“La masochista”: perdere e ritrovare la voce

La masochista, Katja Perat
(Voland, 2022 – Trad. P. Raveggi)

Forse non tutti sanno che la parola masochista deriva dal cognome di Leopold von Sacher-Masoch, scrittore austriaco di metà Ottocento che nelle sue opere celebrava relazioni amorose basate sulla sottomissione sessuale dell’uomo nei confronti della compagna. La biografia di questo singolare personaggio è il punto di partenza del romanzo storico della scrittrice slovena Katja Perat –il punto di partenza ma non il fulcro, in quanto la storia ruota intorno alla sua figlia adottiva Nadežda (Nada), un personaggio inventato dall’autrice. 

Nada, voce narrante del romanzo, ripercorre la propria vita con sguardo analitico e chirurgico, dissezionando emozioni e dinamiche interpersonali, come sembra aver imparato nei lunghi anni di sedute psicanalitiche con il dottor Freud (uno dei numerosi personaggi storici che si affacciano nella narrazione, insieme a Klimt, Rilke, Joyce e allo stesso Sacher-Masoch). La vicenda di Nada si dipana tra due mondi in apparenza molto diversi, che però si rivelano due facce della stessa medaglia per quanto riguarda gli spazi di autodeterminazione della donna.

Da una parte c’è l’ambiente familiare, apparentemente libero e anticonformista, ma in realtà invischiato in tutti i meccanismi oppressivi tipici dell’epoca. Che si tratti della moglie o della figlia, Sacher-Masoch tende a trasformare le donne della sua vita in personaggi del romanzo o del pamphlet che sta scrivendo nella sua testa: così la glorificazione del potere femminile diventa paradossalmente un modo per sottomettere tutta la famiglia ai capricci del suo ego instabile. Nada fugge da questo ambiente caotico nell’unico modo consentito a una ragazza del suo tempo: attraverso un matrimonio che la porterà finalmente a Vienna, al centro di tutto, lontano dalla provincia dove è cresciuta.

Nella vita altoborghese a fianco del marito Maximilian Nada cerca ordine e stabilità emotiva, ma trova solo la noia e l’ipocrisia di un contesto sociale ingessato e repressivo. In città gli stimoli non mancano –siamo negli anni della Secessione viennese e una vivace schiera di artisti e intellettuali anima gli eventi mondani– ma Nada riesce solo a sfiorare questo mondo. Anche la relazione con lo scrittore Jakob, in cui Nada crede di trovare l’autenticità, resta soffocata dalle regole di una società in cui ci sono cose che si fanno in pubblico e altre che si fanno di nascosto, e attraversare il limite non è concepibile.

Il percorso di Nada, dunque, procede a lungo secondo un pattern che la vede fuggire da un uomo per rifugiarsi accanto a un altro, affidargli le sue speranze in una vita migliore, e trovarsi incastrata in un altro rapporto disfunzionale, con regole che non tengono conto dei suoi bisogni e che lei non può negoziare. Questo approccio istintivo e speranzoso appartiene alla Nada-personaggio. Al contrario, la Nada-narratrice, che ripercorre la vicenda col senno di poi, appare estremamente consapevole che i limiti alla sua felicità non dipendono da un compagno piuttosto che da un altro, ma sono strutturali e legati alla sua condizione di donna.

Questa consapevolezza resta legata al suo percorso di crescita personale e non diventa mai politica, nemmeno in senso lato (un approccio diverso sarebbe stato forse anacronistico in un romanzo ambientato nell’Impero austroungarico di fine Ottocento). Nonostante ciò, è evidente che l’autrice intende fare di Nada un «personaggio-donna esemplare, incastonata nel particolare arco spaziotemporale della civiltà austroungarica fin de siècle e riflessa all’infinito nelle Nadežde a venire dello spietato secolo breve» [dalla post-fazione della traduttrice Patrizia Raveggi, pag. 230]. 

La masochista è quindi la storia di una donna alla ricerca del suo spazio di autonomia, non solo in senso pratico: la posta in gioco è anche e soprattutto la possibilità di farsi soggetto della propria narrazione, in un mondo che la vorrebbe raccontata, osservata, analizzata, trasfigurata e sublimata da altri (tipicamente uomini). Non è un caso che Nada venga colpita da lunghi periodi di afasia in seguito a eventi stressanti o traumatici, e non è un caso che decida di dare una svolta alla propria vita poco dopo avere iniziato a tenere un diario. 

L’idea che l’emancipazione femminile passi attraverso l’atto di raccontarsi fu portata nel dibattito pubblico con grande potenza e limpidezza da Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé, ed è stata poi ampliata nei decenni successivi, nonché arricchita alla luce delle trasformazioni sociali. Katja Perat si inserisce in questa tradizione con un romanzo intelligente e ben costruito, che però non riesce ad aggiungere un nuovo tassello o una nuova prospettiva a un tema già molto sviscerato. La parabola di Nada risulta quindi un po’ prevedibile –forse perché la società di fine Ottocento, con i suoi corsetti e la sua morale bigotta da una parte, e dall’altra il suo tasso di alfabetizzazione crescente e i suoi venti di rivoluzioni e idee nuove, è da anni il terreno ideale in cui ambientare storie di proto-emancipazione femminile. Il romanzo di Perat procede saldamente sui binari del genere, con un taglio più profondo e articolato rispetto ad altri prodotti più commerciali, ma senza mai creare un vero scarto rispetto alle aspettative del lettore. La stessa ricostruzione storica, per quanto curata, risulta un po’ di maniera e non arriva a sviscerare, se non superficialmente, tutta la complessità e le contraddizioni dell’Impero austroungarico nella fase finale della sua esistenza.

Al netto di questi limiti, La masochista è comunque un romanzo acuto e ben scritto, di piacevole lettura, che mette sotto la lente d’ingrandimento l’interiorità di una donna, le sue debolezze e quelle di chi le sta intorno, gli autoinganni e i compromessi che tutti accettiamo più o meno consapevolmente.

Benedetta Galli

Immagine in evidenza: Castello di Duino, di Twice25 & Rinina25 Immagine CC  Attribution-Share Alike 3.0 Unported Ritagliata

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