Oltre l’ombra, il silenzio di Dio: sulla poesia di Antonio Bux

La diga ombra, Antonio Bux
(Nottetempo, 2020)

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L’ultima raccolta del poeta foggiano Antonio Bux, dal titolo La diga ombra, è meritatamente accolta in una delle collane di poesia più rilevanti del panorama letterario italiano: Poeti dell’Editore Nottetempo, diretta da Andrea Amerio e Maria Pace Ottieri. Ormai da diversi anni, la collana si contraddistingue per la scelta di pubblicare poesia in e-book, corredata da un’edizione cartacea a tiratura limitata; poche uscite all’anno, ma coerenti e ben curate, di autori dall’indubbio spessore del calibro di, solo per dirne alcuni, Antonio Moresco, Nanni Cagnone, Marina Cvetaeva, Eugenio Lucrezi, Laura Pugno e il recente finalista del Premio Strega Daniele Mencarelli.

Per Antonio Bux si tratta del meritato coronamento di un percorso umano e poetico di continua crescita e caratterizzato da dedizione e passione, con ben cinque libri di poesia pubblicati in italiano, tre in spagnolo, uno in dialetto foggiano, numerose vittorie e segnalazioni in premi letterari e la direzione della collana poetica Sottotraccia per Marco Saya Edizioni. La diga ombra rappresenta qualcosa di più del canonico “libro della maturità”: è quel raro punto di svolta in cui un poeta riesce a dare voce a un proprio personale linguaggio che gli consente di creare mondi inesistenti attraverso la condivisione delle emozioni, qualcosa che Giuseppe Munforte nella quarta di copertina giustamente definisce «miracoloso per quanto egli travalica i freni e vivifica la dimensione più controllata dell’umano, il linguaggio».

La voce poetica di Bux si manifesta fin dai primi versi della raccolta come un’eco eterea, in grado di mimare i discorsi della quotidianità e, al contempo, sviscerare visioni edeniche distanti da ogni possibile forma di colloquialità. Sono continui i richiami alla poesia mitica dei classici greci, di Dante e di Milton, rivivificata nel presente da autori quali Cagnone e il Mario Benedetti citato in esergo:

«Cadono ombre sulla terra
quasi a chiedere immagine
diversa da chi le guarda:
a volte somigliano luce
d’una parola come chi siamo,
altri giorni vorrebbero
esprimere un solo giorno d’amore;»

C’è in questa poesia un equilibrio fra dionisiaco e apollineo che rasenta la perfezione, e subito ci si ritrova immersi in un mondo ultraterreno ammantato di dubbi e di meraviglie: dei versi di Bux colpiscono infatti soprattutto i sussulti sintattici e i deragliamenti di senso, che deformano quasi impercettibilmente la lingua ordinaria e quotidiana, offrendo al lettore, improvvisamente, innumerevoli occasioni di stupore. Poesia che è dunque moto ascensionale verso Dio, «una forza che porta la vita come una bufera nel linguaggio, e fa del linguaggio bufera», per dirla, ancora una volta, con Munforte.

Il ritmo della versificazione è ipnotico e surreale, funzionale in tal senso al caos di visioni che si vuole generare: il cielo è mischiato alla terra, le bestie agli umani, i corpi agli spiriti:

«Giorni d’acqua, simili a dèi…
Ma cosa viene, da sopra o sotto,
a sognare gli esseri
e poi farli umani, bestie da pascolo,
vivono davvero il loro tempo?»

Le parole e le cose enunciate dall’autore traspaiono fra le pagine svelando l’incerto dell’esistere. Numerosi sono i versi e i pensieri espressi sotto forma di domanda, come a lasciare in sospeso il senso e le percezioni vissute. È d’altronde vocazione del poeta quella di ricercare un’armonia fra il mondo interiore e quello esterno, una necessità che Bux risolve in una relazione più diretta fra l’umano, Dio (l’entità divina, con la “D” maiuscola) e gli déi, emanazione umana del creatore, quegli déi che «piovono, e sono gocce / aperte al corpo di essere umani; / ma è un pianto, a ciel sereno». Relazione che però assume la forma di un dialogo unilaterale in cui l’umano chiede il senso della vita, chiede amore e leggerezza d’animo, chiede il perché del male del mondo, e riceve da Dio come unica risposta il silenzio, la delimitazione di un confine profondo fra mortalità e comprensione totale.

Cos’è dunque questa diga ombra se non il confine ultimo che separa l’assurdo del reale da quel varco montaliano che innalza la mente verso la trascendenza, la verità assoluta delle cose? La diga ombra è la morte, non quella definitiva che spegne la vita, ma quella dell’anima che può accadere ogni giorno, il diventare bui, spenti, «il bianco di un ghiaccio che si è stati», ma è allo stesso tempo, per antitesi, la vita, l’illuminarsi d’amore, con i baci, i sogni, il «volare tra tonfi d’azzurro / dove chi vola non ha più fine». Di questo nostro esitante esserci nel mondo, Bux dice con tenerezza e profondità di sguardo.

Emmanuel Di Tommaso

 

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