Le parole “sbagliate” ma vere di Andrea Donaera

Lei che non tocca mai terra, Andrea Donaera
(NNE, 2021)

9791280284198_0_424_0_75Secondo la formula pirandelliana esistono gli scrittori “di cose” e quelli “di parole”: Andrea Donaera non rientra in nessuna di queste due categorie, ma è piuttosto uno scrittore “di sensazioni”. Sono proprio queste uno dei centri focali del suo secondo romanzo (Lei non tocca mai terra, appena uscito per NNE), in cui i personaggi cercano di descrivere quello che provano in una situazione emotiva estrema, senza però riuscire a fare chiarezza nelle loro interiorità rotte, colorate di un nero senza speranza.

Il romanzo si articola seguendo i giorni di una settimana (forse sulla scia di una metafora biblica), ed è costituito da una serie di monologhi dei personaggi, i quali si raccolgono attorno a Miriam, ragazza di vent’anni in coma per via di un incidente stradale. Conosciamo così Andrea, il “quasi ragazzo” di Miriam, la madre Mara, l’amica Gabry e il padre Lucio. Ma ascoltiamo anche la voce di Miriam stessa, proveniente da una dimensione a metà tra realtà e non-realtà, nella quale dialoga con Andrea.

L’incidente della ragazza porta alla luce tutte le problematiche di relazioni famigliari malate, di lutti ancora per nulla elaborati e di silenzi che nascondono segreti indicibili. Al centro di questi segreti vi è un personaggio oscuro e dalla personalità magnetica: Papa Nanni, un esorcista che Miriam non ha mai conosciuto nonostante sia fratello del padre Lucio. Egli è anche la figura adulta di riferimento di Andrea che, orfano di padre suicida, vive con una madre immersa in una disperazione nera, talmente assente da essere definita dal figlio – con una punta di spietato sarcasmo – ‹‹cadavere indecomposto››. Dall’esorcista Andrea apprende l’arte di suonare il tamburello per i riti di liberazione dal demonio, in un santuario immerso negli ulivi salentini.

Lei che non tocca mai terra non è scritto in una lingua piana e abituale, ma contiene dentro di sé tante lingue quanti sono i protagonisti. Ogni personaggio è infatti strettamente identificato da un suo proprio linguaggio: quello da millennial di Andrea e Gabry, con i congiuntivi che saltano, abbreviazioni come ‹‹mo’››, ‹‹’sto››, ‹‹te›› al posto del ‹‹tu›› e tutti quegli intercalari immancabili come ‹‹tipo››, ‹‹cosa››, ‹‹roba›› e via dicendo. Il padre di Miriam fa uso del dialetto salentino, con il suo oceano di cavernose ‹‹u››, mentre Mara è un fiume in piena in cui scorre un rabbioso turpiloquio. Infine, il linguaggio di Miriam è lieve e poetico: la sua voce lontana è vestita da un font specifico, dal tratto quasi gotico, sottile e tremolante, che riflette la sua condizione sospesa.

L’esigenza di giocare con la grafica sembra rispondere in qualche modo al bisogno di collocare queste parole in uno spazio concreto. La parola di Donaera è infatti performativa: essa è così vivida che nel leggere sembra di ascoltare le voci dei personaggi, i timbri delle loro voci. Per queste ragioni Lei che non tocca mai terra potrebbe divenire – senza nemmeno troppi adattamenti – una pièce teatrale, in cui le voci dei protagonisti si alternano e risuonano. Questo aspetto linguistico è uno dei punti di maggiore interesse del romanzo, ma cela al tempo stesso un rischio: a volte si ha infatti quasi la sensazione di leggere il testo di una canzone, le cui parole – senza la voce concreta del cantante e della musica – perdono la loro tridimensionalità, quasi si appiattiscono.

Donaera ha cercato un linguaggio totalmente sincero, pagando questa sincerità col rischio di una certa ingenuità. Ad esempio l’ingenuità di Andrea, che per sua stessa ammissione dice di non cercare mai le parole giuste, ma di parlare così ‹‹come gli viene››. Il giovane nei dialoghi con Miriam cade così in frasi fatte dal sapore sdolcinato (‹‹Vorrei scrivere un libro d’amore. Con dentro un elenco di nomi. Il tuo sarebbe in cima. Forse sarebbe l’unico››). Anche gli altri personaggi parlano senza filtri, tranne Papa Nanni che, non a caso, utilizza un linguaggio forbito e curato. Eppure questa loro tendenza ad essere sé stessi senza schermi non permette ai personaggi di espiare le loro colpe: tutti sono in qualche modo colpevoli, in quanto attribuiscono la causa di ogni cosa agli altri o al Male, entità oscura contro cui Papa Nanni dice di lottare, ma che invece ha introiettato dentro di sé.

Il Male è uno dei protagonisti invisibili del romanzo, una forza totalizzante che quasi non vede contrappeso se non l’amore di Andrea per Miriam. Esso permea l’ambiente in cui i personaggi si muovono: una Gallipoli invernale, definita dai protagonisti un ‹‹paese di merda››, il cui vento tagliente ed il mare grigio sono molto lontani dallo stereotipo turistico patinato che invade pubblicità e social. Il Mediterraneo di Donaera è inaspettatamente gotico: del Sud egli racconta le ombre nerissime e paradossali, generate proprio da quella luce abbacinante che abita l’immaginario collettivo.

Il risultato di tutte queste scelte è un realismo estremo, che sembra sfociare quasi nell’autofiction: non a caso Andrea ha lo stesso nome e cognome dell’autore e sembra assumerne anche le fattezze fisiche. Egli gioca con questa ambiguità quando nota come, mettendo insieme il proprio nome con l’anagramma di “Donaera”, risulti: “Andrea o Andrea”. Sembra che ci sia quindi una sorta di sdoppiamento, uno scambio dialettico tra l’autore ed il personaggio, per cui non sappiamo dove inizi l’uno e dove finisca l’altro. Si ritrova la medesima ambiguità in un’avvertenza (apparentemente innocua) posta subito prima l’inizio del romanzo, che recita: ‹‹Gli eventi descritti in questo libro sono frutto di immaginazione. Si sono svolti a Gallipoli, tra il 22 dicembre 2007 e il 20 gennaio 2008››, attribuendo così un intervallo di tempo e un luogo molto precisi a ciò che “avviene” invece solo nella finzione.

Forse il senso di Lei che non tocca mai terra sta tutto in questa una zona di confine tra vero e falso, tra invenzione e realtà, in cui nulla è perfettamente chiaro. Ed è proprio in questo luogo che abitano le sensazioni di cui cercano di parlare i personaggi di Donaera, entità concrete, ma che ci sfuggono nel momento stesso in cui cerchiamo di chiarirle con la nostra mente, senza raccapezzarci mai.

Giacomo De Rinaldis

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