Marchesini e la costruzione della mitologia

Miti personali. Sedici racconti, Matteo Marchesini
(Voland, 2021)

È facile che si sia familiari con il complesso di Edipo o di Telemaco. Più raro è, invece, riuscire a trovare un nome per il senso di disorientamento che potrebbe aver provato Socrate in punto di morte, o il disappunto di Narciso al fallire delle sue capacità mimetiche davanti alla giovane Eco. Questo perché il peso semantico dell’universo mitologico pervade moltissimi aspetti della nostra esistenza, e tuttavia proprio questa sua presenza pervasiva fa sì che spesso lo si assuma come parte dell’hummus culturale in maniera passiva e superficiale. Con Miti personali Marchesini cerca di contrastare proprio questa superficialità, dando contemporaneamente una sua definizione – e ridefinizione – di cosa sia il mito, e di cosa possa essere considerato mitologia.

La rivisitazione del mito porta inevitabilmente con sé un’eredità pesante: la parola stessa evoca immediatamente il mondo classico, e l’immaginario a esso legato. Il concetto di mito è stato utilizzato per far riferimento agli ambiti più diversi, tra i quali spicca in maniera preponderante quello psicologico, al quale in una maniera o nell’altra tutto, prima o poi, torna. L’operazione di Marchesini, tuttavia, si differenzia dalla maggior parte delle rielaborazioni in questo senso per un motivo molto semplice, enunciato apertamente già a partire dal titolo: è quel personali ad imprimere sin da subito un’identità originale all’opera di indagine del mito racchiusa in questa raccolta di racconti. La scelta degli eventi della mitologia a cui fare riferimento non segue una logica perfettamente identificabile: è deliberata, e in questa arbitrarietà sta la forza del libro. I miti di Marchesini sono personali perché sono stati da lui scelti pescando a piene mani dal gran mare della mitologia, scegliendo quelli che meglio potevano applicarsi alla sua esistenza, alla sua morale, al suo progetto letterario.

Non si tratta, però, solamente di mitologia classica: in una sorta di movimento cronologico che ascende gradualmente verso la nostra epoca, Marchesini non si limita a dar voce ai missed moments alle personalità della cultura greca, ma si spinge fino a raccontare il delirio di Kant, il senso di impotenza di Gesù. L’opera di Marchesini, in sostanza, pone una questione ulteriore su cosa sia da considerarsi mito: ciò che produce una mitologia, certo, ma in maniera più ampia qualsiasi cosa abbia una valenza universale – eventi, personaggi, dinamiche relazionali, luoghi fisici e metafisici.

Il volume si articola in due parti, di eguale importanza e incisività: nella prima si susseguono racconti brevi incentrati su diverse figure della mitologia classica, culturale e contemporanea; la seconda invece consta di un unico racconto, in cui non è identificabile una figura culturale di riferimento, ma che risulta nondimeno profondamente evocativo, specialmente alla luce delle istanze sollevate dalle narrazioni che lo precedono.

A Marchesini riesce il difficile compito di indagare le pulsioni interiori di figure spesso rese granitiche dal peso del tempo e delle rielaborazioni senza però risultare invadente né pretenzioso; sicuramente il merito è anche della sua scrittura piana, trasparente, pervasa di tensione ma senza risultare concitata; si fa voce, insomma, del rispetto e della sobrietà che un mito, anche contemporaneo, evoca.

Anche se la prima sezione del libro si costituisce di rielaborazioni – come già detto – molto personali, non si ha veramente l’impressione che i racconti di Marchesini siano frutto unicamente della sua fantasia: i movimenti interiori che attribuisce ai personaggi della mitologia risultano, in fondo, del tutto credibili. Inoltre, Marchesini è stato in grado di intrecciare sapientemente le fila di miti apparentemente distanti, di cui la sua riscrittura rivela i legami intrinseci: Achille insegue Ettore che corre attorno alle mura di Troia, e il tempo si dilata in questa corsa, allungandosi e spezzettandosi. Ettore muta forma, si abbassa, si indurisce, diventa tartaruga; Achille diventa lepre, e continua ad inseguirlo in un paradosso che non gli permetterà di raggiungerlo mai. La legge morale e i processi filosofici pesano dentro e su Immanuel Kant al punto da permettere al lettore di assistere ai suoi ultimi attimi di vita, che stanno in equilibrio fra l’illuminazione e la follia. L’uomo pensa e agisce secondo costanti, non variabili; e questi processi mentali ci vengono resi trasparenti e comprensibili da Marchesini.

La seconda sezione del libro si costituisce unicamente di un racconto, di lunghezza maggiore rispetto agli altri: Conoscersi. Una coppia percorre in macchina l’Italia centrale; in autostrada s’imbattono in un cane abbandonato, che forse li sta seguendo, o forse li aspetta. Il cucciolo sembra avere il potere di catalizzare l’attenzione e le cure della ragazza, e la passionale energia violenta del ragazzo.

Il racconto pare concretizzare la certezza inquieta che pervade tutte le narrazioni della prima sezione del libro; e proprio su questa inquietudine, difficilmente spiegabile con parole razionali, si costruisce il suo legame con le storie che lo precedono. Poiché Conoscersi chiude un volume che attinge al mito, ed essendo ormai consolidata l’interpretazione del mito come paradigma universale, questo racconto finale assume un peso preciso e particolare, in cui ogni movimento degli umani, degli animali e dei luoghi che vi compaiono si colorano della stessa universalità che caratterizza tutte le mitologie – non solo quelle che s’imparano a scuola, ma le nostre mitologie; i miti personali.

Matteo Marchesini è riuscito nel delicato compito di infondere nuova vita a situazioni e personaggi che l’usura del tempo spesso offre in pasto a banalizzazioni e semplificazioni, oltre a mettere in luce un aspetto del mito che spesso viene trascurato: esso non esiste in sé, ma è stato costruito, e viene costruito ogni giorno dagli elementi dell’esistenza umana che come miti noi stessi ci scegliamo.

Emma Cori

1 Comment

  1. E’ una gioia constatare come sempre più giovani lettori sappiano riconoscere la grande statura letteraria di Matteo Marchesini, in quanto poeta, saggista e qui narratore. Emma Cori, in particolare, coglie bene il fatto che per “personalizzare il mito” non occorre un gesticolare della fantasia, ma un approfondimento coerente. Il mito lo costruiamo noi, quindi è il massimo dell’indefinito dentro una botte di ferro.

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