Eva dalle sue rovine, Ananda Devi
(Utopia Editore, 2021 – Trad. G. Allegri)
Un giorno un Charles Baudelaire ventenne (e scapestrato) venne allontanato da quel luogo di perdizione che era Parigi e spedito dalla madre a Port Louis, capitale delle Mauritius. In quest’isola dell’Oceano Indiano di fronte alle coste del Madagascar il giovane scoprì un paradiso terrestre in cui non poté fare a meno di innamorarsi di una bella signora creola. Finì così per scrivere una poesia, la prima di una lunga serie che ben conosciamo. Di questo paradiso non vi è alcuna traccia in Eva dalle sue rovine della scrittrice mauriziana Ananda Devi, romanzo che racconta la completa desolazione di Troumaron, sobborgo degradato di Port Louis. Pubblicato nel 2006 in Francia da Gallimard e pluripremiato, il libro giunge ora in Italia grazie a Utopia Editore, nella traduzione di Giuseppe Allegri.
Troumaron è un Eden ormai decaduto, in cui l’odore degli alberi da frutto e della spazzatura si confondono. Qui vivono quattro adolescenti, le voci narranti del romanzo: Eva, Sad, Clélio, Savita. Eva è una ragazza di diciassette anni che si prostituisce e la cui unica speranza di vita è l’amica Savita, con la quale intrattiene un rapporto di complicità unico. Sad ha una doppia vita: di giorno è il giovane appassionato di poesia che legge di nascosto e dedica ad Eva parole d’amore scritte sui muri, invece di notte diviene un membro delle violente gang del quartiere assieme a Clélio, ragazzo che brucia di una rabbia assoluta che si placa solo col canto.
Il libro è un contrappunto tra i monologhi dei giovani, il cui tono è carico di un’ineluttabilità che ricorda la tragedia greca. A queste voci si aggiunge un coro, che racconta in seconda persona un punto di vista ulteriore e rappresenta l’intima coscienza dei personaggi riguardo al loro destino. A fare da spartiacque tra le due sezioni del romanzo è un delitto che scuote le vite già sconvolte dei quattro protagonisti e che farà esplodere quelle dinamiche soltanto sottese nella prima parte.
Per sciogliere i nodi di un libro complesso come Eva dalle sue rovine si potrebbe forse dire che si tratta innanzitutto di un libro di poesia: la forma-prosa non è che una semplice scelta tipografica, poiché le potenti immagini e la densa scrittura di Devi troverebbero probabilmente nel verso il loro luogo d’elezione. La bellezza evocativa del linguaggio contrasta apertamente con le brutture raccontate, e difatti è su questa contraddizione che giace la poesia del libro: essa è la rappresentazione carica di speranza di un dolore senza speranza.
Per Sad la poesia rappresenta l’unica possibilità di fuga dal disastro di Troumaron. Rimbaud è il contraltare del giovane di Port Louis: le parole di Sad verniciate sui muri sono concrete esattamente come quelle del poeta, il quale era in grado di vedere i colori delle parole. Le poesie di Rimbaud gli parlano nel profondo perché sono in grado di raccontare la sua rabbia, il bruciante desiderio di scappare e di raggiungere luoghi lontani. Ma se il poeta francese riuscì a peregrinare in Europa e in Africa, Sad ed i suoi amici restano ingabbiati nel sobborgo di Troumaron. La possibilità di fuggire viene evocata solo per dichiarare una assoluta impossibilità: le ali della fuga sono in realtà ‹‹ali di piombo››.
L’opera di Devi è però anche un libro che delinea geografie, esplorando spazi: la discarica a cielo aperto di una Troumaron colonizzata dall’Occidente ed il corpo di Eva. Il primo non è un semplice sfondo dell’azione, ma emerge dall’incrocio degli sguardi dei protagonisti e dalle loro parole, è perciò uno spazio concreto, osservato sempre nella sua insopprimibile contraddittorietà, che vede la convivenza degli alberghi di lusso dell’ambita meta turistica con la povertà più nera di Troumaron. Il corpo di Eva è invece probabilmente il vero protagonista del romanzo: è un corpo martoriato, raccontato in modo talmente estremo da divenire esso stesso uno spazio desolato.
“Sono in negoziato permanente. Il mio corpo è uno scalo. Intere parti sono navigate. Con il tempo sono fiorite bruciature, screpolature. Ognuno lascia il suo segno, marca il suo territorio.”[1]
Pur prostituendosi, Eva resta totalmente innocente. La protagonista non si identifica infatti col proprio corpo ‘colpevole’, poiché quest’ultimo è solo il guscio esterno e inessenziale di una totale indifferenza nei confronti di tutto ciò che la circonda: è con un’ombra che gli uomini si intrattengono. L’ultimo residuo di autenticità nella vita di Eva è l’affetto che la lega a Savita, che la conduce in un luogo e in un tempo che sono completamente altri. Le due ragazze sono come le vestali dello spazio sacro dell’amicizia femminile, il quale non può essere profanato dagli uomini.
L’omonimia tra la protagonista del romanzo e la figura biblica non può essere casuale: l’Eva del Paradiso Terrestre è assolutamente innocente perché non è cosciente della proprio corporeità, mentre la ragazza di Troumaron supera il suo corpo grazie ad una coscienza estrema, uno sguardo totale e disperato sulle cose che la conduce verso un punto di non ritorno. È così che Eva diviene la donna della fine dei tempi, che abita le rovine di un Eden dimenticato e che ormai conosce l’essenza stessa della Storia: la violenza.
Giacomo De Rinaldis
[1] p. 10 (versione e-pub).