Verde Eldorado – Adrián N. Bravi
(Nutrimenti, 2022)
A metà del XVI secolo, Giovanni Battista Ramusio diede alle stampe il suo trattato geografico in tre volumi Delle navigationi et viaggi, con l’obiettivo di raggruppare memoriali e racconti di viaggio dall’antichità classica all’era a lui contemporanea – ovvero l’età dei grandi viaggi verso le Americhe. Nel terzo tomo è presente una sezione dedicata a Sebastiano Caboto, navigatore ed esploratore insignito dalla corona spagnola del titolo di piloto mayor, e incaricato di arrivare all’arcipelago indonesiano delle Molucche (al tempo contese tra spagnoli e portoghesi) facendo rotta verso occidente. La spedizione però fallì, poiché arrivato sulle coste del Sud America, Caboto decise di cambiare itinerario e – al netto di molti ammutinamenti – proseguire sul Rio de la Plata e quindi sul Río Carcarañá, alla ricerca dei tesori degli Inca.
La storia che sta alla base del romanzo Verde Eldorado di Adriàn N. Bravi è proprio la spedizione del piloto mayor Caboto, e l’esergo è affidato a una citazione di Ramusio. Sul racconto del navigatore si innesta quello del protagonista, Ugolino, ottavo o nono figlio di una famiglia di mercanti veneziani che rimane sfigurato nel corso di un incendio del palazzo. L’evento relega Ugolino ai margini della società, costretto a indossare un cappuccio per coprire il volto; trova consolazione solo nei suoi studi – in particolare il Peryphiseon di Scoto Eriugena, libro che lo accompagnerà anche nella sua traversata oceanica. Il padre, infatti, chiede all’amico Caboto – di origini veneziane – di portare con sé Ugolino «per non vederlo più rinchiuso nella sua camera, [o perché] credeva che questo fosse l’unico destino che il suo aspetto fisico poteva riservargli» (p. 28).
Ugolino è incaricato di scrivere il diario di bordo della spedizione, compito che svolgerà fino al giorno in cui il piloto mayor decide di spingersi lungo il Rio Carcarañá alla volta della città del Rey Blanco. Dopo alcuni giorni di navigazione lungo il fiume, Ugolino e altri uomini dell’equipaggio vengono rapiti da degli indios, che si cibano dei marinai; questo episodio segna l’inizio della nuova vita di Ugolino presso la tribù, che lo venera come emissario divino. Nelle sue memorie, quelle che costituiscono il romanzo, Ugolino procede a raccontare il suo inserimento nella tribù indigena, passando dalla distanza dell’antropologo all’integrazione e alla rinuncia volontaria al ritorno a casa.
In Verde Eldorado, Bravi riprende il genere del resoconto di viaggio moderno, una tradizione che inizia con il Milione di Marco Polo e che tra il XII e il XVI secolo rappresenta il principale metodo conoscitivo del mondo per gli uomini occidentali; diventa di fondamentale importanza soprattutto nella fine del medioevo e nell’epoca dei viaggi verso le Americhe, poiché permette di far pervenire in Europa le scoperte dei navigatori. Una delle caratteristiche che contraddistingue i racconti di viaggi verso est – prendendo come riferimento ad esempio Polo e Niccolò de’ Conti – ancora immersi nel clima medievale, è la commistione tra realtà e finzione: l’estremo Oriente è una terra di leggende, di ricchezze sepolte, e i viaggiatori non cercano, tramite la loro esplorazione della realtà, di confutarle; semmai, in assenza di prove, tendono a spostare i tesori nascosti in terre ancora più lontane. Allo stesso modo, il piloto mayor intima a Ugolino di non trascurare l’immaginazione durante la stesura delle proprie cronache, poiché «anche l’immaginazione è una delle possibilità della realtà, non dobbiamo abituarci troppo a disprezzarla» (p. 47).
Un altro tema centrale dei resoconti di viaggio verso Occidente che viene inserito in Verde Eldorado è quello del cannibalismo, palesato dall’esergo tratto da Ramusio («Questi indiani, avendo levato via alle morti tutte le teste, braccia e piedi, mettevan li corpi in alcuni legni lunghissimi e arrostivangli, e tanto era il desiderio che avean di mangiarsegli, che mezzi crudi e insanguinati gli levavan dal fuoco e tra loro se gli mangiavano») e dalla scelta del nome del protagonista, Ugolino, che rimanda al conte dantesco (che Dante sia un autore di riferimento è chiaro anche dalle frequenti citazioni di versi della Commedia).
L’uso dell’antropofagia presso le popolazioni indigene, nel XVI secolo, è uno dei problemi che porteranno alla disputa di Valladolid, in cui i conquistatori europei si scontrano sulla difficile scelta di considerare gli indigeni esseri umani a tutti gli effetti o meno – e il responso negativo è il motivo di sterminio di alcune popolazioni di nativi sudamericani. Ugolino, che viene accolto dalla tribù proprio con un rito di antropofagia, tenterà con postura da osservatore di comprendere ciò che sta alla base del cannibalismo, arrivando ad accettarlo come costrutto culturale di quella che è la sua nuova società.
Il merito più grande di Verde Eldorado è quello di riprendere le istanze del resoconto di viaggio – la contestualizzazione storica, l’espediente narrativo, la forma diaristica, i titoli che fungono da breve riassunto del capitolo –, e di riattualizzarlo guardando alla contemporaneità. La scelta di un protagonista deformato e della sua considerazione sociale è spunto di riflessione per la nostra attualità devota all’immagine (e ai relativi problemi di body shaming). La storia di Ugolino si relaziona anche alla questione delle migrazioni, raccontandoci il destino di una persona costretta ad abbandonare la propria casa, la propria famiglia, per ritrovarsi dall’altra parte del globo terrestre, solo e circondato da persone di cui non comprende le usanze né tantomeno la lingua. Ma è anche un racconto di integrazione e irreversibilità della stessa.
Ugolino nella foresta è accettato (e anzi, venerato) senza compromessi, senza dover nascondere il proprio corpo, e nonostante la sua memoria lo riporti continuamente verso il suo passato e gli affetti lasciati a Venezia, sa di aver trovato il proprio posto nel mondo. La spietatezza avvertita inizialmente nei cannibali lentamente scema, e lascia spazio a sentimenti di accoglienza e fraternità, e in modo inverso l’idea di affetto provata nella famiglia veneziana si affievolisce, rivelando la crudeltà insita nella società d’origine.
Enrico Bormida
In copertina: Francisco Goya, Atropos o Las Parcas