Blanche e Willy: i protagonisti del teatro di Williams e Miller

Nella cultura americana la Grande Depressione prima e ancora più che la II Guerra Mondiale, col crollo economico e morale del paese, ha dato forma a un nuovo modo di riflettere sulla posizione dell’individuo nella società. Da questa nuova riflessione è scaturito un nuovo modo di fare teatro: sarebbero stati proprio quei due drammaturghi che saggiarono il loro talento nella palestra degli anni Trenta a conquistare con le produzioni successive il podio del canone teatrale del dopoguerra americano – Tennesee Williams e Arthur Miller. I loro nomi hanno fatto conoscere al mondo la drammaturgia statunitense del Novecento. Due testi di Williams e di Miller in particolare si distinguono dagli altri per rappresentatività rispetto all’intera stagione in cui furono scritti, tanto da far suonare i propri titoli come déjà-vu a molti che non li abbiano mai letti, studiati o visti sulla scena.

Un tram che si chiama Desiderio di Tennesse Williams (1947) e Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller (1949), oltre a uno stato di contiguità cronologica, possiedono molti aspetti in comune relativamente al contenuto e alla gestione dei personaggi protagonisti, Blanche DuBois e Willy Loman. Non si tratta di una cosa da poco, se si considera che in entrambe le opere sono i protagonisti, con il loro portato di esperienze e la loro evoluzione psicologica, a condurre lo svolgimento del dramma; queste corrispondenze nella caratterizzazione dei personaggi non corrispondono ad altro che al riflesso di un’epoca.

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La scenografia di Jo Mielziner nella produzione originale di “Morte di un commesso viaggiatore” del 1949 (Chelsea Tenenbaum – CC BY-SA 4.0, nessuna modifica effettuata)

Gli atteggiamenti di autoinganno dei protagonisti rispecchiano i limiti di una società nella quale l’unica alternativa al materialismo e all’individualismo era il fascino verso quei falsi miti ancora non del tutto in declino. Nei due spettacoli, la caratterizzazione di questi personaggi è tutto: Blanche e Willy sono la loro stessa biografia, perché a un certo punto della loro esistenza qualcosa si è rotto e, rompendosi, ha alterato il normale corso della vita. Sarà quindi bene concentrarsi su di loro e sulle loro biografie per afferrare il senso più ampio che accomuna l’una e l’altra pièce.

Per quello che riguarda Willy Loman, padre di famiglia sulla sessantina, commesso viaggiatore, fin da subito siamo informati di cosa si sia rotto: tornato a casa subito dopo una delle sue partenze per lavoro, Willy spiega di non riuscire più a guidare – «Tutt’a un un tratto non sono più riuscito a controllare la macchina». Ma le difficoltà nella guida non costituiscono che la punta di un enorme iceberg. L’intera vita di Willy ha visto allinearsi una lunga serie di guasti, soprattutto di sbagli e di disillusioni, mascherati ed edulcorati dal proliferare all’opposto di grandi illusioni, grandi speranze, grandi sogni per sé e per la propria famiglia – il sogno americano del successo, del benessere, del succo della vita come fiera delle apparenze.

Ma ora che è vecchio e che i suoi due figli hanno seguito le sue stesse orme fallimentari, Willy non ha più molto da sperare, tutta la sua vita si è guastata. Willy ormai parla da solo e confonde i piani temporali. Nei due atti del testo, il protagonista rievoca così il proprio passato, finendo per ricadere ogni volta sul tasto dolente del suo fallimento, ovvero il difficile rapporto col figlio Biff, che da ragazzo ha rinunciato al proprio futuro, traumatizzato per aver scoperto che la figura paterna che idolatrava aveva un’amante. Willy perde il lavoro, e, disturbato sempre di più dalle sue visioni, pensa di trovare nel suicidio l’unica via per ricevere nella morte quella visibilità e quella comprensione che non ha ricevuto in vita.

La questione dei guasti ha un aspetto più complicato nella vicenda di Blanche – solo con un po’ di pazienza si capisce cosa si sia rotto in lei. Blanche nasce come un personaggio sfuggente, che scappa da un passato poco chiaro e che si porta con sé il ricordo confezionato di un’epoca di ordine familiare e signorilità legato alla perduta piantagione di Belle Reve (“bel sogno” in francese, molti sono i nomi parlanti nell’opera), in cui è cresciuta con la sorella Stella. Tutto ciò che è invece introvabile dove si trova lei adesso, nel piccolo stabile di New Orleans in cui abita Stella, che vive una relazione tormentosa di passione e violenza col volgare marito Stanley.

Le condizioni di promiscuità a cui deve adeguarsi non fanno che peggiorare lo stato di Blanche, che arriva a New Orleans con i nervi a pezzi. Il frammentarsi continuo del suo personaggio, che si reinventa spigliato, provocante, innocente, rispettabile o fragile a seconda delle circostanze, fa emergere la certezza che in lei qualcosa non vada per il verso giusto – anche lei esordisce sottolineando tra sé il rischio di perdere il controllo. Alla fine, dalla coltre di menzogne che Blanche ha raccontato e si è raccontata, la verità viene a galla per impulso di Stanley, verso il cui mondo e verso la cui violenta mascolinità la protagonista prova insieme disgusto e attrazione. Anche per Blanche la prima squalifica è venuta dal mondo del lavoro.

Ma il vero trauma avuto da Blanche si colloca ancora più indietro nel tempo: l’aver amato e sposato da giovanissima un ragazzo che invece era omosessuale e che, colto da lei sul fatto, si è ucciso. Il primo trauma si rinnova in un secondo trauma – Blanche viene violentata da Stanley. Come accade per quella di Willy, collassa anche la sanità mentale di Blanche, che viene portata via da un dottore e da un’infermiera.

Blanche e Willy non sono personaggi né del tutto positivi né del tutto negativi. Sono personaggi socialmente alienati, che si sono scavati all’interno della cruda realtà presente una loro versione alternativa nella quale rifugiarsi. E non dev’essere un caso, se anche in un altro pilastro del teatro statunitense, Lungo viaggio verso la notte di O’Neill, nevrosi ed effetti collaterali del sogno americano sono associati.

Il mancato realismo dei testi di Williams e Miller si allinea alla soggettività alterata dei protagonisti. Entrambe le narrazioni procedono in soggettiva, attraverso espedienti scenografici o musicali che sottolineano la partitura emotiva del mondo alternativo in cui i protagonisti abitano; o, nel caso di Morte di un commesso viaggiatore, attraverso l’invasione del palco da parte di flashback che nella mente di Willy avvengono in concomitanza con le altre scene. Quest’insistenza sul punto di vista – anche a teatro il racconto è sempre guidato da un punto di vista – ci invita a soffermarci ancora sulla caratterizzazione dei protagonisti.

Il loro profilo ha una natura composita, perché plasmato insieme dall’esperienza e da un profondo esercizio di auto-scrittura: Blanche e Willy sono i primi autori della loro storia, per resistere hanno bisogno di fingere, di mentire innanzitutto a se stessi. Per paura della perdita, dell’invecchiamento, di tutto ciò che comporta abbandonarsi alla vita, Blanche congela i propri giorni in una recita che la faccia sentire ancora attraente o ancora moralmente integra, in un gioco al desiderio sul limite tra dentro e fuori la realtà, realtà a cui la sorella, suo specchio ribaltato, si è invece abbandonata con anche troppa fiducia.

Mentre Blanche occupa una posizione marginale rispetto al fluire della vita sociale, Willy ci è immerso fino al collo: per amore di quella vita si sente spinto ad abbracciare gli ideali del modello dei consumi americano, e cerca nell’autoinganno continue conferme di essere riuscito a far corrispondere quell’abbraccio ideale a un abbraccio anche materiale del benessere. Ma il rapporto di Willy con il sogno americano non è del tutto privo di ambiguità. Biff sostiene nel finale che suo padre «sbagliava i sogni»: Willy crede nell’ideale del benessere, ma crede anche di poterlo realizzare con quanto di più distante esista dai valori del consumismo – il senso di comunanza, rispetto e benevolenza tra gli uomini.

Come Stella si pone in contrappunto rispetto a Blanche, la coppia di Biff e Happy, l’altro figlio di Willy, divide in due le componenti della personalità del padre, rispettivamente quella più riflessiva e quella più materialista. Grazie al loro atteggiamento ostile o compassionevole verso il padre, l’ironia drammatica cala sul protagonista senza che tuttavia il distacco tra lo spettatore e il personaggio renda implausibile la narrazione autodiegetica. L’inaffidabilità di Blanche viene invece smascherata in un percorso a tappe, che muove da Stanley, ma coinvolge anche Mitch – amico di Stanley innamorato di Blanche –, e infine Stella. Willy è un personaggio inaffidabile perché contraddittorio rispetto a se stesso. Persino la morte lo contraddice – dei tanti partecipanti che immagina accorrere al suo funerale rimangono nei fatti soltanto quelli della sua famiglia. Blanche, che rifiuta la contraddittorietà, la complessità della passione, dei sentimenti, dell’esistenza umana, per quanto contraddittoria rispetto al mondo, è coerente nella scelta di non essere mai se stessa. Nella condizione di contraddittorietà che i due protagonisti condividono risiede la causa della loro scissione psichica.

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Una scena dalla produzione originale di “Un tram che si chiama Desiderio” del 1947, con Jessica Tandy, Kim Hunter e Marlon Brando (dominio pubblico)

Una chiave interpretativa della loro nevrosi può essere ricercata all’interno del rapporto distorto che Blanche e Willy intrattengono col tempo. Un tempo concepito in prima istanza come scorrere del tempo, e cioè come logica sequenziale di causa ed effetto (e responsabilità), come flusso narrativo. Blanche rifiuta la gabbia di un’unica narrativa, censura le proprie responsabilità ed è ossessionata dall’invecchiamento e dalla morte; Willy, di fronte ai segni dell’età, si comporta come un bambino a cui è stato sottratto il giocattolo preferito: l’avvenire. Altre volte il tempo viene inteso come zona temporale, passata o futura che sia. Il rapporto dei protagonisti con questo genere di temporalità si esplica in termini di negazione o proiezione.

Blanche si è ripiegata sul passato, ma su una versione idealizzata del passato in particolare, mentre ha ripudiato le restanti. Anche per Willy, che fino alla vecchiaia ha proiettato tutto se stesso nell’illusione di un grande futuro, il passato ha due valenze: se nella sua visione retrospettiva il passato sembra fornire un luogo possibile all’esistenza di mondo diverso, fatto di fratellanza e quiete familiare, il passato concreto che si riversa sulla scena riserva brutte sorprese. Ma il passato è per lui anche una necessità. Ha troppo poco futuro davanti a sé per non essere risucchiato dal passato. Il suo sogno si proietta all’indietro, e Willy finisce per desiderare di essere ricordato nella morte.

Nonostante i molti limiti delle loro strategie, l’ostinazione di Willy e Blanche nel cercare di scappare dal reale ha un che di sovversivo. Non soltanto nei confronti delle regole della vita, ma anche nei confronti di una società che non è molto più sana di loro: Stella è costretta, per continuare ad andare avanti, a chiudere gli occhi sullo stupro della sorella da parte del marito e a far rinchiudere in manicomio Blanche; nessuna delle persone di cui Willy si è guadagnato la fiducia sul lavoro lo ricambia aiutandolo seriamente o omaggiandolo al funerale. Nel finale delle due pièces ai protagonisti viene riconosciuta una qualche forma di dignità: la loro resistenza si dimostra in un certo senso ammirevole al confronto con l’atteggiamento di menefreghismo di un paese in pieno decadimento.

Elisa Ciofini

Bibliografia:

  • T. Williams, Un tram che si chiama Desiderio, traduzione e prefazione di P. Bertinetti, Einaudi, 2020
  • A. Miller, Morte di un commesso viaggiatore, traduzione di G. Guerrieri e nota introduttiva di E. De Angelis, Einaudi, 1979
  • C. W. E. Bigsby, Modern American Drama 1945-2000, Cambridge University Press, 2008

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Foto di copertina: Thomas Hart Benton, “Poker night (from A Streetcar Named Desire)”, 1948; Sharon Mollerus – CC BY 2.0 (https://no.wikipedia.org/wiki/Thomas_Hart_Benton_(maler)#/media/Fil:Thomas_Hart_Benton,_Poker_Night_(from_A_Streetcar_Named_Desire),_1946_1_15_18_-whitneymuseum_(40268444184).jpg)

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