Gli effetti invisibili del nuoto, Alessandro Capponi
(Hacca, 2020)

Per l’incipit di questo articolo, avrei voluto citare con più precisione una favola – non so di chi, appunto – che la lettura de Gli effetti invisibili del nuoto mi ha ricordato. L’ho cercata in lungo e in largo su internet dopo aver frugato inutilmente tra i libri della mia infanzia, ma non c’è stato niente da fare: eppure sono convinta di averla letta da qualche parte. La storiella, non so se fidarmi della memoria, raccontava che in un tempo lontano, sulla Terra, esistevano soltanto animali, e tra questi, nessun uomo. Una porzione del mondo animale, per un qualche motivo, in un qualche modo, e con l’intervento di una qualche entità superiore, pur restando moralmente animale, perdeva le proprie sembianze e acquistava quelle di una nuova specie, la nostra – nella quale dunque, a detta dell’anonimo autore, si nasconderebbero ancora faine, porci e miserabili polli.
Tutto questo per spiegare che l’obiettivo, raggiunto o meno che sia, con cui si confronta la prima raccolta di racconti di Alessandro Capponi sembrerebbe essere la stesura di una moderna favola per adulti. Piccole parabole quotidiane che per lo più si srotolano lungo le orbite di un’umile piscina di quartiere, e il cui principio motore e principio comune segue una spiegazione inversa rispetto all’eziologia descritta nella suddetta favola – «La meraviglia della piscina è tutta in una specie di leggenda […]: ogni uomo che vi nuoti, che lo faccia ogni giorno o non lo faccia da secoli, si trasforma in un altro animale»: di questo genere di narrazioni è composta la raccolta.
E così il lettore assiste a una sfilata di trichechi aspiranti rane, di lumache velocissime, di topi inconsapevoli, di gamberi liberi dalla retromarcia, di aironi privati del loro fiume – sembianze umane, cuore forse umano, ma in fondo semplice, prevedibile e intuibile perché in continua esternazione come quello animale. Un’intera fauna di accidenti umani più o meno gravi che per rabbia, per amore, per sfinimento o abitudine si trova costretta di giorno in giorno a varcare la soglia di quell’anticamera della metamorfosi che è il nuoto – metamorfosi essa stessa simbolo della vita nel suo repentino cambiare e richiedere, da chi suo malgrado si ritrova immerso nel liquido fluido dell’esistenza, strategie di adattamento impreviste ma indispensabili per sopravvivere.
La piscina di Capponi si configura non soltanto quale un luogo d’incontro e di condivisione, di reciproco appoggio nella necessità comune di far fronte, mutando, “facendo la muta”, ai mutamenti cui la vita, come l’acqua, è sottoposta. Il nuoto inquadra nelle giornate dei personaggi una casella di spazio-tempo astratta dal resto della loro solita routine. Questa casella, anch’essa senza forma propria se non quella che ognuno dà al contenitore nel quale desidera posizionarla, apre ai protagonisti la possibilità di riflettere e ritrovare se stessi, di fare cioè il primo passo per affrontare una svolta. Ma, proprio perché situata lontana da tutto, e conchiusa entro i limiti del suo recipiente, la medesima casella rischia di essere per i suoi frequentatori insieme rifugio e prigione, libertà e trappola, bozzolo e carapace.
Tra i personaggi della raccolta, c’è chi appunto cerca di vincere le difficoltà non con l’adattamento bensì col blocco, chi insomma invece di abbandonarsi alla corrente della vita, che sa lavare le stesse ferite di cui è causa, decide di asserragliarsi in una casella di spazio-tempo riversata tutta nel ricordo del passato o nella finzione della realtà presente. In tal caso, come avviene per Eleonora, limitatasi per anni ad aderire alle menzogne del marito, o per B. C., deciso a non comportarsi come un padre verso il suo figlio naturale, l’entità cui il personaggio è paragonato non rispecchia tanto la sua vera essenza, quella richiesta dal cambiamento, quanto piuttosto all’essenza cui il personaggio ha voluto adeguarsi – un viscido ratto, per B. C., un uomo, per Eleonora, come accade alla Leonora del Fidelio.
All’elemento dell’acqua, in quanto specchio dei desideri o dei rimpianti dei frequentatori della piscina, si associa quell’idea di doppiezza che è insita nel concetto di metamorfosi – il confronto tra un prima e un dopo. Si tratta della stessa doppiezza che sussiste tra l’essere e il dover essere o l’essere vero e l’essere falso dei personaggi, metà uomini metà animali. Ma perché, viene da chiedersi, proprio animali? Perché cioè l’autore si è rivolto all’universo animale per instaurare una metafora all’inizio simpatica ma alla lunga ripetitiva?
Una simile scelta, tanto trasparente nei significati da scivolare talvolta nello scontato o, se usata a sproposito, nel fuori luogo, sembra compiuta per quell’ideale di semplicità talmente totalizzante nel progetto di riscrivere delle parabole moderne, da non avere in sé altro motivo se non un fine di ordine pratico: la comodità e la ricorsività del modello. Ecco forse il difetto del libro di Capponi: la leggerezza per la leggerezza, quell’arma con cui l’autore riesce a osservare le vicende con l’occhio fluido, limpido del narratore di favole, si dimostra un intralcio quando invece sarebbe necessario studiare gli eventi più in profondità. Gli effetti invisibili del nuoto spesso galleggia in superficie, dove il paesaggio si stende in avanti simile e piatto, e pochi dettagli si incidono nella memoria del lettore in maniera permanente.
Il tutto si riflette in certe soluzioni narrative che in gran parte sfociano, via dialoghi non sempre probabili, in rivelazioni e spiegazioni di vite che sono più o meno ogni volta le stesse. Infatti se, a scapito dell’originalità, la raccolta ha l’indubbio vantaggio di non peccare di incoerenza, ma al contrario di essere ben coesa e legata nelle sue parti, la maggioranza dei racconti invece si conclude con delle rotture piuttosto che delle giunture. Non si può parlare affatto di egoismo nel messaggio del libro, ma al contrario di individualismo, l’individualismo dell’eremita, che decide di vindicare se sibi, per dirla con Seneca, di riacquistare per sé il tempo della propria vita.
Perché allora la “filosofia dell’acqua” di Capponi non convince fino in fondo? Si potrebbero fare molte altre domande su questa raccolta che nel complesso risulta comunque gradevole e ben composta – la piscina è realmente una metafora o è un pretesto per conservare intatta l’unità tematica dei racconti? Il nuoto, nel suo potere metamorfico, è per caso immagine dell’arco di trasformazione del personaggio in qualsiasi narrazione? O è un pretesto per realizzarlo nello specifico racconto? O forse, come più probabile, si tratta di entrambe le cose assieme?
La “filosofia dell’acqua” di Capponi, di per sé, convince, o almeno convince nella misura in cui convince quella letteratura che evita di porsi obiettivi troppo alti e che proprio per questo, perché riesce a rispettare tali obiettivi, ha la meglio su quella letteratura pretenziosa che disattende ai propri. A non convincere sono tutte le domande che si porta dietro il mondo creato da Capponi per spiegare la sua filosofia ai propri lettori. Domande che emergono isolate all’interno di un sistema dove tutto il resto appare così semplice da far credere che non ci dovrebbero essere domande per fare della semplicità, qui usata come un fine e raggiunta al prezzo di qualche complicazione, un mezzo e un pregio.
Elisa Ciofini