Il fratello minore, Andrea Barzini
(Solferino, 2020)
I famigliari non si scelgono, e, a un certo punto della propria vita, è necessario affrontare le loro storie. Una famiglia è fatta di racconti, aneddoti, frammenti di un’esperienza appartenente al passato, ma che può riempire di significati il presente di chi ne diviene destinatario. In Il fratello minore, la famiglia protagonista della parola dell’io narrante non è un nucleo qualsiasi, ma porta un cognome pesante e dalla complessa eredità: i Barzini.
Si può dire che il capostipite dei Barzini contemporanei sia stato Luigi Barzini Senior, giornalista e scrittore; fu anche un fondamentale inviato in Asia e Africa per Il Corriere della Sera, nonché personalità allineata al regime fascista. Barzini Sr. visse mosso da ambizione e voglia di affermarsi, gli stessi impulsi che finiscono nel sangue del figlio maggiore, e quello più simile a lui anche nel nome, Luigi Barzini Jr. Quando si sembra i diretti eredi, oltre che biologici ed economici, anche spirituali del proprio padre, la vita pare muoversi costantemente tra due poli: il «tale padre, tale figlio» e la figura romantica dell’allievo che supera il maestro. La vita di Luigi Jr. può essere benissimo riassunta da questo doppio cappello: anch’egli inviato estero per Il Corriere, nonché purissimo self-made man di americano stampo e figlio del suo tempo (quello del «nuovo che avanza»), Luigi è il rampollo dei Barzini, quello che racchiude in sé la sintesi perfetta di un lignaggio che sembra essersi raffinato nei decenni.
E poi c’è Ettore, il figlio minore di Luigi Sr., il fratello minore di Luigi Jr. Agrario appassionato, Ettore sembra il punto in cui il processo storico, l’effetto del tempo su una linea famigliare, concentra tutte le sue variabili. Di un’esistenza più tormentata e precaria, e decisamente meno sfarzosa del fratello Luigi (mentre quello lavora in una piantagione di banane, questo è ammesso ai più lussuosi circoli culturali di New York e Milano), Ettore è forse il Barzini più sradicato dalla guerra: non come il padre, che tenta le simpatie di Mussolini; non come il fratello di successo, che cavalca la campagna d’Africa fascista per raccontarla attraverso le colonne del giornale; ma come una persona che si accorge di vivere in un mondo rovesciato rispetto ai propri ideali di giustizia e uguaglianza. Sopratutto, è proprio in Ettore che il male della Seconda Guerra Mondiale trova il modo di far sentire la propria presa, rendendolo una vittima delle deportazioni nazifasciste, a Mauthausen.
Una famiglia è racconti, aneddoti, storie – ho scritto precedentemente; ma può essere anche silenzi, reticenze, negazioni. A un certo punto, nel lungo racconto storico e famigliare dei Barzini, di Ettore scompare ogni traccia. In famiglia non se ne parla più (anzi, si evita esplicitamente di parlarne), non c’è un monumento che ne commemora la memoria. Tocca all’io narrante e scrittore del romanzo, Andrea Barzini, figlio di Luigi Jr., muoversi contro questo silenzio, questa rimozione famigliare: per prendersi sulle spalle l’eredità memoriale della propria famiglia, e per sottrare lo zio Ettore, se non alla morte fisica, almeno a quella del ricordo. Ed è proprio da una semplice, apparentemente banale, domanda che nasce dalla curiosità fanciullesca («Volevo anche chiederti di Ettore. Papà non me ne ha mai parlato») che prende piede la scrittura e la “ri-scrittura” del parente morto in un campo di concentramento.
«Barzini Ettore, nato a Milano il 18 aprile 1911 (o 11 aprile), giunto a Mauthausen il 7 agosto 1944 primo numero matricola 82272 classificato Schutz, mestiere dichiarato tecnico. Trasferito a Gusen e a Quartz-Melk (Mauthausen) dove è deceduto il 13 marzo 1945.»
Il fratello minore, infatti, ha uno scopo ben preciso, cioè quello di ricomporre, nella memoria, la perduta persona di Ettore, e farlo attraverso la sostanza di cui oggi Ettore è fatto: la corrispondenza tra Barzini custodita negli archivi, le supposizioni di chi è ancora in vita, gli articoli di giornale scritti da Luigi Jr., i documenti amministrativi e storici. Se padre e zio hanno vissuto spostandosi tra città e continenti, il viaggio di Barzini autore avviene tra il palazzo dell’EUR, l’Archivio di Stato e la tenuta famigliare del vecchio zio Ugo. Una vera e propria epopea immobile nel presente, in cui ancora riverbera quella grandiosa, distruttiva, mondiale della guerra e del fascismo passati.
Questa operazione ne sottende una seconda, forse il significato più autentico del romanzo: restituire a chi non c’è più la propria dimensione umana, intima. Le amanti e le frustrazioni di Luigi Jr., lo spirito di abnegazione di Ettore, l’avversione di entrambi alla guerra fascista, l’ideale di resistenza che spingerà Ettore verso il suo destino di morte. Soprattutto, in Il fratello minore viene evidenziata la natura intrinsecamente ribelle di ogni figlio verso il genitore: per quanto riguarda i Barzini, il padre da rifiutare e da cui sciacquarsi è quello assoluto, totalitario, incarnato in Benito Mussolini.
«Parliamo qui al tavolo, Ettore può benissimo sentire»
«Cosa non dovevo sentire?»
«Ogni tanto parliamo di politica. Mussolini non ci piace».
Ettore non si scompose: «Non piace neanche a me».
I tre tirarono un sospiro di sollievo: «Pensavamo che tu, con la famiglia che hai, fossi…»
«Che c’entra la famiglia? Uno può avere le sue idee, no?»
«Che sarebbero?»
«Non mi piacciono i fascisti.»
In definitiva, Il fratello minore (ma è così minore?) è un omaggio, un riassunto definitivo, un porre la pietra miliare all’avanzare del tempo, del proprio tempo famigliare. Attraverso la scrittura, Andrea Barzini calma la bruciante necessità che lo ha spinto verso lo zio scomparso: comprendere un’eredità famigliare che non è solo prestigio e beni di vario tipo, ma è ricchezza del ricordo, consapevolezza del dolore del passato, del silenzio finalmente infranto e del ricordo di Ettore finalmente restaurato – come a completare un affresco che per troppi anni ha avuto un insopportabile vuoto.
Michele Maestroni
In copertina: foto di Mauthausen, ANED.