti gli altri) da te che sei il direttore, quello (in un certo senso) istituzionale – ovvero la Galleria Pananti – e quello editoriale incarnato dalla casa editrice Leo S. Olschki.

Partiamo dal primo, ovvero da te, Francesco. Chi sei, e come sei finito a essere il direttore editoriale de L’Indiscreto e qual è il tuo ruolo?

C’è anche il prezioso caporedattore Enrico Pitzianti! Io ci sono finito perché l’ufficio stampa Pananti conosceva e apprezzava il mio lavoro, dunque ha fatto il mio nome alla galleria, che mi ha convocato e con cui poco dopo è iniziato il percorso assieme. Inizialmente doveva essere un piccolo blog, ma ho provato ad essere ambizioso, i risultati mi hanno assecondato e così anche i Pananti, che hanno deciso di ampliare il progetto iniziale. Il mio ruolo è quello di direttore editoriale: essenzialmente valuto, cerco e seleziono i contenuti della rivista. Non da solo, ovviamente; c’è Enrico, come dicevo, ma anche il prezioso Edoardo Rialti, sin dagli albori autore e consigliere della rivista. Così come tutt* coloro che scrivono per noi, che non si sono mai limitati semplicemente a proporre articoli ma hanno arricchito la rivista coi loro preziosi consigli e proposte: penso ad esempio alle classifiche di qualità di Vanni Santoni, ai futuri progetti con Federico di Vita, alle serie di articoli e poi i libri di Ilaria Gaspari, Andrea Cassini, Claudio Kulesko, Carla Fronteddu. Se la rivista va bene è merito loro.

La Galleria Pananti, quindi. Storica casa d’aste di Firenze, fondata nel 1968. Una cosa che mi ha sempre incuriosito molto de L’Indiscreto è la natura dei rapporti tra essa e la rivista, tra una galleria d’arte e una redazione che pubblica articoli culturali.

Per la casa d’aste è un mix di mecenatismo e pubblicità. La vera fortuna della rivista è poter pubblicizzare dei contenuti di alta qualità come, nel caso della galleria, le bellissime opere che mettono in asta. Il nostro approccio alla pubblicità è, credo, piuttosto originale: pubblicizziamo solo cose che ci piacciono davvero. Amiamo l’arte e la Galleria Pananti ne promuove di ottima, oltretutto anche a prezzi accessibili. I nostri lettori tendono ad apprezzare arte e cultura, dunque sono ottimi potenziali clienti della galleria. Non poteva andare meglio, da questo punto di vista.

Infine, Leo S. Olschki editore.

Il discorso è analogo: conoscevo da tempo la casa editrice Olschki per l’altissima qualità delle sue edizioni e lavorare con loro è per me un piacere e un onore. L’apporto della casa editrice garantisce ottimi materiali a cui attingere da parte di chi scrive per noi e ci aiuta a far conoscere queste belle edizioni anche oltre la cerchia degli specialisti. Ancora una volta abbiamo scelto di collaborare con persone che stimiamo e che ci stimano, rendendo di conseguenza la nostra pubblicità del tutto sincera. Cosa rara, in quest’ambito.

L’Indiscreto ha di recente lanciato un progetto già diventato imprescindibile nell’editoria e nella letteratura nostrane, ovvero le Classifiche di qualità. Come funzionano, qual è lo scopo e come è nata l’idea?

La Classifica di qualità dell’Indiscreto è stilata tre volte l’anno, a metà dei mesi di febbraio, maggio e ottobre, secondo intervalli proporzionati agli archi della produzione editoriale, e interpella i votanti in merito ai migliori libri italiani di prosa, poesia e saggistica del periodo immediatamente precedente. A partire dai critici interpellati in una grande inchiesta sullo stato della critica letteraria ad opera dello scrittore Vanni Santoni, con l’autore (e amico, che ci ha proposto l’idea) abbiamo stilato un gruppo di “grandi lettori”, che, oltre ai succitati critici e alle scrittrici e agli scrittori italiani che si sono offerti di partecipare, si estende anche a riviste letterarie, librerie, giornalisti culturali, editor e altri operatori del settore, per un totale di 320 giurati.

I giurati si esprimono con tre voti per ogni categoria; a ogni primo posto sono assegnati 9 punti, 5 al secondo e 3 al terzo. Conclusa la votazione, la redazione calcola i risultati per poi pubblicarli su L’Indiscreto. Scopo di queste classifiche è fornire ai lettori un indicatore sui titoli più meritevoli secondo gli addetti ai lavori, di cui è stato scelto un campione capace di coprire una grande varietà di interessi e competenze, in numero sufficiente da diluire nella statistica i danni di eventuali partigianerie. L’industria editoriale ha risposto alla crisi continuando nell’errore di una produzione accelerata, che rischia di far scomparire in breve tempo titoli più che degni di rimanere negli scaffali. Ci proponiamo di ostacolare questa tendenza e riportare l’attenzione sui libri di qualità, che non di rado rischiano di essere travolti in tale escalation.

In questi giorni sono partite le votazioni per la terza classifica. Inoltre sempre con Vanni e Federico Di Vita stiamo lavorando per trovare uno sponsor che le trasformi in un premio nazionale.

Un’ultima domanda. L’Indiscreto si fonda sulla pubblicazione di articoli di autori, intellettuali e giornalisti culturali emergenti. Non sempre, però, esistono progetti così aperti a contributi da chi non è già una personalità affermata; in questo modo, i giovani che cercano uno spazio importante su cui pubblicare spesso si ritovano a faticare davvero per trovare qualcuno che riconosca, e accolga, i loro lavori di qualità.
Quali consigli daresti a chi, ancora giovane ed emergente, vuole intraprendere la via del giornalismo culturale e delle collaborazioni con riviste?

Credo che sia compito delle riviste fare da avanguardia ed è per questo che prediligo le nuove firme a quelle già celebri. Inoltre sono convinto che libri e articoli andrebbero sempre valutati anonimamente, senza farsi influenzare dal nome di chi scrive. Il nome è importante solo per ragioni di mercato (che hanno il loro peso), ma per valutare la qualità di un testo è del tutto indifferente. Al massimo se conosci chi ha scritto e ti fidi puoi commissionare a scatola chiusa, ma questo lo faccio già anche con le firme più giovani. Consiglierei ai giovani autori di proporsi a tutte le riviste di qualità che leggono, nella speranza di iniziare una qualche collaborazione. Proprio sulla vostra rivista Vanni Santoni consigliò un’ottima lista, che mi pare un riferimento molto utile per cominciare.

Michele Maestroni

 

 

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