Riscoprire Samonà: “Fratelli” tra letteratura e psicanalisi

Fratelli fu nel 1978 un grande successo di pubblico e di critica. Un’opera innovativa per l’epoca, forse uno dei primi esempi di autofiction.

Carmelo Samonà fa parte di quella schiera probabilmente oggi estinta di letterati che si dedicano a un assiduo e lungo studio delle opere altrui prima di cimentarsi in una prova letteraria propria. Nato a Palermo nel 1926, figlio del grande architetto Giuseppe Samonà, dedicò il suo percorso universitario e poi la sua intera vita agli studi di ispanistica, in particolare al teatro di Calderón de la Barca, Tirso de Molina e Lope de Vega[1]. Il suo contributo al settore resta tra i più importanti e imprescindibili del Novecento, mentre la vocazione narrativa, come ha notato Francesco Orlando, «insorse in ritardo, sotto l’urto di un’esperienza violentemente traumatica che non aveva niente a che fare con la professione o la passione letteraria, che di per sé avrebbe potuto solo disturbarle o paralizzarle»[2].

Fratelli, il suo esordio, arriva nel 1978, quando Samonà aveva ormai cinquantadue anni e già una popolare fama di divulgatore e autore di opere monografiche e manualistiche alle spalle. Pubblicato da Einaudi, nello stesso anno vinse il Premio Bagutta e raggiunse la finale del Premio Strega, ricevendo le lodi di Giorgio Manganelli, Walter Pedullà e Natalia Ginzburg tra gli altri.
Si tratta di un romanzo breve, appena cento pagine, che potremmo definire una sorta di autofiction. Questo termine, piuttosto in voga nella letteratura di oggi, era stato coniato appena l’anno prima da Doubrovsky. Definizione che sembrerebbe addirsi a Fratelli non solo per la sua ispirazione autobiografica, ma anche per una funzione «catartica»[3] della scrittura, che muove da un mai dichiarato tentativo – verrebbe da definirlo – di autoanalisi.

Certi presupposti psicoanalitici del romanzo sono stati in effetti evidenziati già dallo stesso Orlando, che forse più di tutti in Italia ha analizzato i testi letterari alla luce delle teorie freudiane. Egli, in particolare, ha interpretato il rapporto tra l’autore-narratore e il fratello malato in riferimento al principio di «simmetria» di Ignacio Matte Blanco[4].
Più in generale, a testimonianza ulteriore del rapporto tra Samonà e la psicanalisi, si può citare il caso di Cinque sogni, breve prosa che, esplicitata la propria genesi, racconta appunto cinque sogni fatti dall’autore negli ultimi mesi di vita, durante i quali ha combattuto con un male incurabile. Il suggerimento di trascriverli fu di Alessandra Ginzburg, figlia dell’amica Natalia e psicoanalista.

Per spiegare cosa s’intende nello specifico con il riferimento alla «simmetria» di Matte Blanco, è necessario prima illustrare il contenuto dell’opera.
Fratelli si presenta come un intimo, introspettivo processo di osservazione, disamina e infine elaborazione del rapporto dell’io narrante con suo fratello, affetto da un qualche disturbo cognitivo che non viene mai nominato. La malattia trattiene il fratello in una perenne infantilità, e obbliga l’altro a offrire le proprie incessanti cure, in un rapporto e una convivenza che si fanno simbiotiche. I due vivono soli in una grande casa, che appare quasi come uno spazio-mondo dai confini ristretti e al tempo stesso dilatati e illimitati; una scenografia indefinita, fumosa, quasi onirica, abitata da loro due soltanto. La comunicazione tra i due fratelli obbliga a eccedere il mero uso del linguaggio e si serve di diverse forme, in particolare quella del silenzio, così come del gioco e della lotta, che sono altresì un costante oscillare tra il perdersi e il ritrovarsi, ma anche tra la fantasiosa finzione dell’uno e l’estrema realtà dell’altra.

La casa diventa così lo spazio fisico in cui si proietta la reciproca ricerca interiore tra i fratelli. Quello trai i due malato, in particolare, è solito nascondersi e fuggire, smarrirsi e celarsi tra le stanze: un gioco, appunto, che solo gioco non è, che un invito all’altro, come testimonia una frase di un candore quasi struggente:
«Cercami. […] Cercami di nuovo,  aggiunge, anche se mi hai trovato».[5]
In questa frase c’è anche tutta la potenza della lingua di Samonà: densa, elegante, ricercata, al tempo stesso pudica e discreta, capace di proiettare nuova luce su immagini e oggetti consueti, di offrircene un’inedita prospettiva, sul solco di autori, tra gli altri, come Bufalino.

L’io narrante – e si ritorna qui alla «simmetria» di Matte Blanco –, mediante la scrittura, analizza il rapporto tra sé e il fratello, in un certo senso come fosse uno psicanalista. Il fratello diventa simmetricamente una proiezione di sé. Nel curare, osservare, studiare lui, l’io narrante cura, osserva e studia se stesso; sta compiendo un’auto-osservazione. La simbiosi è così estrema che la distinzione tra l’uno e l’altro tende sempre più a sfumare, come dimostra nei fatti anche il frequente scambio di abiti tra i due. L’io narrante racconta di come sia solito prendere appunti sul fratello, trascrivere ed esaminare i suoi comportamenti, e raccoglierne i fogli con ordine; eppure le pagine si perdono, sfuggono, come non ci fossero mai state. S’insinua il sospetto che sia il fratello a manometterle; ma l’errore è facile da commettere, e un foglio nella tasca di una giacca svela una verità e il suo contrario.

Il narratore, nel sospettare del fratello, finisce per sospettare di sé. La narrazione si fa inaffidabile: chi è il colpevole tra i due? Non esiste una verità, non si può carpire. Anch’essa si sgretola in quella casa in cui la realtà del mondo esterno lascia spazio a una dimensione altra, fatta di simulazioni, di messe in scena, di interpretazioni, di giochi, ma anche di sospetti, di estenuazione, di scontri e gelosie.
Quel che di più autentico resta, alla fine, è il sentimento indissolubile che lega i due: una lingua universale e condivisa che si sottrae alle leggi della malattia. In tal senso, l’immagine dei fratelli sullo stesso letto, avvinti in un abbraccio, è di una forza commovente. Come ebbe a notare Antonio Porta, «gli avversari sopravvivono corporalmente abbracciati perché nel corpo riconoscono l’unico denominatore comune»[6].

Giuseppe Rizzi

 


[1] Elisabetta Sarmati in Dizionario Biografico degli italiani – Volume 90, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2017
[2] Francesco Orlando, Suoni flebili e opachi, introduzione a Carmelo Samonà, Fratelli e tutta l’opera narrativa, Mondadori, 2002, p. V
[3] Ibid. p. XII
[4] ivi
[5] Carmelo Samonà, Fratelli, Einaudi, 1978, p. 31
[6] Antonio Porta, Se parla un «sano di mente», in «Corriere dei libri», 19/03/78, p. 12.

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