Piperita, Francesco Mila
(Fandango, 2021)
Raccontare l’infanzia è difficile, così come narrare l’adolescenza. Fare entrambe le cose in un’unica opera non somma le difficoltà, le moltiplica. Provarci addirittura in un esordio è quindi un rischio evidente. Francesco Mila, nel suo primo romanzo Piperita, si prende questo rischio e riesce nell’impresa.
Sull’infanzia e sull’adolescenza di Lapo rimbalzano l’infanzia e l’adolescenza di altri, lo svuotano al punto da farlo apparire privo di volontà, vittima degli eventi. Non è un caso che il titolo stesso dell’opera faccia riferimento a qualcun altro: la Piperita, personaggio fantastico che la sorella Emma interpreta nelle sue frequenti fughe immaginarie. Lo stesso personaggio di Emma è quasi coprotagonista, sebbene nella seconda parte del testo, forse per uno strano effetto della sua magrezza fisica, diventi evanescente. Più che con una presenza effettiva, comincia a manifestarsi nei discorsi degli altri.
Tutto il romanzo di Mila si configura in fondo come una storia di assenze, di mancanze. Tanto nella prima parte sull’infanzia, quanto nella seconda dedicata all’adolescenza, è lo spazio lasciato vuoto dalla genitorialità, materna soprattutto, il terreno in cui accadono gli eventi. Tutt’al più è contro questa genitorialità carente che i personaggi costruiscono la loro identità, entrano in un quadro familiare crudo e disfunzionale.
Sebbene si percepisca questa continuità nel tema, la struttura del romanzo resta caratterizzata dalla cesura centrale. Ancora una volta risulta determinante uno spazio vuoto. A cambiare non è soltanto il tempo in cui si svolge la storia, ma anche i luoghi in cui è ambientata. Nella prima parte sono per lo più luoghi sospesi, che ricordano soprattutto quelli tipici della pausa, come la casa al lago o l’immaginario paese calabrese di provenienza del padre. Nella seconda parte diventano invece più solidi e abituali: le strade di Roma, la scuola, il parco.
Cambiano anche i personaggi, o meglio, se ne aggiungono di nuovi. Oltre a Greta, primo amore di Lapo, nella seconda parte facciamo la conoscenza di Amedeo, che con il suo fascino da mentore adolescenziale ricorda a tratti il Martino di un altro giovane esordio, forse il più celebre della narrativa italiana: Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi (1994).
Ma leggendo Piperita non emergono solo confronti e riferimenti letterari. Ci sono anche le strisce a fumetti dei Peanuts, c’è tanta musica e tanto cinema, trattati quasi sempre nella misura in cui riescono a produrre culto o icone. Anche l’atmosfera di tutta la prima parte potrebbe far pensare a una pellicola, Favolacce dei fratelli D’Innocenzo (2020). In questo romanzo si avverte lo stesso caldo, per nulla accogliente, ma torrido e soffocante. Ci sono gli stessi bambini maturi e gli stessi adulti infantili, c’è la stessa perenne aria di tragico.
Che di tragedia sia imperniata anche questa storia si evince d’altra parte dalle parole che l’autore fa pensare al protagonista stesso. Nelle prime pagine, Lapo ricorda di aver assistito alla rappresentazione di una tragedia greca, e non una qualunque, ma proprio la Medea, con quel suo inquietante archetipo di madre che gli ricordava la sua. Piperita è anche un romanzo sulle madri, ingombranti e assenti insieme, prive di sfumature edipiche e auree rassicuranti, ridotte a matrici di traumi e disturbi.
Da una parte all’altra del romanzo questo senso del tragico diviene più incombente, complice anche una modifica nello stile narrativo. Le piccole tragedie esplicite della prima parte lasciano il passo a un’unica grande atmosfera tragica, più invadente, in quanto si insinua fra le maglie del quotidiano. Nella seconda parte il racconto si fa infatti più rapido, incrementando il senso d’impotenza costante che si avverte attorno al protagonista, mentre nella prima parte il flusso pur sempre lineare si attorcigliava a volte in minuscoli nodi. Questi, che potrebbero apparire spiragli di inesperienza in mezzo a uno stile ponderato, io credo siano invece discese volute in grovigli di sensi e significati. D’altronde, è l’unico modo che Mila ha a disposizione per restituire alla pagina quella nodosità del reale che intende raccontare, la sfumatura di alcune età, i chiaroscuri del quotidiano. Ciò avviene tanto nella tenerezza del segreto dei bambini, quanto nell’osceno degli adulti. Avviene soprattutto nelle fughe fantastiche, interne ed esterne al racconto, che sono frequenti nella prima parte e lasciate a rarissime scene oniriche nella seconda.
Per descrivere la realtà, quella più profonda e sincera, quella delle relazioni personali e intime, Francesco Mila è dunque costretto a fuggire dalla realtà stessa, affidandosi o al mondo fittizio creato da Emma, quello in cui può finalmente essere la Piperita, o all’abisso più perturbante, con i suoi personaggi surreali.
Credo che Francesco Mila riesca a fare tutto questo per la stessa ragione per cui riesce a raccontare infanzia e adolescenza insieme: perché ha l’età giusta. Come i fratelli D’Innocenzo, che hanno scritto Favolacce a diciannove anni, o Enrico Brizzi, ventenne quando uscì Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Francesco Mila è molto giovane (classe 1996) e questo probabilmente fa sì che in lui ci sia la miscela giusta fra un vivido riecheggiare di quelle età e una maturità critica. La penna di Mila non si abbandona infatti né a pretenziose velleità giovanili, né a uno stile borioso e stantio. Il lessico è adulto e consapevole, ma sempre appropriato. La struttura, con le sue due metà, è solida ma allo stesso tempo sinuosa, raramente frenata da un incespicare sui dettagli, che se in effetti rallentano il racconto, restituiscono, come si è detto, un senso più profondo del reale. Piperita sembra scritto con saggezza, una saggezza peculiare, giovanile, che si ha solo prima dei trent’anni, poi forse si perde.
Quando Greta avvicina Lapo alla lettura dei classici gli dice queste parole: «Sai Lapo, i libri sono molto invadenti. A rimanerci troppo dentro si corre il rischio di rimanere lontani dalle cose importanti […] La realtà, le persone a cui vuoi bene. Queste sono le cose importanti». (p. 183)
A leggere Piperita si ha la sensazione che l’autore temesse di risultare troppo invadente. Per questo lo ha riempito di voler bene, di realtà, di cose importanti.
Giuseppe Vignanello
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