“Jón & le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta & preparava il di lei avvento & dei nuovi tempi”, Ófeigur Sigurðsson
(Safarà Editore, 2020 – trad. S. Cosimini)
È possibile che non abbiate mai sentito nominare Jón Steingrímsson prima d’ora, ma in Islanda questo pastore vissuto nel Settecento è una vera e propria celebrità. Nato in una famiglia povera nel nord del Paese nel 1728, Jón completò gli studi grazie a un benefattore colpito dalla sua viva intelligenza e divenne diacono in un monasterio. La sua vicenda si fa poi avventurosa: l’amministratore del monastero, violento e alcolizzato, muore misteriosamente e pochi mesi dopo Jón ne sposa la ricca vedova, Þórunn.
La coincidenza tra gli eventi, unita al fatto che Þórunn partorisce una figlia evidentemente concepita prima del matrimonio, favorisce le accuse che incolpano il diacono dell’omicidio dell’amministratore. Jón, pur assolto da tutte le accuse, decide di lasciare la sua terra e di trasferirsi a sud del Paese. Qui la sua figura entra nell’epica popolare quando, il 20 luglio 1783, la colata lavica del vulcano Laki si ferma appena prima di distruggere la chiesa in cui Jón stava tenendo un appassionato sermone: da allora sarà noto come pastore del fuoco.
Che si creda o no alla leggendaria forza della sua retorica, quella di Jón Steingrímsson sicuramente fu una figura affascinante: l’uomo è vissuto in un’epoca di cambiamento e la sua storia personale si è intrecciata strettamente a quella di tutta l’Islanda. La sua storia viene abilmente tratteggiata in Jón & le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta & preparava il di lei avvento & dei nuovi tempi, opera d’esordio che è valsa allo scrittore Ófeigur Sigurðsson il Premio Europeo per la Letteratura nel 2011 e che è adesso disponibile in Italia, grazie al prezioso coraggio della casa editrice Safarà, nella traduzione di Silvia Cosimini.
L’opera racconta, attraverso le lettere di Jón a Þórunn, il momento in cui questi, insieme al fratello Þorrstein, precede sua moglie nel Sud del paese per costruire la casa in cui lei si sarebbe poi trasferita con i loro figli. Nel mentre, il diacono incontra una serie di personaggi più o meno colti e strampalati, osserva l’implacabile furia della natura tramite le eruzioni del vulcano Katla e rievoca i punti salienti della sua vita.
Attraverso la figura di Jón il romanzo abbraccia quindi lo spirito dell’Islanda intera: una terra sconquassata da una natura imprevedibile, in cui la morte è una possibilità costante; eppure abitata da uomini curiosi e stranamente felici. Gli eventi terribili che Jón racconta sono circondati da un velo di ironia, quasi neanche la catastrofe fosse un evento da prendere troppo sul serio:
Tutte le fattorie di Tunga, in numero di cinquanta, sono state abbandonate, eccetto una, era talmente ricoperta di pietrisco e sabbia che han dovuto parlare con il contadino attraverso il comignolo. Egli ha chiesto se era passata la fine del mondo e ha domandato qualcosa di nuovo da leggere. Allora gli hanno lanciato la trascrittura della Saga di Gísli Súrsson poiché tal saga non l’avea ancora letta e se ne vergognava grandemente. [p. 104]
L’autore gioca con una lingua e uno stile arcaici, che ricalchino quelli dell’epoca, riesce tuttavia a percorrere questa strada in modo snello e mai pesante: la simpatia del narratore spinge a divorare le lettere l’una dopo l’altra. L’attenzione rimane alta anche grazie a qualche sapiente strizzata d’occhio al lettore contemporaneo, tra cui i riferimenti alla strana abitudine giapponese di mangiare pesce crudo e l’indignazione di Jón davanti alla possibilità di collocare il bagno all’interno della casa. Spesso, quando i pensieri del narratore si fanno più intimi, la prosa viene interrotta da versi, un espediente che contribuisce a creare un effetto brillante e giocoso.
Nonostante sia ambientata nel passato, Jón è un’opera tutta proiettata nel futuro. Per chi conosce la vicenda del pastore del fuoco, è un preludio a quel che succederà in seguito: il protagonista è dipinto come un uomo generoso, intelligente, autocritico, pronto a donarsi agli altri e a mettere la sua curiosità al servizio della comunità. Alla fine della lettura, non si stenta a credere che la sua eloquenza abbia potuto persino bloccare un’eruzione vulcanica.
Il futuro è inoltre sempre presente in ciò che Jón si augura per la sua famiglia, nell’interesse con cui studia il territorio e cerca di diventare parte di esso e di creare una comunità: il romanzo è un’infusione di speranza senza artifici retorici che, oltre a far conoscere in tutto il mondo una figura storica per noi poco nota, riuscirà sicuramente a strapparvi qualche sorriso.
Loreta Minutilli