“Adattarsi” di fronte al muro della disabilità

Adattarsi, Clara Dupont-Monod
(Edizioni Clichy, 2022 – Trad. Tommaso Guerrieri)

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In una normale famiglia della montagna francese accade un fatto piuttosto ordinario: nasce un bambino. In realtà, non si tratta di un bambino come gli altri: è cieco, non parla ed è impossibilitato a muoversi. È totalmente inadatto, il suo corpo non sottostà a nessuna funzione e per questo non sopravviverà a lungo. Adattarsi, il primo libro di Clara Dupont-Monod tradotto in Italia grazie a Edizioni Clichy, racconta in tre movimenti gli effetti di questo evento dirompente attraverso le diverse esperienze dei fratelli del bambino, che a poco a poco svelano ogni volta nuovi aspetti di una dimensione dell’esistenza che solitamente rimane celata: la disabilità.

La voce narrante non è affidata direttamente ai tre fratelli (che, come il bambino, non hanno nome, ma vengono chiamati “il maggiore”, “la minore” e “l’ultimo”), ma ad un punto di vista inumano: le pietre rosse del muro nel cortile della casa della famiglia, spettatrici di tutto ciò che accade, raccontano le vicende con un tono sapienziale, come fossero depositarie di un’antica saggezza. Il muro non è però soltanto il punto di vista del romanzo, ma anche e soprattutto un’immagine potente che riesce a descrivere allo stesso tempo le tre diverse condizioni dei protagonisti ed il loro modo di vivere l’inadeguatezza del fratello; è come se la voce narrante scelta dall’autrice celasse in realtà il significato stesso di tutto il libro.

I muri sono fatti per proteggere, e proprio così il maggiore si porrà nei confronti del neonato: egli si farà carico della disabilità del fratello, prendendosene cura. Ai suoi occhi il bambino è portatore di una prospettiva sul mondo letteralmente stra-ordinaria e fuori misura rispetto a quella degli altri, i “normali” da cui deve proteggerlo, che non potranno mai capire la sua condizione. Il bambino appartiene ed al tempo stesso non appartiene al mondo, esiste in una maniera pura e semplice, senza alcuna resistenza nei confronti di ciò che lo circonda. La disabilità viene letta qui come una dimensione misteriosa e indecifrabile, della quale non possiamo sapere nulla: cos’è la realtà per chi può soltanto sentire suoni? Come definire la sua conoscenza?

‹‹Era un linguaggio dei sensi, del minuscolo, una scienza del silenzio, qualcosa che non s’insegna in nessun altro posto. A bambino fuori norma, sapere fuori norma, pensava il maggiore. Questo essere non imparerà mai niente, e quindi sarà lui a insegnare agli altri››[1]

Grazie al bambino il maggiore acquisisce un punto di vista sulla realtà completamente inedito, fa propria una conoscenza che è al di là dei concetti di funzionalità e di fine, fatta di un ‹‹tempo vuoto›› in cui apparentemente non accade nulla, ma che in realtà è incredibilmente ricco. Il ragazzo si addentra così in un territorio sconosciuto e si distacca dal mondo degli altri. Non a caso, la sua vita da adulto sarà profondamente inquieta.

La sorella minore, con la sua natura ribelle, si pone esattamente agli antipodi rispetto al fratello più grande. Lei odia il bambino, verso cui nutre anche un profondo timore. L’atteggiamento di cura del maggiore la fa ingelosire: sente che le è stato sottratto qualcosa. Eppure anche lei dovrà adattarsi, organizzare la sua esistenza all’interno di quello spazio angusto causato dalla strana condizione del fratello. La ragazza è un solido muro di resilienza che resiste e che cerca di mettere insieme i cocci del disastro famigliare. Accetterà la mancanza di una speranza progettando, ponendosi degli obiettivi piccoli e, in qualche modo, consolatori.

Infine, l’ultimo fratello, colui che nasce dopo il trauma, assume un atteggiamento da sopravvissuto ad una tragedia a cui non era presente. L’ultimo si fa carico di questo ruolo all’ombra del ricordo del bambino, ormai divenuto racconto, “mito”. Il passato è per lui un muro invalicabile che gli impedisce di comprendere ciò che è accaduto: per questo si appassiona alla Storia, è interessato a capire chi fosse il bambino, dal quale sente di aver ricevuto un misterioso testimone, e indaga il passato osservando gli effetti che il suo breve passaggio ha avuto sui componenti della famiglia.

Più che la condizione del bambino – il grande presente-assente della narrazione – il vero argomento del romanzo di Monod-Dupont è forse il destino e la sua accettazione da parte dei protagonisti. Parlare di disabilità infatti equivale a parlare di destino: con la sua ineluttabilità dai ‹‹contorni severi››, la disabilità è uno strumento di conoscenza sulla vita, esattamente come la morte o le nostre pulsioni primordiali. Essa insegna che il gioco dell’esistenza sta tutto nell’organizzarsi entro i confini dello spazio assegnatoci, accettando così il ruolo a cui siamo stati destinati.

Giacomo De Rinaldis

[1] p. 30.

Foto in evidenza di Eberhard Grossgasteiger da Pexels

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